Diario d'ascolto

Compito del musicologo è scrivere di musica: operazione laboriosa nella misura in cui è chiamata a tener conto della vasta geografia di confronti fra opere, figure, situazioni, istituzioni, ambiti artistici diversi e via dicendo. Per arrivare a mettere a fuoco la singola opera il cammino vi procede dal generale al particolare. In che misura è valido il processo contrario, dal particolare al generale?
È ciò che si richiede (o si dovrebbe richiedere) al critico musicale che agisce sul campo, come testimone diretto della musica eseguita; a colui che non si colloca a distanza di sicurezza (in posizione distaccata alla ricerca del modo che gli permetta di cogliere il più vasto insieme di relazioni possibili), ma a colui che si trova a contatto diretto con chi è incaricato di dare forma sonora alla musica, di farla vivere fisicamente di fronte a una comunità di ascoltanti.
In quel momento coinvolgente si percepisce ancor più l’energia che muove l’opera, e, subendo direttamente sulla pelle ciò che fa vibrare l’intero corpo, è possibile per lo spettatore innescare un processo che, dall’immediatezza di tale esperienza, seguendo dall’interno il diramarsi della costruzione sonora, gli permette di cogliere in modo vivo la sua configurazione formale. Anche in tale prospettiva si può pervenire a decifrare la vasta rete di relazioni in cui la musica si colloca, percependola tuttavia nella dimensione del vissuto, in una maniera che può essere condivisa con gli altri, dall’individuale al collettivo, senza che si affievolisca l’eco della sua vibrante sostanza.
È l’obiettivo che mi propongo in questa serie di schede testimonianti la mia personale esperienza d’ascolto


 

CARDILLAC

La prima presentazione dell’opera di Paul Hindemith il 9 novembre del 1926 ebbe una risonanza enorme, sulla spinta certamente della rinascita d’interesse per il teatro musicale moderno che le istituzioni teatrali tedesche in quegli anni coltivavano con preciso senso di responsabilità sociale e culturale legato alla politica progressista della Repubblica di Weimar: basti dire che lo stesso anno della prima a Dresda, altri 17 teatri presentarono Cardillac nel loro cartellone.

SELVA DI VARIA RICREAZIONE

«SELVA dico dunque per non seguire in essa un filo continuato, così veggiamo nelle Selve gli arbori posti senza quell’ordine che ne gli artificiosi giardini veder si suole».
La dichiarazione di intenzione di Orazio Vecchi posta in capo alla Selva di varia ricreazione (1590) suona programmatica di un atteggiamento trasgressivo che ancor oggi fa del musicista modenese un personaggio anomalo, appartato nel pur frastagliato filone madrigalistico cinquecentesco.

BUSSOTTI (GENIO ESTROVERSO) PAR LUI-MÊME

«Bussotti par lui-même» (titolo che diedi a un mio programma concepito nel 1975 per la Televisione della Svizzera italiana con la partecipazione di Elise Ross, Giancarlo Cardini, Italo Gomez, Rocco e romano Amidei): l’autoritratto è sembrato l’unica possibilità per descrivere Sylvano Bussotti nella molteplicità dei suoi ruoli che, attraverso la musica, l’hanno portato alla pittura, al teatro, alla danza in una prospettiva che imprevedibilmente riscatta in tempi difficili quali i nostri, l’ideale aristocratico e polivalente dell’artista rinascimentale.

COLUI CHE DICE DI SÌ

L’opera scolastica Colui che dice di sì di Bertolt Brecht con musica di Kurt Weill può essere considerata l’ultimo prodotto della collaborazione dei due celebri autori. Il lavoro risale infatti al 1930, mentre I sette peccati capitali nacquero fuori di Germania, nel 1933 a Parigi, dove Brecht e Weill si ritrovarono occasionalmente riuniti da comune destino dopo aver lasciato il loro paese al tragico destino nazista.

ARTISTA DELLA COMMEDIA

Figlio di padre turco e di madre italiana, Fernando Corena (1916-1984) nacque a Ginevra. La mescolanza delle origini, la carriera internazionale a cui deve la celebrità, non impedirono mai che egli si sentisse fondamentalmente svizzero e nel proprio paese ritornasse periodicamente a ritessere relazioni professionali e d’amicizia, fino a trasformare i soggiorni periodici nella sua casa di Castagnola, panoramicamente affacciata sul golfo di Lugano, in residenza definitiva dopo il ritiro dalle scene.

SCIOSTAKOCIC, SINFONIA N. 5

Intitolata «Risposta pratica di un compositore ad una giusta critica», applaudita dai burocrati di partito il 21 novembre 1937 in occasione della prima esecuzione a Leningrado, la Quinta di Sciostakovic segna il momento di rappacificazione tra il compositore precedentemente bersagliato dai tutori dell’ordine artistico sovietico e l’apparato da lui già causticamente satireggiato nell’opera Il naso (1930).

GAETANO DONIZETTI, SINFONIA IN RE MINORE

Nell’Ottocento musicale italiano la musica strumentale si lascia scoprire come un continente sommerso. Senza aver lasciato tracce dirette nell’evoluzione generale del linguaggio essa concerne, più o meno, tutti i compositori i quali, pur essendosi dedicati al teatro operistico, affinarono il loro mestiere in una pratica invero non mai scomparsa dalle scuole. Ciò significa che gran parte di quelle testimonianze, in quanto risultato di apprendistato scolastico, si pone in subordine nell’investigazione critica. Un’altra parte fa eccezione cosicché, senza arrivare al maturo Verdi e alla sua deliberazione di cimentarsi nella composizione quartettistica con lo straordinario e ben noto esito, converrà almeno soffermarci sulla vastissima produzione strumentale di Donizetti (15 sinfonie, 19 quartetti, 3 quintetti, 1 sestetto, 4 concerti, 4 «suonate» e una cinquantina di pagine pianistiche).

LE RADICI DI ERIK SATIE

Erik Satie, periodicamente recuperato dalle avanguardie del nostro secolo come esempio di musica «oggettiva» (da Debussy al Gruppo dei Sei, dall’Ecole d’Arcueil a John Cage), è ancor oggi interpretato alla lettera (secondo il senso delle sue lapidarie asserzioni) come artista senza radici, capace di sfidare il tempo. In verità la sua coscienza del nuovo (dell’impossibile addirittura) si colloca nella precisa geografia culturale francese che, reagendo alla dominante e opprimente estetica naturalistica, segnò negli ultimi decenni dell’Ottocento la conversione alle tematiche spiritualistiche ai limiti addirittura dell’infatuazione religiosa.

OPERA AL FEMMINILE

Al di là della funzione del personaggio femminile nell’opera in genere è fuori dubbio che nel ruolo assegnatogli sia possibile rintracciare l’ago della bussola estetica romantica.

MUSICA DEL TRAMONTO

L’epoca moderna è impietosa con gli artisti anziani. Il logoramento dei mezzi linguistici, l’accanita tendenza alla fuga in avanti da più di un secolo ormai non lasciano più spazio alle lunghe parabole individuali.

MINIATURE AMERICANE

Di discendenza scozzese e irlandese, come tutti i compositori americani dell’epoca che contano, Edward Mac Dowell (1861-1908) fu formato in Europa: a Parigi (dove ebbe contatti con Franck, Debussy e Massenet) e a Francoforte (dove fu allievo di Joachim Raff). Il compositore fu anche pianista, per cui lo strumento a tastiera occupa una parte estesa e centrale nella sua opera. 

GLI ECCESSI DI BERLIOZ

Una cosa risulta apparentemente inspiegabile nel destino della musica di Hector Berlioz: come mai la sua febbre creativa è stata capace di farci accettare tante e tali banalità di senso? Se leggiamo il programma letterario che l’autore stese a commento della Symphonie fantastique, la quale porta il sottotitolo Épisode de la vie d’un artiste, non possiamo non riconoscere la grossolanità di un’evocazione decaduta a feuilleton, in un pozzo di luoghi comuni che ci restituiscono l’immagine più vieta e consunta dell’artista in preda al sacro fuoco della rivelazione estetica, rappresentato nel suo ruolo esaltante genio e sregolatezza ed esprimente la tragedia come clamoroso vaneggiamento di furie scatenate.

BALLETTO DAGLI USA

Nel moderno panorama coreografico una posizione preminente è detenuta dagli Stati Uniti, che vi primeggiano da oltre un secolo. Il primo vistoso esempio di tale processo si lascia cogliere all’inizio del Novecento nell’azione di Isadora Duncan, diventata simbolo mitico della libertà (anche in senso politico e dell’emancipazione femminile) pur nel vagheggiamento di un ideale di danza classico ellenico.

LA VIA MEDIANA DELLA MUSICA IN LOMBARDIA

Centro privilegiato d’interesse della musicologia internazionale, per la sua funzione predominante lungo l’arco di vari secoli, la musica italiana è da sempre sottoposta ad indagini critiche tendenti a stabilirne l’omogeneità. Non che manchi la considerazione delle diverse e spesso opposte «scuole» (napoletana e veneziana per l’opera, oppure veneziana, romana o fiorentina per la musica vocale), ma è evidente che i punti di riferimento per l’osservatore straniero si sono sempre ridotti agli elementi più appariscenti, lasciando in ombra differenziazione ulteriori che ancora sfuggono. In verità solo il grado di conoscenza legato al costume, all’esperienza maturata nella cultura regionale per non dire locale, alle finezze recondite della pratica linguistica, ecc., può restituire un’immagine più capillarmente articolata e quindi più profondamente aderente a una realtà estetica, sociale ed umana fra le più complesse.

IL CANTO SPIRITUALE DI BACH

L’impegno di Bach nella musica vocale, per quanto egli non fosse mai approdato all’opera teatrale, è cospicuo: passioni, oratori e cantate ne sono il vasto campo d’azione. La sua ricerca va dal semplice corale armonizzato alla sontuosità delle arie, grazie soprattutto alla novità dei testi poetici del Neumeister che introdusse in campo sacro tedesco le forme italiane del recitativo e dell’aria con da capo, incentivanti la valorizzazione degli spunti musicali.

LO SVILUPPO DRAMMATICO DELLA LAUDA

All’inizio del XIII secolo apparsa come espressione lirico spirituale (si veda il laudario di Cortona dove tra l’altro il testo letterario risulta già configurato insieme alla musica), la lauda evolve verso forme drammatiche quando è fatta propria dalle confraternite di disciplinati ad Assisi, nel cuore della cultura francescana. Sorti quindi in Umbria, ma diffusisi poi nelle zone limitrofe fino all’Italia settentrionale, i disciplinati registravano quel profondo movimento di conversione collettiva testimoniato da fra’ Salimbene de Adam da Parma in questi termini: «E cantavano litanie e lodi, militi e pedoni, cittadini e contadini, ragazzi e vergini, vecchi insieme coi giovani. In tutte le città d’Italia sorse questa devozione e facevano soste nelle chiese e nelle piazze e non cessavano mai di cantare lodi al Signore».

L'IMMAGINE MODERNA DELL'AMERICA

La Création du monde, il celebre balletto composto da Darius Milhaud nel 1923, mirando a evocare la nascita del mondo, per mezzo del jazz introduce l’evocazione del primitivo. In che misura oggi tale senso possa giungere alle nostre orecchie è difficile dire. Certamente l’assuefazione ai modi sincopati, ai clangori degli strumenti a fiato, ai clichés armonici del jazz ci induce a percepire prioritariamente la componente edonistica di questa musica. A quel tempo invece le cose stavano altrimenti.

IL FANTASMA DI DEBUSSY

Il pianoforte nel Novecento non è più stato lo strumento principe che nel secolo diciannovesimo aveva dominato le sale da concerto: si può dire addirittura tranquillamente che nel catalogo delle opere di qualsiasi compositore ottocentesco le composizioni pianistiche occupavano un posto rilevante. Strumento romantico per eccellenza, nel senso che all’inizio del secolo (con Beethoven, Weber, Schubert, Chopin, Schumann) servì a individuare le corde dell’ineffabilità e alla fine ad abbandonarsi al florilegio di dolcezze e di languori proibiti, esso fu quasi rifiutato dagli innovatori del Novecento, probabilmente per la sua evidente compromissione con un’estetica ritenuta superata.

LA FABBRICA DELLA MUSICA

Nell’approccio alla musica non sempre il pubblico si rende conto dell’apporto determinante svolto dai supporti organizzativi alla sua diffusione. Teatri, enti concertistici d’altronde appaiono appena profilati persino negli studi monografici nel delineamento della fortuna di grandi e piccoli compositori, il cui destino sarebbe impensabile senza quei canali attraverso i quali fu ed è possibile la comunicazione. Attenzione ancora minore è riservata alla componente editoriale, attiva fin dal Cinquecento, ma che da più di due secoli si pone quale fattore di mediazione prioritario fra il compositore e la vita musicale.

CAVALIERI: RAPPRESENTAZIONE

Nato a Roma nel 1550 il nobile Emilio de’ Cavalieri si trasferì a Firenze nel 1588 dove ottenne dal granduca la sorveglianza su tutte le attività artistiche di quella corte. Nella capitale toscana il musicista nobiluomo fu impegnato, accanto a Luca Marenzio, Cristoforo Malvezzi, Giulio Caccini, Giovanni Bardi e Jacopo Peri, alla composizione dei celebri intermezzi per La pellegrina commissionati per celebrare le nozze di Ferdinando I nel 1589.

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