Il ruolo assunto da Herbert von Karajan (1908-1989) a partire dall’ultimo dopoguerra fu unico, quello del direttore d’orchestra per eccellenza al di fuori del tempo, facente parte di un olimpo, al di sopra della realtà.
Da quanto nel 1607 Agostino Agazzari, considerando il grado di trasparenza polifonica della Missa Papae Marcelli, fissò il luogo comune di Palestrina salvatore della musica liturgica a più voci di fronte al tentativo del Concilio di Trento di restaurare l’austera monodia, l’alone leggendario sorto intorno all’aneddotica scoraggiò per molto tempo l’indagine su una vicenda politico-culturale fondamentale sia come rilevamento della lacerazione estetica inferta al corpo dell’espressione musicale cinquecentesca richiamata all’impassibilità di un ordine esaltato nel suo valore statico, sia come manifestazione paradigmatica di un dirigismo la cui severità trova paralleli solo in epoca più recente, nella condizione totalitaria di società rigidamente organizzate.
La figura di Maurice Ravel rimane in posizione laterale nel contesto della musica moderna, ma c’è da chiedersi se l’arte del nostro secolo più che ogni altra epoca non si appoggi proprio alle esperienze marginali per acquisire l’indispensabile profondità di prospettiva tracciata a partire dai punti estremi.
Dalla funzionalità in cui la pratica musicale religiosa si presentava nel Medio Evo (canto gregoriano), dall’organicità solenne e principesca in cui nel Rinascimento si presentava la polifonia sacra, nei decenni del Barocco la musica di chiesa integrò la componente emozionale ed affettiva derivata dal canto solistico.
Rispetto alla prorompente presenza di Liszt e di Wagner nel panorama musicale romantico dell’Ottocento, Brahms si rivela figura altrettanto programmatica incarnandone il rovescio della medaglia.
Tipico esempio di carriera direttoriale americana debitrice dell’immancabile colpo di fortuna – nel 1943 il suo nome appariva su tutti i giornali per aver sostituito Bruno Walter (colpito da malore) alla testa della Philarmonic Symphony di Nuova York, l’orchestra di cui sarebbe in seguito diventato maestro stabile – Leonard Bernstein tradisce più di ogni altro la propria provenienza culturale anche e soprattutto nella composizione.
Quanta musica religiosa venisse prodotta dagli operisti italiani dell’Ottocento all’ombra del grande, esclusivistico e frondoso tronco melodrammatico diventa sempre più evidente di fronte all’estesa pratica delle riesumazioni.
Tra i compositori che collaborarono con Brecht all’allestimento dei suoi capolavori, al primo prevalentemente, a Kurt Weill, si riconoscono importanti meriti creativi. Personalità quali Paul Dessau e Hanns Eisler, autori tra l’altro delle musiche dei drammi brechtiani più maturi, sono meno noti e con tutti i loro meriti per lo più considerati all’ombra del genio del grande drammaturgo come fedeli esecutori.
Quando l’Idomeneo nel carnevale del 1781 fu rappresentato a Monaco nel teatro di corte, stando alle cronache trasmesse dalla stampa locale, non sembra essere stata la musica di Mozart a produrre la sensazione maggiore se un giornale si limitava ad annunciare che librettista e compositore vivevano a Salisburgo; mentre un altro si occupava della cornice, aggiungendo che “le scene, di cui le più ispirate sono quelle del porto e del tempio di Nettuno, sono capolavori del nostro architetto teatrale Lorenzo Quaglio, da tutti ammirate”.
Ogniqualvolta capiti di affrontare un autore che abbia subito la ‘sfortuna’ di nascere in un cosiddetto periodo di transizione, la tentazione è quella di liquidare il discorso rilevando la presenza di costanti ereditate da stili precedenti oppure anticipazioni di maniere posteriori.
In che misura una disciplina artistica può essere debitrice di un’altra per quanto riguarda l’intuizione di un nuovo traguardo estetico è dimostrato dai rapporti in ambito espressionistico tra la musica di Schönberg e la pittura di Kandinsky,
Les Troqueurs, opera buffa in un atto di Antoine d’Auvergne (1713-1797), furono rappresentati per la prima volta alla Foire Saint-Laurent nel luglio del 1753,
Che la musica contemporanea non possa essere ricondotta a una nozione unitaria è dato per scontato.
“Il Tedesco esprime, il Francese si esprime”.
L’apodittica constatazione di Ernest Ansermet, desunta dal tentativo di definire le modalità nazionali della musica europea (Les fondements de la musique dans la conscience humaine, 1961), consente di cogliere il grado di sopita specificità nell’estetica di Camille Saint-Saëns.
Uno dei luoghi importanti che segnarono la formazione di Mozart fu Mannheim, sede di una corte il cui principe elettore è ricordato come protagonista di uno sviluppo culturale senza precedenti: per quanto riguarda il teatro nazionale tedesco, il Singspiel (cioè l’opera in lingua tedesca) e soprattutto la sinfonia grazie all’azione di Johann Stamitz e di Carl Cannabich.
Le ultime testimonianze di Beethoven nel campo della sonata (op. 109, 110, 111) compongono un quadro di severa unità: la loro composizione si situa sul breve arco che va dal 1820 al 1822.
Il destino ha voluto che, a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, nel 2016 scomparissero due personalità rappresentative della musica d’oggi, Pierre Boulez (5 gennaio) e David Bowie (10 gennaio).
"La follia in musica".
La conferenza di Carlo Piccardi allo Studio 2 RSI di Lugano-Besso
http://www.rsi.ch/speciali/cultura/elogio-della-follia/Programma/Marted%C3%AC-27-settembre-2016-7160369.html
«Cantava la mia donna / che parea l’Usignolo, e l’Usignolo / cantava che parea la donna mia. /
Dopo Beethoven, ma già con Beethoven, le tappe evolutive della sinfonia si situarono prevalentemente nelle zone più tormentate della coscienza del tempo