• Diario d'ascolto
  • 4 Maggio 2023

    IL FANTASMA DI DEBUSSY

      Carlo Piccardi

    Il pianoforte nel Novecento non è più stato lo strumento principe che nel secolo diciannovesimo aveva dominato le sale da concerto: si può dire addirittura tranquillamente che nel catalogo delle opere di qualsiasi compositore ottocentesco le composizioni pianistiche occupavano un posto rilevante. Strumento romantico per eccellenza, nel senso che all’inizio del secolo (con Beethoven, Weber, Schubert, Chopin, Schumann) servì a individuare le corde dell’ineffabilità e alla fine ad abbandonarsi al florilegio di dolcezze e di languori proibiti, esso fu quasi rifiutato dagli innovatori del Novecento, probabilmente per la sua evidente compromissione con un’estetica ritenuta superata.

    Nella musica di Schönberg il pianoforte occupa una minima parte, Alban Berg gli riservò una sonata e nulla più, Webern gli assegnò una sola anche se rilevante composizione (le Variazioni op. 27). Diverso il discorso di Béla Bartók e in una certa misura anche di Stravinsky; tuttavia se ci limitiamo al settore più radicale della musica moderna, quello espressionista-dodecafonico appunto, non possiamo non costatare un’emarginazione evidente del pianoforte. 

    Alban Berg 
    Alban Berg

    La tendenza è confermata dall’avanguardia del dopoguerra, tutta rivolta alla scoperta di un suono nuovo, di combinazioni strumentali capaci di cancellare la memoria di timbri già uditi: la musica degli anni Cinquanta è infatti soprattutto musica per gruppi orchestrali.
    L’eccezione più vistosa è rappresentata dalla serie dei Klavierstücke di Stockhausen, composizioni che oltretutto rappresentano un nodo cruciale nello sviluppo dell’avanguardia; eppure c’è da chiedersi se il compositore tedesco si sarebbe dedicato a simile composizione se non avesse potuto contare sull’abilità interpretativa dei fratelli Kontarsky. Spesso nella musica contemporanea è successo che la presenza di un interprete (si pensi solamente al flauto di Severino Gazzelloni e alla voce di Cathy Berberian) abbia condizionato in larga misura l’attività compositiva di determinati musicisti. Il pianoforte ad esempio è rispuntato nell’esperienza di Luigi Nono, il quale è dovuto arrivare ai cinquant’anni per rendersi conto che un simile strumento poteva diventare addirittura veicolo di accenti rivoluzionari. Ma – Nono stesso lo ammise – a questa evidenza non sarebbe giunto senza l’amicizia con Maurizio Pollini a cui è dedicato appunto Sofferte onde serene (per pianoforte e nastro magnetico) e la cui responsabilità nella composizione del brano, a detta dello stesso Nono, sarebbe pari a quella del compositore stesso.

     Abbado Nono PolliniClaudio Abbado, Luigi Nono e Maurizio Pollini negli anni '70

    Nessuna di queste considerazioni valgono per la musica dei compositori francesi, per i quali il ricorso al pianoforte è stato un’operazione scevra di pregiudizi. Nel suono pianistico, per molti aspetti tanto diverso di Olivier Messiaen, Pierre Boulez e Gilbert Amy, ci sembra addirittura di poter individuare una matrice comune che va ben oltre la stessa rivendicata appartenenza all’avanguardia postweberniana. Se accostassimo questi autori a Debussy ci renderemmo conto di quanto la scoperta dei valori timbrici «impressionistici» sia un retaggio della musica francese. Il discorso in verità andrebbe articolato, per cui le ascendenze di un linguaggio coloristico quale quello di Messiaen nella ricerca di sonorità esotiche più che a Debussy rimandano a Ravel. Lo stesso Ravel non sarebbe comunque esistito senza Debussy, per cui i conti tornano comunque. Senza considerare che, in prospettiva più estesa, a questo discorso sarebbe possibile recuperare il nome di Gabriel Fauré, a indicare come le radici di una concezione «impressionistica» del pianoforte in Francia affondino in tempi lontani.

     Ravel
    Maurice Ravel

    Ciò che conta rilevare soprattutto, considerando che è passato più di mezzo secolo dalla Terza Sonata di Boulez, è il fatto che le intenzioni a cui l’autore diede allora preminenza con il trascorrere del tempo sembrano offuscate da un diverso senso. Se la Terza Sonata contò allora per la scelta di strutture aperte in un discorso che, rimanendo astratto, escludeva per definizione ogni presenza dell’individuale e del privato, in un ascolto a posteriori essa suona irrimediabilmente diversa nella limpidezza delle sonorità pianistiche.

    Pierre Boulez 
    Pierre Boulez

    È il fantasma di Debussy quello che determina il significato di questa musica, in una concezione che parte dall’astratto per trovare corrispondenze con il mondo del reale. Non è certo la penna di Boulez che ha voluto questo, ma è innegabile che all’ascolto oggi è impossibile sottrarsi al fascino di sonorità distillate e compiaciute nel loro sgorgare, che stimolano la nostra memoria nel ricordo di emozioni impalpabili che la storia della musica ha già conosciuto. Come dire: il cane si morde la coda. Sì, ma in senso non spregiativo, poiché se l’esperienza contemporanea ha un senso, ormai questo non è più da cercare nell’aspetto di emancipazione a ogni costo dalla tradizione, ma in un rapporto che grazie a questa sia capace di ritrovare una prospettiva più durevole.