• Diario d'ascolto
  • 20 Febbraio 2017

    Camille Saint-Saëns: il primato della distinzione

      Carlo Piccardi

    “Il Tedesco esprime, il Francese si esprime”.

    L’apodittica constatazione di Ernest Ansermet, desunta dal tentativo di definire le modalità nazionali della musica europea (Les fondements de la musique dans la conscience humaine, 1961), consente di cogliere il grado di sopita specificità nell’estetica di Camille Saint-Saëns.

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    In verità i filoni che nella musica hanno avuto una funzione determinante, anche al di fuori del loro ambito culturale, sono l’italiano e il tedesco. Secondo il musicista-filosofo svizzero “il fondo della musicalità italiana è la modalità ancora indifferenziata della coscienza musicale originale o primitiva, che si mostra attraverso il canto o la danza; poiché al di fuori della contemplazione e del raccoglimento essa è una coscienza psichica incarnata, animata di motricità”. Nella formalizzazione retorica del canto sottratto alla trascendenza essa ci avrebbe trasmesso il patrimonio fondativo dei codici espressivi sviluppati dal Rinascimento in poi.

    Il filone tedesco, orientato alla concentrazione introspettiva, avrebbe rivelato i livelli sfuggenti dell’espressione individuale e la dimensione dell’armonia come spazio prospettico del sentimento aperto su orizzonti ineffabili:

    “L’attitudine introversa del Tedesco, che consiste nel fare dell’esteriore [dehors] un significato dell’interiore [dedans] lo predestina a poter significare pienamente la sua modalità etica solo quando è acquisita la struttura armonica”. 

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    Rispetto alle due modalità dominanti, la cultura francese, pur dando vita a un filone circoscritto al suo ambito (non esportabile), ha manifestato fin dal profilarsi della sua identità caratteri in grado di agire complementarmente e come correttivo degli estremi delle due modalità maggiori. L’atteggiamento estroverso sviluppato in area francese avrebbe valorizzato nell’arte dei suoni gli aspetti della rappresentazione ‘visuale’, originalmente propri delle arti figurative e dell’architettura, ponendo al centro della ricerca i problemi di struttura e di forma:

    “La sua attitudine estroversa ci ha fatto comprendere il gusto e il senso del Francese per la periodicità, la simmetria, la sua propensione verso la struttura esibita [carrure] (vedi Saint-Saëns)”.

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    Nella sua posizione di musicista a cui non bastava l’eredità ottocentesca, indotto a rapportarsi alla tradizione secolare in cui trovò conferma all’ideale di luminosa plasticità, Saint-Saëns, che si definiva espressamente un “classico”, pose argine alla tendenza all’informe rivitalizzando le solide impalcature dei maestri settecenteschi ed assecondando il descrittivismo. Più di tutti ne colse la natura Romain Rolland, paragonandolo a Mendelssohn “molto più ingenuo e più religioso; il Signor Saint-Saëns più dilettante e più voluttuoso”:

    “Possiedono comunque un’affinità di spirito attraverso la loro scienza erudita ma di buona compagnia, la purezza del loro gusto, il senso della misura e questo genio dell’ordine che fornisce a tutto ciò che fanno un carattere neo-classico”.

    D’altra parte, se la Francia con la Rivoluzione – sancendo la possibilità di sviluppo attraverso il ribaltamento dei valori e liberando forze dirompenti – ha in un certo senso legittimato il principio del radicale sovvertimento del linguaggio in campo artistico, è anche vero che nel contempo essa ha paradossalmente mantenuto il destino dell’arte nella riservatezza di uno spazio aristocratico, nel culto raffinato della misura e dell’ordine proporzionale. Evidenziando il distacco dall’oggetto che testimonia il primato della distinzione, Saint-Saëns, oltre a preparare il terreno al gesto non coinvolto di Debussy e di Ravel, anticipò le operazioni esclusivistiche dell’avanguardia, ma il fatto che ciò avvenisse attraverso la ricercatezza e l’eleganza dell’atteggiamento individualistico senza intaccare la veste stilistica ha sicuramente impedito di constatarne l’esatta portata.

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    Winnaretta Singer, Principessa di Polignac

    Questa portata è invece rivelata dal contesto in cui si sviluppò l’avanguardia parigina di inizio Novecento, impensabile se non considerassimo il ruolo che vi detennero i rappresentanti di una nobiltà decaduta nel ruolo politico-sociale ma ancora al fronte sul piano culturale, quali il Visconte di Noailles, il Conte Étienne Beaumont, la Principessa Murat, la Contessa de Chevigné, la Marchesa de Ganay, la Contessa de Pourtalès, la Contessa Jean de Castellane, la Baronessa Rotschild, la Contessa de Hohenfelsen, finanziatori dei Ballets russes di Diaghilev insieme alla Principessa di Polignac, nei cui salotti venivano dettate le regole dei nuovi gusti artistici.
    Come dire: la rivincita dell’“ancien régime”. Significativo è il fatto che nel 1927, prima di essere presentato nel Théâtre Sarah Bernhardt Oedipus rex di Stravinsky fosse eseguito in forma privata con l’autore stesso al pianoforte nella residenza della Principessa di Polignac.

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    Il Conte di Beaumont

    Il caso più emblematico è rappresentato dal ballo mascherato sul tema “L’antiquité sous Louis XIV”, organizzato dal Conte di Beaumont nella sua residenza di Rue Deroc: principi e duchesse con costumi disegnati da Picasso e Jean Hugo vi posarono in una serie di “tableaux vivants” regolati da Léonide Massine. Per uno di questi numeri (La statue retrouvée) Erik Satie compose un Divertissement per organo. Il fatto di ritrovare gli stessi protagonisti (Satie, Massine, Picasso) l’anno successivo sotto la stessa egida nell’allestimento di Mercure, uno degli spettacoli organizzati dal Conte di Beaumont sotto la denominazione di Soirée de Paris, è quindi tutt’altro che un caso. Non solo vi era individuabile la stessa ed inconfondibile impostazione estetica (“poses plastiques” ne era la denominazione), ma essa, nel suo richiamarsi ai topici luoghi comuni della cultura aristocratica e nell’accento posto sul contegno e sulla “sprezzatura” che vi dettavano il rigoroso senso della misura e dell’impassibilità, non sfuggiva a una precisa ascendenza di gusto e di classe.

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    Picasso per "Mercure" di Erik Satie

    In epoca postmoderna lo straniamento stilistico rispetto ai modi del passato che aveva precorso il neoclassicismo novecentesco balza finalmente agli occhi, permettendo di collocare il retaggio di Camille Saint-Saëns al centro del percorso che da lontano ha condotto al superamento del soggettivismo.