Nel vortice del valzer
La figura di Maurice Ravel rimane in posizione laterale nel contesto della musica moderna, ma c’è da chiedersi se l’arte del nostro secolo più che ogni altra epoca non si appoggi proprio alle esperienze marginali per acquisire l’indispensabile profondità di prospettiva tracciata a partire dai punti estremi.
Ravel e Nijinsky al pianoforte
A nessuno infatti oggi può bastare la visione dialettica di Adorno che, indicando in Schönberg e Stravinsky i poli di due opposte direzioni di ricerca, ha rinunciato a prendere atto di forze agenti al di fuori di un campo di tensioni che rimane senz’altro il momento di più astringente verifica ma che risulterebbe in parte addirittura incomprensibile se prescindesse dalla considerazione dovuta alle esperienze fiancheggiatrici.
Il caso di Bartók è forse il più esemplare, essendo impensabile il radicalismo dei suoi esiti stilistici senza la comprensione delle urgenze che lo condussero a riconsiderare la matrice folclorica che fin dall’inizio lo aveva determinato. Così l’intero fenomeno dell’epigonismo che, nella fastosa dilatazione di abitudini, di forme e di maniere ereditate, senza giungere a irrinunciabili momenti di rottura, toccò il livello di guardia oltre cui si imponevano le scelte di coloro che reclamavano il superamento della crisi.
Solo entro certi limiti Ravel può essere assimilato alle tendenze retrospettive degli epigoni, che in realtà costituiscono un fenomeno essenzialmente tedesco per l’inesorabilità di svolgimento di quella cultura. La musica francese sottendeva invece forze di natura opposta come dimostrò poi l’avanguardia parigina degli anni Venti che, non appena dismessi i gesti plateali, rivelò sintomatiche capacità di compromesso con la tradizione e forti tentazioni di conservazione.
La Valse - Prima esecuzione in concerto: Parigi, Théâtre du Châtelet, 12 Dicembre 1920
Se Ravel dunque come compositore estremamente sofisticato può apparentemente richiamarsi all’epigonismo, va subito detto che il vortice di virtuosismo e di raffinatezza che trascinò gli epigoni del tardoromanticismo tedesco agli esiti che ben conosciamo fu più un risultato dettato da un corso irreversibile che una ragione di scelta estetica, mentre in Ravel diventa un culto, un programma aperto su nuovi orizzonti.
La Vienna che emerge dalle brume di La Valse non è il riferimento indelebile di una memoria in cui si è fermato il tempo, bensì l’immagine lontana che appare senza illusioni alla coscienza mossa «à la recherche du temps perdu».
L’enfasi dei crescendi e dei ritardandi mimata dal gesto circolare che abbraccia l’intera composizione senza mai interrompersi non riesce più a trascinare per intima forza interna, ma deve caricarsi dei mille colori sgargianti della fantasmagorica coreografia imperiale, moltiplicati all’infinito da un ingannevole gioco di specchi per poter sprigionare altrettanta energia.
È il passato ritrovato al di là di ogni nostalgia da una mente contemplativa che si compiace del ricordo senza vagheggiarlo, anzi incorniciandolo come curiosità da esporre in una privata galleria di suggestioni raffinate. Come sempre in Ravel è il filtro di una memoria disincantata a costituire elemento di fusione di impressioni disparate raccolte occasionalmente. L’immagine di Vienna che prende corpo attraverso La Valse produce lo stesso effetto di cartoline ingiallite cadute da un vecchio album, scompigliate e riunite alla bell’e meglio, tanto da ammettere addirittura la malizia della tromba che intona a un certo punto il valzer sullo sfondo di sonorità di fiera. Durezze e asperità si insinuano tra le trame cullanti degli archi senza lasciare traccia alcuna di angoscia: anche questo fa parte del gioco di ambivalenze a cui la memoria si abbandona richiamando ad ogni momento la coscienza del distacco dall’oggetto.
Ida Rubinstein
Questo basta a collocare Ravel sul versante della musica moderna già proiettata oltre le remore tese a trattenerla nell’àmbito di un’espressività soggettivamente fondata.
Proprio in una composizione quale La Valse, che compendia l’intero arsenale espressivo e gestuale della romantica mondanità ottocentesca, si rivela al massimo grado il vallo incolmabile tra l’arguto osservatore e l’immagine di un mondo archiviato nei cassetti della memoria. E tale livello di coscienza non ha bisogno di manifestarsi attraverso operazioni negative, quali la deformazione o la parodia, ma raggiunge il suo scopo assumendosi tutto il peso dell’apparato stilistico ereditato, portato a un grado parossistico di svolgimento, spinto dall’interno fin quasi a scoppiare per superfetazione.
Occorrerà pure indagare nella natura eversiva di questo atteggiamento che in pari misura si distanzia sia dal meccanico calco neoclassico sia dal rovesciamento in negativo attuato dall’Espressionismo. È la scelta di un rapporto con la tradizione ristabilito nel giudizio sereno e disinteressato al di là di ogni possibile rancore o risentimento, che giunge ugualmente a porre in discussione il senso di dipendenza dal passato, poiché, come ogni musicista moderno degno di nota, anche Ravel si rende conto dell’impossibilità dell’invenzione ex abrupto relegata nell’illusione dell’epigonismo più irresponsabile.
La-Valse-Guillaume-Sulpice-Chevalier-dit-Gavarni-XIXe-siecle©Yale-University-Art-Gallery
Anche per Ravel come unica possibilità di discorso si impone la ragione dialettica chiamata in causa a dar senso alla vastità della colossale eredità storica, sopravvissuta e posta a confronto con esigenze di responsabile superamento.
In questo senso Ravel si lascia riconoscere fra i musicisti più disponibili, non limitando la sua attenzione ai filoni privilegiati. Quando il suo interesse si sposta sulle galanterie settecentesche, come in Le Tombeau de Couperin, sarà la forma chiusa a essere rafforzata, non per irrigidimento mummificato dei suoi tratti ma per capacità di insospettate dilatazioni aperte alle carezze di impalpabili atmosfere di lontane evasioni.
Uguale processo di rilettura è riservato agli innumerevoli materiali esotici, al jazz e a tutto quanto costituisce il ricercato arredamento del suo mondo sonoro capace di accostare squisitezze di ogni genere, infondendo loro un’energia vitale al di là della loro intrinseca espressività, fino a riassorbirle in una affascinante realtà d’immaginazione conquistata come spazio creativo affidato alle estreme risorse individuali di un’estetica liberata da catene secolari, governata esclusivamente da un gusto dell’eleganza e della raffinatezza in cui si assommano fuori della loro storia molteplici maniere e regole di comportamento di un passato recuperato oltre i propri confini.