• Diario d'ascolto
  • 19 Dicembre 2016

    Ultime sonate di Beethoven

      Carlo Piccardi

    Le ultime testimonianze di Beethoven nel campo della sonata (op. 109, 110, 111) compongono un quadro di severa unità: la loro composizione si situa sul breve arco che va dal 1820 al 1822.

    Al compositore rimarranno ancora alcuni anni di vita e di intensa attività creativa, consacrati alla definizione di nuovi principî nel linguaggio dei suoi quartetti e di significati trascendenti nella Nona sinfonia e nella Missa solemnis; ma il pianoforte non sarà più al centro della sua ricerca, avendo chiuso i conti con la forma sonata, non più rispettata come principio esclusivo.
    Le ultime sonate rientrano a pieno titolo nell’ultimo periodo beethoveniano, tuttavia, a differenza dei quartetti, ad esempio, esse culminano nell’evidenza del tema inteso quale principio dominante della struttura. Dominante nel senso che rappresenta un nucleo generatore (come nell’esperienza dei classici), ma che detiene anche il valore di idea capace di porsi in posizione autonoma rispetto al contesto, come realtà a sé ivi calata ad assumere le responsabilità di un complesso processo fecondante.

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    Non per niente, parlando dei temi beethoveniani, si cominciò assai presto a parlare di «idee»: il tema vi assume infatti una funzione come membro articolato di un discorso, ma riesce pure a configurarsi in un’altra dimensione come dato mentale, metafora di qualcosa di preesistente all’evento musicale come «soggetto al centro della convergenza di fattori esterni ed interni, particolari e generali, sensibili e razionali, supremamente conciliati per generare il significato» (Célestin Deliège). Ciò è avvertibile in misura contrastata in queste ultime sonate dove la tensione a cui è sottoposta l’intera struttura, sconvolta nel profondo da fattori dirompenti, è trattenuta proprio dalla massiccia solidità dei punti di riferimento tematici.
    Riferimenti che mutano di senso negli ultimi quartetti, dove la matrice polifonica del discorso trova altre basi a cui appoggiarsi, ma che qui vengono ribaditi così da rappresentare per l’estremo Beethoven un terreno d’ancoraggio in cui preservare un’identità ormai intaccata.

      111-ARIETTA
    Ludwig van Beethoven: Sonata op. 111, Arietta (originale)

    Ed è allora una inarrestabile ansia di canto, che si sprigiona dalle trame stravolte di una scrittura forzata nei suoi esiti e perciò ridotta a gesto portatore dell’indomabile carica di superamento di equilibri acquisiti. Di una struttura ormai messa in causa nella capacità di fissare termini e proporzioni definiti rimane la forza plasmante di una tematica irriducibile nella capacità di estendere il vasto raggio delle sue elaborazioni.

    Il tema resta quindi un pilastro e lo dimostra il modo in cui Beethoven conduce ancora la variazione. Le variazioni dell’Andante molto cantabile ed espressivo dell’op. 109 non sono più, è vero, membri di un discorso che si sviluppa per giustapposizioni e permettono ormai una libera dilatazione del nucleo espressivo originale; ma il tema iniziale, il più intimo ed estatico che sia uscito dalla penna del musicista, si inquadra in un arco melodico di primordiale purezza, restando delineato in trasparenza dietro ogni variazione e, sul filo che porta alla sua disarmata riapparizione finale, rivendicando l’esigenza di un’espressione che affida al canto le possibilità di una più libera emancipazione.

     BEETH-OP 109
    Ludwig van Beethoven: Sonata op. 109, Andante molto cantabile ed espressivo

    Poiché la «lotta corpo a corpo col suono» (Carli Ballola) che Beethoven conduce temerariamente in queste sonate se da una parte attinge ad estreme risorse sfoderando insolite e perfino ‘mostruose’ tecniche di scrittura affatto individuali, dall’altra riesce a tener alto in prima linea il vessillo del tema generatore che nell’Allegro con brio ed appassionato dell’op. 111 viene addirittura sbandierato in modo da sovrastare il secondo tema. Ciò avviene con tale impeto e capacità coinvolgente da far valere, al di là del volto sfigurato della forma sonata, il principio dell’elaborazione tematica proiettato verso la conquista di uno spazio cosmico non più confrontabile con le dimensioni circoscritte della convenzione.

     BEE-OP 111

    Ludwig van Beethoven: Sonata op. 111, Maestoso, Allegro con brio ed appassionato

    In questo senso l’op. 110 si presenta come la più significativa. Il principio della sonata è rivitalizzato attraverso operazioni sublimanti che compiono il recupero di forme disparate, dalla fuga al recitativo, all’arioso, tentando l’apertura verso esperienze arcaiche, tipico dei grandi creatori attirati nelle loro fasi più mature verso le grandi sintesi (Bach, ecc.).
    Con ciò in Beethoven si configura grandiosamente il senso di appartenenza a una civiltà musicale che non si lascia semplicemente ridurre ai termini imposti dal proprio tempo, ma che, inoltrandosi negli antri oscuri di un’antica dottrina, ritrova energie sufficienti ad operare al di là del tempo con una volontà prefiguratrice di ordini superiori.

     BEE-OP 110
    Ludwig van Beethoven: Sonata op. 110, Adagio ma non troppo

    Sennonché l’attuazione di tali ambiziosi progetti non comporta nessun compiacimento retrospettivo: l’orizzonte dischiuso dal musicista in queste sue opere liminari, in piena responsabilità assunta con il proprio tempo, non nega nulla di quanto la civiltà che l’ha prodotto ha ormai acquisito. La complessa fuga finale lo dimostra nella definizione armonica che non indulge all’arcaico e che percorre magistralmente lo spazio dialettico delineato dalla forma sonata. La ricomparsa della fuga con l’inversione del soggetto nella parte conclusiva rivela la funzione della ripresa, accentuando il peso dato al tema proprio in virtù della sua inversione capace di creare una tensione nel suo interno, elemento di perturbazione fra i molti che permettono di misurare il grado di problematicità di quest’ultimo accostarsi di Beethoven alla sonata

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