Jogging
Persone che praticano un’attività fisica hanno un rischio di morte ridotto di quasi il 30% rispetto a soggetti sedentari: tuttavia, la dose ideale di esercizio che incrementi la longevità è tuttora incerta.
Qualche tempo fa, il Journal of American College of Cardiology ha pubblicato quanto emerso dal Copenhagen City Heart Study.
L’obiettivo dello studio era di correlare cause di morte e pratica dello jogging valutando, inoltre, eventuali differenze legate alla quantità, all’intensità e alla frequenza adottate nel corso delle sedute atletiche.
A tal fine 1098 soggetti praticanti jogging e 3950 soggetti sedentari, di entrambi i sessi e di varia età, tutti in buona salute all’inizio del periodo di osservazione, sono stati seguiti per circa 15 anni; i dati rilevati sono stati studiati con metodi statistici.
La pratica dello jogging ha ridotto nei soggetti attivi il rischio di morte rispetto ai soggetti sedentari.
Fra i praticanti, traevano maggiori benefici coloro che, nel correre, seguivano ritmi blandi o moderati e non quelli che sostenevano sforzi più intensi.
Un’attività di jogging praticata per 2-3 volte a settimana, per 1-2,4 ore complessive, a un’intensità di esercizio media o bassa risultava la più correlata alla riduzione del rischio di morte.
I risultati dello studio invogliano gran parte di noi a intraprendere un’attività che, pur blanda, abbia conseguenze positive sul piano della salute.
Tuttavia, quando ci si voglia dedicare a “muoversi” per incrementare la nostra forma fisica, è bene, accertato lo stato di salute, sottoporsi a un’affidabile valutazione delle nostre capacità fisiche e motorie e, sui dati scaturiti dai test eseguiti, strutturare un programma di esercizio personalizzato.
Solo così si eviterà di incorrere in “dosi di esercizio” troppo gravose e perciò rischiose, o troppo modeste e perciò poco allenanti.
Distribuendo carichi, modulando frequenza, durata e intensità, un buon programma motorio ci consente di ampliare le nostre capacità fisiche e, contemporaneamente, allontanare i rischi per malattie cardiocircolatorie, metaboliche e degenerative.
Tratteremo tutto ciò in successivi articoli.