• OFFICINA LETTERARIA
  • 3 Ottobre 2018

    L’immensità del frammento e l’eternità dell’attimo. Suggestioni del Japonisme nella cultura occidentale tra Ottocento e Novecento-parte seconda

      Alberto Panza

    Il termine Ukiyo-e designa un genere di stampa policromatica, impressa con matrici di legno, che fiorì nel periodo Edo, tra il Seicento e la fine dell’Ottocento nelle città di Edo (l’odierna Tokyo), Osaka e Kyoto, in corrispondenza della diffusione di una classe mercantile i cui costumi modificarono lentamente la rigida morale che fino ad allora aveva contraddistinto il popolo giapponese.

     

    Rispetto alla severa pittura ad inchiostro, permeata di spirito Zen, che aveva il suo centro nei monasteri e nelle scuole di calligrafia ed era utilizzata essenzialmente come supporto alla meditazione, le stampe policromatiche divennero un oggetto di predilezione per il pubblico colto, e venivano presentate in fogli singoli o rilegate in libri e album. Le opere realizzate dai maestri che fanno capo a questa corrente modificano alcuni aspetti della tradizione, pur mantenendo in sottofondo alcuni elementi fondamentali, soprattutto nei paesaggi e nella raffigurazione dei fenomeni naturali in cui vibra sempre il sottofondo shintoista e taoista che si ibridò con lo Zen per dare forma alla concezione sacrale della natura propria dello spirito giapponese.

    Fig. 11
    Fig. 11. Utagawa Hiroshige, Il quartiere Itchcome a Nihombashi. Stampa della serie Cento vedute di Edo (1858).

    L’Ukiyo-e rappresenta una cultura urbana, quindi accanto ai temi tradizionali si diffonde un numero di soggetti attinenti agli spazi di vita quotidiana, personale e collettiva, con i suoi personaggi caratteristici, occupazioni e festività, luoghi e momenti di incontro. Un esempio può essere la stampa di Hiroshige raffigurante personaggi tipici di Itchcome, il vivace quartiere commerciale presso il ponte Nihombashi a Edo (fig.11), in cui un gruppo di ballerine Sumioshi, accompagnate da una suonatrice di shamisen, sta eseguendo uno spettacolo di strada sotto un ombrello. 
    Un altro soggetto prediletto è la vita nei quartieri dei piaceri, le cosiddette “città senza notte”, come Yoshiwara, il quartiere dei piaceri di Edo, in cui si aprivano botteghe e luoghi di incontro di vario genere, tra cui primeggiano le case verdi, o case da tè: padiglioni frequentati da artisti o letterati liberi dal rigore delle esistenze normali. Questi luoghi erano officiati, potremmo dire, da cortigiane raffinatissime, le geishe, soggetto prediletto delle stampe di Kitagawa Utamaro (fig.12), donne di altissimo prestigio che sapevano suonare, cantare, eseguire raffinate composizioni calligrafiche e comporre versi.

    Fig. 12
    Fig. 12. Kitagawa Utamaro, Trittico delle Geishe. Stampa a colori su carta (1805).

    Prototipo di una femminilità nobile, le geishe all’ora del crepuscolo uscivano per una sfilata lungo i viali delle città dei piaceri, come le bellezze che passeggiavano per il Bois de Boulogne per la delizia del Narratore della Recherche. Questo tipo di soggetti risultava più accessibile allo sguardo occidentale, e di fatto svolse un ruolo determinante nella apparizione del paesaggio urbano, introdotta dagli impressionisti, e in particolare nella raffigurazione dei luoghi scintillanti della vita notturna, soggetto di predilezione per artisti come Degas o Toulouse-Lautrec.

    E’ contrario allo spirito japoniste voler dare una definizione precisa ed esauriente dell’Ukiyo-e, termine composto da tre ideogrammi: Uki (fluttuante), yo (mondo), (termine che designa le immagini e dunque la pittura). Dunque Ukyio-e potrebbe essere tradotto con “immagini del mondo fluttuante”, oppure anche come pittura della vita che passa, della vita fluttuante. Ecco come descrive questo spirito lo scrittore Asai Ryoi, in un’opera del 1662 intitolata Ukiyo Monogatari, racconti dal mondo fluttuante:
    “Vivere momento per momento, volgere la propria attenzione allo spettacolo della luna, della neve, della fioritura dei ciliegi e delle foglie degli aceri, cantare canzoni, bere saké, dimenticarsi delle miserie, consolarsi della realtà, essere come una zucca vuota che galleggia sulla corrente del fiume: questo io chiamo Ukiyo.”

    Essere come una zucca vuota può sembrare un ideale poco appetibile per un occidentale, tuttavia, a parte il fatto che in Giappone la zucca è un simbolo della forza vitale, per la straordinaria rapidità della sua crescita, nell’Ukiyo Monogatari, la zucca vuota si riferisce a quel lavoro di svuotanento dell’eccesso di intellettualismo della mente cosciente che veniva perseguito in tutte le pratiche meditative. La vita fluttuante è quella che scorre non solo giorno per giorno, ma momento per momento. Quello che unisce le cose è la comune evanescenza, dunque tutto appare, riluce per un momento, lungo o breve che sia, e poi scivola via: nel corso fluttuante della vita non c'è nulla che si lascia afferrare o possedere in permanenza e in questo sottofondo di dolce malinconia troviamo una delle analogie più importanti con la sensibilità impressionista. 

    Admirable l’exposition japonaise. Hiroshige est un impressionniste merveilleux. Ces artistes me confirment dans notre parti-pris visuel”, scriveva Camille Pissarro al figlio Lucien.
    Il confronto con i prodotti di una cultura artistica antica quanto la nostra, ma sviluppatasi su binari completamente diversi, aveva, per coloro che cercavano nuove strade, il doppio valore di uno stimolo e di una conferma della giustezza della propria ricerca.

    Nella pittura del mondo fluttuante l’organizzazione dell’immagine non è vincolata alla presenza di un punto di vista unico, come nella prospettiva razionale dell’occidente, che aveva dominato per oltre quattro secoli: la prospettiva razionale subordina tutti gli elementi della composizione ad un punto centrale, chiamato punto di fuga, che funziona da organizzatore unico intorno al quale ruota tutta la composizione.

    Fig. 13
    Fig. 13. Utagawa Hiroshige, Il monte Inasa a Nagasaki. Stampa dalla serie Luoghi celebri delle sessanta province (1856).

    Se esaminiamo una stampa paesaggistica di Hiroshige, raffigurante il monte Inasa a Nagasaki (fig.13), vediamo un modo di costruire l’immagine del tutto diverso da quello prescritto dalle regole della pittura accademica. E’ come se Hiroshige avesse concepito questa veduta trovandosi su una montagna ben più alta rispetto al monte Inasa, di altezza almeno pari a quella dei picchi che si vedono all’orizzonte. Tuttavia questa ampissima visione non è coerente con la presenza della vela tagliata che occupa la parte inferiore del foglio, per cui ha adottato un punto di vista e una distanza completamente diversi.

    La sensazione di profondità è resa dalle dimensioni, dalle sfumature di inchiostro o di colore e dalla suddivisione dello spazio in piani paralleli, effetto accentuato dalla presenza delle nubi, con una prospettiva non lineare, ma aerea, senza una gabbia prospettica.
    Questo modo di diversificare i vertici prospettici, apre la strada all’inserimento di punti di vista molteplici all’interno della stessa immagine, che avrà una grande importanza per la ricerca Avanguardie del Novecento.

    A questo tipo di sensibilità visiva si può riferire anche il rifiuto della composizione simmetrica: un altro carattere tratto dall’estetica Zen è quella che viene denominata Fukinsei (irregolarità, asimmetria).

    Fig. 14
    Fig. 14. Suzuki Harunobu, Danzatrice Shirabyoshi su una imbarcazione. Stampa (1766).

    Nel mondo occidentale, dall’arte classica fino all’Ottocento, la simmetria è stata considerata un emblema di regolarità e ordine.  La concordanza tra le parti che si integrano in un tutto era l’immagine stessa della perfezione, tuttavia la completezza produce una sorta di ‘sazietà’ visiva: nell’immagine c’è tutto quello che vale la pena di vedere e al di fuori di essa non c’è altro.
    La asimmetria invece non aspira alla completezza, suggerisce che la realtà è sempre più ampia della sua rappresentazione. Nelle configurazioni giapponesi viene privilegiato un taglio visivo sbilanciato (fig.14) che lascia apparire solo una parte di ciò che viene raffigurato.

    Fig. 15
    Fig. 15. Claude Monet, Femmes au jardin (1867), Paris, Musée d’Orsay.

    Nel 1867 la giuria del Salon parigino ebbe il coraggio di respingere il quadro Femmes au jardin di Claude Monet (fig.15), in cui troviamo la disposizione decentrata, lo sviluppo in superficie e non in profondità, la combinazione di un punto di vista centrale e uno dall’alto e perfino alcuni tratti dei volti, come quello della donna con l’ombrellino, che richiamano le pitture giapponesi.
    Questo quadro venne respinto per una serie di ragioni: Monet aveva proposto una tela di grandi dimensioni, un formato tradizionalmente riservato ai generi nobili per una scena considerata insignificante dal punto di vista del contenuto. Inoltre il modo di dipingere venne giudicato impreciso, approssimativo, non rifinito.

    Fig. 16
    Fig. 16. Jean-Joseph-Xavier Bidaud, Le parc à Montfontaine (1806), Indianapolis Museum of Art.

    Se si vuole avere una idea di quale fosse considerato il modo giusto di dipingere, secondo i canoni dell’Accademia, si può confrontare il quadro di Monet con una veduta di Jean-Joseph-Xavier Bidaud (fig.16), in cui ritroviamo l’impostazione prospettica in profondità attraverso la convergenza verso il punto di fuga centrale, la nitidezza e precisione dei dettagli, l’uniformità tonale nel colore.

    Fig. 17
    Fig. 17. Claude Monet, En canot sur l’Epte (1875), São Paulo, Museu de Arte.

    Ma ormai la direzione presa da quelli che vennero chiamati pittori impressionisti era completamente diversa (fig.17): oltre a una grande libertà nel trattamento del colore, viene adottato in modo sistematico il nuovo tipo di cadrage asimmetrico, quello che viene chiamato correntemente “taglio fotografico” (fig.18), anche se in realtà la fotografia lo riprese dalla pittura di impostazione japoniste

    Fig. 18
    Fig. 18. Debussy e Chausson in barca (1901).

    Per comprendere la modernità dei tagli visivi delle stampe giapponesi si può osservare la veduta de Il tempio di Kinrȗ-zan ad Asakusa di Hiroshige (fig.19), in cui il paesaggio è attraversato in primo piano da una imbarcazione, tagliata alle due estremità, sulla quale si intravedono a sinistra i capelli e gli abiti di una donna, per il resto fuori scena. Sullo sfondo, in posizione del tutto decentrata, compaiono quelli che dovrebbero essere i soggetti principali: il tempio con la pagoda a cinque piani e la cima innevata del Monte Fuji.
    Il mondo fluttuante è un mondo decentrato e in questo si avvicina alla imprevedibilità e alla transitorietà di tutto ciò che esiste, cui si riferisce anche la pioggia di petali di fiori di ciliegio, che passano, come la barca, come la donna, come tutto.

    Fig. 19

    Fig. 19. Utagawa Hiroshige, Veduta del tempio di Kinryȗ-zan di Asakusa. Stampa dalla serie Cento vedute di Edo, 1857

    La forza di suggestione di queste immagini appare evidente nelle opere di Edouard Manet, come l’acquerello Bateaux en mer, soleil couchant (fig.20), che richiama molto da vicino le pitture ad inchiostro giapponesi oppure lo splendido quadro del 1874 En bateau (fig.21), in cui non c’è tanto una imitazione esteriore ma una reinterpretazione originale delle pitture giapponesi.
    L’effetto dinamico di questa immagine nasce dalla adozione contemporanea di due punti di vista diversi: il mare, che sale fino alla sommità della tela a riempire la linea di orizzonte, è visto dal basso, mentre le figure e la barca sono viste dall'alto. Questa instabilità conferisce movimento e vita all’immagine, diversamente da quelle impostate secondo la prospettiva centrale, che sembrano sempre in posa.

    Fig. 20
    Fig. 20. Edouard Manet, Bateaux en mer, soleil couchant (1868), Le Havre, Musée Malraux.

    Mentre una delle tendenze dominanti nella pittura occidentale era stata quella di aspirare alla totalità, alla compiutezza, alla precisione e alla perfezione formale, i tre ideogrammi che descrivono la concezione della bellezza per lo spirito giapponese potrebbero essere tradotti come “imperfetta, impermanente, incompleta”, che sono anche i tre concetti che definiscono l’esistenza per lo spirito Zen: non solo la bellezza artistica ma la vita stessa ha queste caratteristiche.
    Gli impressionisti mediano dai giapponesi un’idea fondamentale, che trasmettono all’arte contemporanea: la realtà è qualcosa di non ricostruibile integralmente, è qualcosa di percepibile e raffigurabile solo per momenti, per frammenti, per sensazioni o, appunto, per impressioni.

    Fig. 21 copia
    Fig. 21. Edouard Manet, En bateau (1874), New York, Metropolitan Museum.

    Nel terzo volume della Recherche, Marcel Proust, parlando del pittore Elstir, personaggio immaginario in cui sono condensati i tratti di diversi pittori inpressionisti, dà una delle più sensibili descrizioni del ‘mondo fluttuante’ della pittura impressionista: “Aveva saputo fermare la corsa del tempo in un istante luminoso. Ma precisamente perché quell’istante pesava su di noi con tanta forza, quella tela così fissata dava l’impressione più fuggitiva: si sentiva che quella dama si sarebbe presto voltata, le barche sarebbero sparite, l’ombra avrebbe cambiato posto, la notte sarebbe arrivata, e che ogni piacere finisce, che la vita passa, e che gli istanti, rappresentati tutti insieme con tante luci che erano loro inerenti, non si ritrovano più”.

    Fig. 22
    Fig. 22. Edouard Manet, Une botte d’aspèrges (1880), Colonia, Wallraf-Richartz Museum.

    Nello stesso volume Proust descrive con impareggiabile ironia la condiscendenza snobistica degli aristocratici acquirenti nei confronti della nuova pittura. In particolare nelle conversazioni a tavola, durante il pranzo in cui il duca di Guermantes, parlando con il narratore, menziona un altro quadro di Elstir: “So anch’io che sono semplici studi, ma trovo che non sono abbastanza approfonditi. Figuratevi che Swann aveva la faccia tosta di volerci far comprare un mazzo di asparagi. E sono rimasti persino qui un bel po’! Non c’era altro nel quadro: un mazzo di asparagi, precisi, identici a quelli che state mangiando adesso. Ma io, gli asparagi del signor Elstir non li ho mandati giù. Voleva trecento franchi. Trecento franchi un mazzo di asparagi? Andiamo, un luigi, anche se sono primizie! L’ho trovata un po’ dura (…) sono stupito che una mente fina, un cervello distinto come il vostro, possa amare quella roba”.

    Fig. 23Fig. 23. Edouard Manet, L’aspèrge (1880), Paris, Musée d’Orsay.

    Il quadro di cui si parla esiste davvero (fig.22), dipinto da Manet e acquistato da Charles Ephrussi, il direttore della Gazette des Beaux-Arts, sensibile intenditore e a sua volta collezionista di stampe giapponesi.
    Questo quadro è legato ad una vicenda singolare: Manet aveva chiesto per la tela ottocento franchi e l’acquirente, che al contrario del duca di Guermantes lo apprezzava molto, gliene diede generosamente mille. Manet che aveva classe da vendere e senso dello humour, gli fece recapitare un altro quadretto (fig.23), raffigurante un solo asparago, accompagnato da un biglietto: “Ne mancava uno al vostro mazzo”. Malgrado la straordinaria finezza dei toni grigi e malva di questo minuscolo quadro (cm.16x20), si può immaginare che cosa avrebbe detto il duca di Guermantes a proposito di questo asparago o anche a proposito del bouquet di violette con ventaglio (fig.24), una specie di ritratto simbolico di Berthe Morisot, cui fa riferimento il biglietto con dedica e firma.

    Fig. 24
    Fig. 24. Edouard Manet, Le bouquet de violettes (1872), Paris, Musée d’Orsay.

    Per il pubblico dell’epoca, ancorato alla importanza del contenuto, quadri come questi non significavano niente, erano futili o irrilevanti.
    Al contrario la pittura del mondo fluttuante è essenzialmente un’arte del dettaglio, in cui troviamo una attenzione, impensabile per un pittore occidentale, al minimo e all’infinitesimale, come si può vedere in un paravento di Ogata Korin un pittore vissuto tra la metà del Seicento e il primo quarto del Settecento, che rappresenta la riva di un ruscello ancora ricoperta di neve, mentre sull’estremità di un ramo già si aprono i primi fiori di pruno (fig.25).

    Fig. 25
    Fig. 25. Ogata Korin, Fiori di pruno bianchi, stampa con foglia d’oro(inizio XVIII sec.).   

    In opere come questa viene introdotto un accentuato grado di stilizzazione, utilizzando il fondo a foglia d’oro, che ne fa, malgrado l’epoca, una delle fonti di ispirazione per l’Art Nouveau.