• OFFICINA LETTERARIA
  • 23 Novembre 2022

    L'ANIMA NAPOLETANA E GLI EBREI

      Angelo Da Fano

    Voglio parlarvi dell’identità ebraica. L’identità ebraica è difficile da inquadrare, è sfaccettata, ha tanti elementi. Gli ebrei sono sparsi per il mondo e hanno preso da molte culture. Ma c’è un lato della loro identità che è comune a tutti: è quella napoletana. Siete mai stati a Tel Aviv? Un casino, tutti che strillano, gesticolano, ti vogliono vendere qualcosa… sembra di stare a Napoli.

    Argomentano continuamente; chaos e niente ordine; improvvisazione; informalità; poco rispetto per la gerarchia. In effetti gli ebrei hanno preso da molte culture perché sono stati cacciati continuamente. I napoletani non si sono mai spostati, invece, sono gli altri che sono andati da loro a dominare: greci, romani, ostrogoti, longobardi, normanni, angioini, spagnoli, francesi, borboni… e hanno imparato tutti e due l’arte di arrangiarsi e sopravvivere e... a ridere di ciò che li circonda e di se stessi. Sì, in comune hanno anche l’ironia e le barzellette. 

    Infatti, per un ebreo le barzellette fanno parte della sua identità, e, se sostituiamo il napoletano allo yiddish, cambia poco. Pensate che una definizione di ebreo è: colui che quando racconti una barzelletta lui ‘a’ sapev’ ggià, e comunque, l’avess’ raccuntàta meglio. Per chi non conosce lo yiddish, ho detto che “la sapeva già, e comunque l’avrebbe raccontata meglio”. 

    Questo è un rapporto personale con la barzelletta. Solo un ebreo, o un napoletano, potresti trovare a ridere come un matto:
    «Hahahahah...» 
    «Ma che ride a ffà?»
    «No... m’aggio raccuntàto nà barzelletta ca’ nun cunuscèvo».

    E ditemi se questa non la potrebbe raccontare Totò: due ebrei escono a passeggio, uno ha un ombrello. Comincia a piovere e quello senza ombrello dice all’altro:
    «Dai, apri l’ombrello».
    «Non serve, è pieno di buchi».
    «Ma perché l’hai portato, allora».
    «… E che né sapev’ io ca’ venèva a’ cchiòvere!»

    E poi gli ebrei gesticolano come i napoletani quando parlano.
    Due ebrei fanno naufragio. Arrivati a riva chiedono loro: «Ma come avete fatto ad arrivare a riva, che non sapete nuotare?». 
    «Amm’ parlat’, parlàt’, parlat’».

    A proposito, un ebreo va in un museo e vede una statua di Krishna a venti braccia: «nu - dice -, chisto sì che sape parlà».

    Un’altra cosa importante per gli ebrei, come per i napoletani, è il mangiare, non per niente hanno inventato il cibo kasher. Beh, al posto della pizza noi abbiamo la matzah… ma è per risparmiare sugli ingredienti… 
    E ci sono tante storie sui ristoranti kasher come per le pizzerie. E sono simili. Ristoranti e pizzerie sempre puliti, naturalmente, ma è bene fare attenzione, chi ‘o sape? Una volta che sono andato al ristorante al ghetto con un amico, abbiamo chiesto due bicchieri di vino. Io ho sottolineato: «mi raccomando, che il bicchiere sia pulito». Quando il cameriere è tornato con i due bicchieri di vino, ha chiesto: «Chi ll’ha ordinato o’ vin’ into o’ bicchiere pulito?» Oh, come in una pizzeria a Napoli...

    E gli ebrei si sanno adattare come i napoletani. Si arrangiano. Gli scienziati danno la notizia che i poli si stanno squagliando e che la Terra sarà sommersa dall’acqua: mancano solo 3 settimane allo scioglimento completo. I Cattolici vanno a Roma per pregare col papa per la salvezza del mondo; i Musulmani vanno a La Mecca per l’ultimo pellegrinaggio, gli Americani si mettono davanti alla televisione con Coca Cola e popcorn per vedere la fine del mondo in diretta; gli Ebrei vanno alla sinagoga dove il rabbino, alla fine della preghiera serale, dice: «Fratelli, abbiamo solo tre settimane per imparare a vivere sott’acqua». 

    E la famiglia? Per ebrei e napoletani non c’è niente di più importante. Un ebreo è in prigione con un goy, nella stessa cella. L’ebreo riceve ogni venerdì una lettera. Passano i mesi e il compagno di cella diviene sempre più curioso. Appena l'altro si gira, sbircia nella lettera e... è completamente bianca. Così per un paio di settimane. Finalmente si rivolge all'amico e gli chiede: 
    «Ma chi è che ti scrive tutti i venerdì?» 
    «Ah è frateme (1)». 
    «Ma la lettera è tutta bianca...» 
    «Eh sì. C’avimme appiccicate. So duje anne ca nun ce parlamm cchiù...» 

    Eppure c’è qualcosa che ci divide. Come al solito è la mamma ebrea. Una mamma napoletana direbbe: «Pascalì, statt’ accòrt’ ca si nun magne t’accìd!» Ma una mamma ebrea direbbe: «Moishele, guarda che se non mangi… mi uccido!» 

    E poi, l’altra cosa, è che a un prete napoletano non potrebbe mai succedere quello che è successo a rav Meyer. Il rabbino Meyer va al tempio, saluta la moglie e esce di casa. Ma quando è quasi arrivato alla Sinagoga si accorge di aver dimenticato il Siddur. Torna a casa e… trova la moglie a letto con un uomo. Appena vede i due, si rivolge alla moglie e dice: 
    «Sarah, Sarah cosa hai fatto… si comincia così e si finisce per non rispettare più lo Shabbat». 

    Comunque, in comune, abbiamo sempre il Signore che pensa a tutti e due. Un rav tenta il suicidio. Ha successo e muore. Sale in cielo e va al cospetto di Dio: 
    «Ma come, proprio tu, un mio rappresentante, non lo sai che il suicidio è proibito?» 
    «Non ho potuto fare altrimenti. Tu non immagini. Mio figlio si è convertito» 
    «Hiii… e allora? Anche mio figlio si è convertito. Che mi sono suicidato io?» 
    «E cosa hai fatto?» 
    «E c’aggio fatto… aggio fatto nu nuovo testamento.» 

    Per terminare c’è un’ulteriore cosa che ci accomuna: nessuno di noi comincia mai da zero o da uno. I napoletani ricominciano da 3, come ci insegna Troisi, e noi da 2, come ci insegna il Talmud.

    (1) frateme: mio fratello.