• OFFICINA LETTERARIA
  • 20 Novembre 2017

    Georges Perec: La vita, istruzioni per l'uso

      Alessia Moretti

    Non sempre un classico della letteratura si accosta alle discipline delle humanae litterae, ma può anche presentarsi come un gioco matematico, e assomigliare a un vero e proprio cubo di Rubik.

     

    È in questo modo che Georges Perec, membro nel 1960 dell’OuLiPo (Officina di Letteratura Potenziale), crea il rompicapo “La vita, istruzioni per l’uso”.

    La filosofia della corrente artistica dichiarava di voler creare degli schemi, delle strutture, dei disegni geometrici, dentro cui far muovere la propria narrazione. L’intento della sperimentazione, infatti, era quello di creare delle vere e proprie dimostrazioni pseudoscientifiche sui dogmi della vita.

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    Ma oltre a questa strategia, nel romanzo, troviamo l’uso anche di un’altra meravigliosa tecnica: il realismo magico, un movimento artistico, che mira a cogliere il senso del mistero negli elementi del quotidiano, facendo apparire la realtà come un sogno e il sogno come realtà.

    Ed è con questi due curiosi ingredienti che il narratore si cimenta in un racconto insolito poiché rivela dei fatti straordinari, più reali di quelli appartenenti al mondo fenomenico, abbandonando i normali strumenti conoscitivi. L’unica regola da seguire: credere e non credere alla magia.

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    Così Perec inizia il suo gioco di prestigio: congegna uno stabile parigino situato al numero 11 di Rue Simon Crubellier nel XVII arrondissement, suddiviso in 8 piani, più piano terra e cantine, con molti appartamenti.

    Sì, tutto potrebbe iniziare così, qui, in questo modo, una maniera un po’ pesante e lenta, nel luogo neutro che appartiene a tutti e a nessuno, dove la gente s’incontra quasi senza vedersi, in cui la vita dell’edificio si ripercuote, lontana e regolare.

    Un vero e proprio cubo, con 10 caselle per lato. Ogni stanza un luogo da esplorare, come in un gioco di ruolo, e a ciascuna camera corrisponde un capitolo. Il disegno finale sarà così composto di 99 capitoli in tutto, ma mancherà proprio l’ultimo tassello, finestra verso un nuovo problema.

    Gli abitanti di uno stesso edificio vivono a pochi centimetri di distanza, separati da un semplice tramezzo, e condividono gli stessi spazi ripetuti di piano in piano, fanno gli stessi gesti, nello stesso tempo, aprire il rubinetto, tirare la catena dello sciacquone, accendere la luce, preparare la tavola, qualche decina di esistenze simultanee che si ripetono da un piano all’altro, da un edificio all’altro, da una via all’altra.

    Ogni casella rappresenta il pezzo di un puzzle, che può essere capito solo nell’insieme, nell’accostamento, nel confronto con altre forme. Perec costruisce un sistema di scatole cinesi, tale da raggruppare ben circa 700 storie; un libro tridimensionale che muta la sua natura con lo scorrere delle pagine, disponendo sotto l’occhio del lettore la sequenza con cui leggere il grande dipinto a ingranaggio.

    Se ne potrà dedurre quella che è probabilmente la verità ultima del puzzle: malgrado le apparenze, non si tratta di un gioco solitario: ogni gesto che compie l’attore del puzzle, il suo autore l’ha già compiuto prima di lui; ogni pezzo che prende e riprende, esamina, accarezza, ogni combinazione che prova e prova ancora, ogni suo brancolare, intuire, sperare, tutti i suoi scoramenti, sono già stati decisi, calcolati, studiati dall’altro.

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    Tra le innumerevoli stanze che visitiamo capiamo, pian piano, chi sia in realtà il volto del protagonista: Percival Bartlebooth, un enigmatico miliardario inglese del terzo piano, il quale per circa 10 anni, prende lezioni di disegno, pur non essendone interessato, per poi fare un viaggio lunghissimo in tutto il mondo. Scopriamo che il suo scopo è quello di dipingere una marina in ogni luogo che visita, per poi inviarla ad un altro abitante dello stabile, Gaspard Winckler, perché questi possa attaccarla a un pezzo di legno a comporre un rompicapo.

    Ma non finisce qui. La sua missione termina solo quando, al suo rientro, riprende in mano i suoi quadri-puzzle, li risolve e li rispedisce nel luogo dove sono stati realizzati.Ecco che ci troviamo di fronte alla grandezza di questo personaggio e a quella del suo autore: Bartlebooth si dedica, per un’intera vita, a un progetto senza senso, di cui non rimarrà traccia alcuna.

    Ed è così che, spesso, avanza l’umanità. Si muove con traiettorie imprevedibili in caselle vuote, prende delle scelte e non altre, si accanisce su ostacoli sormontabili, si affatica per aggiungere sterili tacche alla cintura e inciampa su dolori insanabili, alla ricerca di una meta ingannevole.

    Eppure, messi davanti a queste riflessioni, questo romanzo, o meglio, questa scatola magica, non è un’opera che ci scoraggia. Anzi, ci prepara ad accettare la bellezza di una vita incontrollabile.

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