• Diario d'ascolto
  • 19 Marzo 2020

    PIERROT CINEMATOGRAFICO CON MUSICA

      Carlo Piccardi

    La relazione più diretta tra cinema e musica è verificata nella trasposizione filmica di opere musicali. Da quasi un secolo la commedia musicale americana è lì a dimostrare la solidità di un rapporto responsabile della creazione di un genere cinematografico reale e vitale.

     

    Nella sua derivazione dai precedenti teatrali l’arte cinematografica si trovò tuttavia confrontata con il teatro musicale fin dai primi tempi. Del 1904 è un Parsifal americano che trasponeva l’omonima opera wagneriana, del 1907 è una prima versione dei Pagliacci di Leoncavallo, cinematograficamente replicato almeno sette volte fino al 1928 (cioè fino all’avvento del film sonoro). Accanto a Tosca, a Cavalleria rusticana e a molte altre opere celebri, il primato della riduzione cinematografica spetta a Carmen che nei cataloghi appare per la prima volta nel 1907 e che, in tutto l’arco di sviluppo del cinema muto, venne riadattata almeno altre diciannove volte.
    Ovviamente tali operazioni implicavano la presenza diretta della componente musicale, sia nella forma rudimentale ed avventurosa di una sincronizzazione attraverso la riproduzione discografica, sia con l’esecuzione dal vivo di un accompagnamento pianistico o orchestrale ricavato dalle partiture originali. Talvolta l’adattamento costituì una vera e propria rielaborazione, mobilitando gli autori dell’opera originale nella responsabilità dell’intervento traspositivo. Del 1926 è la versione cinematografica del Rosenkavalier per cui Hofmannstahl rifece parzialmente la sceneggiatura e per la quale Richard Strauss stesso rielaborò in versione esclusivamente strumentale la partitura.

     Histore dun Pierrot della pantomima di Fernand Beissier
    L'Histoire d'un Pierrot, versione cinematografica della pantomina di Fernand Beissier

    Uno dei primi esempi di tale prassi riguarda L’histoire d’un Pierrot adattato a cinema nel 1914 da Baldassarre Negroni per l’Italica Ars, dopo aver goduto di un vasto successo internazionale fin dal 1893, data della sua prima rappresentazione a Parigi.
    Si tratta di una pantomima, originale nell’articolazione della vicenda la quale anima un personaggio di spettacolo popolare assurto nel contempo a simbolo della sensibilità decadente che attraversava in quei decenni tutti gli strati della cultura.
    Ne era autore Pasquale Mario Costa, noto compositore di canzoni napoletane e di romanze la cui formazione accademica gli fornì tuttavia i mezzi per ambire a livelli più alti, quelli dell’operetta (Il Capitan Fracassa, Torino 1909, Scugnizza, Torino 1922, Il re delle api, Milano 1925, Mimì Pompon, Milano 1925) e addirittura dell’opera (Le disilluse, Napoli 1899). La sua esperienza internazionale (a Parigi e a Londra soprattutto) gli fornì inoltre la base per individuare un ambito d’azione distinto dalle correnti di musica dotta e d’altra parte non direttamente assimilabile alla produzione leggera di consumo che egli stesso rappresentava come compositore di canzoni napoletane.

     Histore dun Pierrot della pantomima di Fernand BeissierPierrot

    L’histoire d’un Pierrot è sicuramente un’opera chiave il cui esame permette di risalire a uno stadio della pratica musicale oggi ormai spento e che, come livello intermedio tra espressione colta e popolare, ebbe un ruolo ben preciso e funzionale nella società anteriore alla prima guerra mondiale. Alimentato dalla stessa vena melodica presente nella sua pratica canzonettistica, la musica della pantomima di Costa dispensa emozione e pathos con una facilità temperata in un’articolazione attenta al meccanismo teatrale dell’azione, per la quale riserva la messa in opera di mezzi drammatici magistralmente padroneggiati e un’arte di gestire i contrasti che sarebbe impensabile senza la conoscenza approfondita della tradizione operistica nazionale. Testimonianza di un’arte leggera di concezione elaborata, chiamata a colmare il vuoto lasciato da un’arte dotta ormai addentrata nell’irto cammino di un esclusivismo senza ritorno, il Pierrot di Costa meriterebbe dii essere studiato insieme ad altre manifestazioni parallele dell’epoca come indizio di un bisogno sociale e culturale che la musica nelle sue espressioni «ufficiali» e «leggere» non soddisfaceva più.
    Non è quindi casuale che nel 1914 nascesse l’idea della trasposizione di questo lavoro per lo schermo cinematografico, per una forma artistica cioè essa pure intermedia tra le pratiche teatrali dotte, che guardavano con diffidenza la nuova venuta nata e cresciuta nell’àmbito dell’intrattenimento di massa, e le manifestazioni subalterne degli spettacoli popolari dai quali tentava di emanciparsi. Accanto ad altre ambiziose operazioni cinematografiche italiane maturate in quello stesso anno - a Cabiria con musica di Pizzetti e a Rapsodia satanica con musica di Mascagni - L’histoire d’un Pierrot nella versione di Negroni è forse quella che in modo più appropriato si sviluppa al livello delle attese del tempo, di un’arte coltivata senza venir meno all’esigenza di parlare a un vasto pubblico e di un’arte leggera in grado di elevarsi a gradi accettabili di raffinamento.

     BALDASSARRE NEGRONI
    Baldassarre Negroni

    La trasposizione cinematografica de L’Histoire d’un Pierrot rivela pure il debito che il cinema contrae con la pantomima. Come modello di recitazione, più del teatro di prosa la pantomima rappresenta il diretto antecedente dell’«arte muta» nella necessità di fissare l’espressione nella gestualìtà. Nella pellicola in questione inoltre, vedendo in azione attori illustri quali Francesca Bertini (Pierrot), Leda Gys e Emilio Ghione, si dimostra ancor più l’esemplarità di tale derivazione.
    Ma la pantomima rappresenta un modello anche per gli sviluppi della musica cinematografica. Pur con qualche adattamento (l’aggiunta di un entr’acte, l’abbreviazione o l’allungamento di certe scene, e la nuova strumentazione che vent’anni dopo era chiamata a tener conto dei mutamenti di gusto) la musica di questo film rimane la stessa della pantomima, articolata in modo drammatico narrativo, costruita sui gesti, sui movimenti, sulle azioni, aperti a commenti lirici, ma sostanzialmente obbediente a una logica drammatica fondata sul continuo divenire degli accadimenti in uno sviluppo senza ritorno, nel senso che il Leitmotiv (di cui è fatto abbondante uso) non significa cristallizzazione di forme chiuse ma si presenta ogni volta con fisionomia diversa sottolineando lo sviluppo della vicenda nel tempo.