• Diario d'ascolto
  • 20 Aprile 2020

    MUSICA PER LO SCHERMO MUTO

      Carlo Piccardi

    Il termine di film sonoro si contrappone a quello di film muto solo per il fatto di presentare una colonna sonora incorporata alla pellicola sullo stesso supporto di celluloide necessario alla proiezione delle immagini, mentre ciò non è il caso del secondo che, per aver conservato l’immagine separatamente dal suono, viene ancor oggi considerato e analizzato come fenomeno puramente visivo.

     

    La necessità della dimensione musicale ai primordi del cinematografo è invece ampiamente dimostrata dalla presenza di pianisti, orchestre grandi e piccole nelle sale di proiezione che i cronisti di fatti cinematografici non mancavano di considerare nei loro commenti, a dire il vero assai più di quanto i critici cinematografici nostri contemporanei non facciano nei confronti delle colonne sonore a volte pregevoli degli odierni film.

    LA VITA CINEMAT

    Considerando la funzione delle orchestre nei cinematografi di Venezia il corrispondente della rivista «La vita cinematografica» (22 novembre 1914) rilevava: «In quest’arte nostra del silenzio il suono dovrebbe completare con sensazioni auditive le sensazioni visive, cercando quasi di commentarle, di addolcirle, disponendo la nostra anima ad assimilarle, godendole».
    Si tratta di una delle molte testimonianze rivelanti come, sui primi spettatori, il cinema producesse in un certo senso uno shock, portando esso in primo piano l’immagine della realtà nuda e cruda dove i mezzi della mediazione registica evidentemente erano ritenuti insufficienti a procurare quell’aura di cui si riteneva dovesse essere soffusa l’opera d’arte, apprezzabile proprio nella misura in cui essa si dichiarava prodotto di finzione, non trasposizione della realtà.

    FRANCESCA BERTINI IN FEDORA DIRETTO DA GIUSEPPE DE LIGUORO E GUSTAVO SERENA 1916
    Francesca Bertini in Fedora, film diretto da Giuseppe De Liguoro e Gustavo Serena, 1916 

    Significative appaiono le considerazioni di un anonimo cronista («La vita cinematografica», 20 dicembre 1910) il quale di fronte al tentativo di Edison di commerciare l’invenzione del Kinetofono, cioè della possibilità di abbinare all’immagine parole e suoni, insorgeva: «Oh Dio! sarà poi una gran festa per le povere umane orecchie, già così duramente messe alla prova nella vita quotidiana, con rumori assordanti? È così bello veder svolgersi dinanzi a noi scene orribili senza nessuna spesa del nostro udito stanco, che invece è dolcemente accarezzato dal piano, o addormentato da qualche lamentoso violino! E chissà che qualcuno non abbia poi a dire: si stava meglio e si godeva di più quando l’illusione era soltanto per gli occhi!»

    Il volto di Medusa di Alfredo De Antoni 1920
    Il volto di Medusa di Alfredo De Antoni, 1920

    La funzione della musica nei primi anni del cinematografo era quindi anche lenitiva e lo dimostra la prassi della scelta dei brani di accompagnamento, notoriamente affidata al repertorio del pezzo caratteristico ottocentesco, in cui significativamente ritroviamo la sistematica associazione ad esempio di scene di moderno naturalismo (la ferrovia) con la «Canzone dell’arcolaio» dell’Olandese volante, oppure di immagini d’aeroplano con il Rondò capriccioso di Mendelssohn (si veda il manuale per i musicisti dei cinematografi pubblicato nel 1924 da Ernö Rapee), dove risulta palese l’intenzione di poeticizzare attraverso la musica la prosaicità del reale.

    MUTO 2

    Per di più la musica era presenza particolarmente avvertita, come dimostra la notizia di un corrispondente da Brescia de «La vita cinematografica» (22 agosto 1916): «le sale cinematografiche vengono prese d’assalto, specie se le proiezioni sono accompagnate da buoni commenti musicali o intercalate da interessanti numeri di varietà».
    La consuetudine di incorniciare la proiezione in un dichiarato spettacolo di varietà, protrattasi fino a tutti gli anni venti, probabilmente non era solo fondata sul pretesto di accrescere il potere d’attrazione dell’appuntamento cinematografico, bensì anche per esorcizzare il potere di realismo dell’immagine filmica inserendola in un contesto di dichiarata finzione. Alla musica nelle sale di proiezione è riconosciuto un vero e proprio potere incantatorio: «Un bravo elogio va al maestro di musica Luigi Rosani, il quale è un pianista appassionato e pieno di gusto; egli sa farsi apprezzare, ottenendo dal pubblico un silenzio religioso durante le proiezioni, poiché ad ogni quadro che sta per svolgersi, egli, con quella agilità di tocco che gli è propria, sa trarre dal pianoforte note melodiose e improvvisazioni patetiche, da rallegrare l’orecchio e commuovere il cuore dei presenti» («La vita cinematografica», 15 aprile 1913).

    METROPOLIS MANIFESTO


    METROPOLIS 4

    Funzione del pianoforte era però anche quella di aderire alla drammaturgia sottesa al corso delle immagini, di assicurare un sincronismo perlomeno di atmosfera: ancorato il film per mezzo della musica al livello di finzione (addomesticata in tal modo la realtà), con essa era possibile giocare in un certo senso a rimpiattino mimandola attraverso il suono. Secondo le occasioni l’illusionismo mimetico poteva essere rafforzato mediante effetti di percussione o addirittura rumoristici.

    FRANCESCA BERTINI
    Francesca Bertini

    Lo desumiamo dalla cronaca su Roma o morte presentata in un cinematografo veneziano («La vita cinematografica», 22 febbraio 1914): «Ho trovato un po’ fuori posto certi colpi di gran cassa che, a mio avviso, facevano ridere in luogo di dare la illusione perfetta della presa di Roma!! Si convinca la spettabile Direzione del San Marco che certi istrumenti sonori sono appropriati a locali popolari dove al pubblico piace moltissimo; ma non credo alla clientela scelta del San Marco». Tale testimonianza tocca il momento cruciale della mutazione sociologica dello spettacolo cinematografico, dapprima nato in funzione del pubblico proletario delle fiere e poi promosso a occasione di intrattenimento culturale del pubblico borghese, trapasso musicalmente registrato dal passaggio dalle improvvisazioni e dalle compilazioni di pezzi caratteristici affidate ai pianisti alle partiture orchestrali appositamente composte da autori illustri (Saint-Saëns, Humperdinck, Mancinelli, Mascagni e altri).