• Diario d'ascolto
  • 2 Agosto 2021

    LOTTE LENYA: UNA VOCE, UN'EPOCA

      Carlo Piccardi

    Mia moglie è una casalinga incapace, ma un’eccellente attrice. Non sa leggere una nota, ma quando canta la gente la sta ad ascoltare come fosse Caruso. (D’altra parte si può forse lamentare un compositore la cui moglie non sappia leggere la musica?). Non si cura del mio lavoro (questo è uno dei suoi più grandi pregi). Ma andrebbe su tutte le furie se io non mi interessassi del suo. Ama circondarsi di alcuni fedeli amici, e spiega ciò col fatto di trovarsi assai male con le donne. (Forse le capita di trovarsi tanto male con le donne proprio in quanto si accontenta della compagnia di alcuni amici). Mi ha sposato con l’intenzione di conoscere la bruttezza e oggi afferma di essere riuscita a esaudire il suo desiderio in misura sufficiente. Mia moglie si chiama Lotte Lenya” (14 aprile 1929).

    Con queste parole, pronunciate con paradossale affettuosità, Kurt Weill descriveva la personalità di Lotte Lenya, l’attrice che egli conobbe di sfuggita all’epoca della rappresentazione della pantomima Die Zaubernacht (1922) e che poi ritrovò nel 1925 in casa di Georg Kaiser, il drammaturgo con il quale collaborò prima di passare al sodalizio con Bertolt Brecht. In casa dei Kaiser la Lenya ripagava il vantaggio di entrare in contatto col grande mondo del teatro prestandosi a svolgere compiti di donna delle pulizie. Niente di più facile per una ragazza nata nel 1898 nel quartiere popolare viennese di Hitzig, figlia di un vetturino e di una lavandaia. L’istinto del teatro l’aveva d’altronde già portata a danzare la czarda a sei anni in un circo di periferia e a esibirsi a otto come equilibrista sulla fune. Sbaglieremmo tuttavia a considerare le sue capacità sceniche come semplice frutto di natura.

     LOTTE
    Lotte Leyda

    Durante gli anni della prima guerra mondiale, quando andò ad abitare a Zurigo presso una zia, Lotte Lenya studiò regolarmente danza nella scuola dello Stadttheater, dove riuscì anche a farsi affidare qualche ruolo in operette, pantomime e lavori teatrali in genere. Stabilitasi a Berlino in cerca di miglior fortuna, l’incontro con Weill, istituzionalizzato col matrimonio nel 1926, fu determinante.
    Di fronte agli esiti di Mahagonny, dell’Opera da tre soldi, di Happy End, dei Sette peccati capitali possiamo oggi ben dire che, dietro la riuscita del binomio Brecht-Weill, si celasse un altro collaudatissimo binomio (Weill-Lenya), senza il quale non potremmo acquisire la chiave per penetrare la pregnanza dei celebri song del musicista.

     WEIL E LOTTE 2
    Kurt Weil e Lotte Leyda

    La Lenya fu protagonista di tutti questi lavori, fornendo al marito la possibilità di mettere a punto e di verificare una nuova maniera di canto direttamente compenetrata alla recitazione, indispensabile ad assicurare all’esito quel mordente e quell’aggressività che di quei prodotti fecero strumenti di denuncia delle ipocrisie, delle manie e delle colpe della società del tempo.
    Nelle sue interpretazioni fu codificato per la prima volta il principio del distacco, quel gioco ammiccante di piani distinti (dal parlato al canto spiegato) messi in opera per vincere la tentazione dell’immedesimazione, che Brecht concepì come uno dei termini costitutivi dell’estetica del teatro epico, che Weill tratteggiava nella sua notazione punteggiata di colpi risolutori tra la protervia di un recitare cantando che il drammaturgo chiamò “parlare contro la musica” e il rapimento melodico di esagerati gesti lirici, e che Lotte Lenya profilò con una voce capace di passare dal lacerato accento di denuncia a un grado struggente di partecipazione a sentimento carico di morbosità.

     WEIL LOTTE E BRECHTBertold Brecht, Lotte Lenya e Kurt Weil

    Ancor oggi il problema dell’interpretazione dei song di Weill resta in gran parte irrisolto, per il fatto di non poter contare su artisti di formazione accademica o su attori sufficientemente duttili da poter adeguarsi a un’esigenza che oltretutto non può essere sintetizzata in una tecnica bensì piuttosto in una disposizione d’animo. L’unico riferimento per tenere in vita uno dei repertori più significativi del nostro tempo rimane dunque il modello di Lotte Lenya, fortunatamente conservato attraverso le registrazioni fonografiche per mezzo delle quali sarà ancora possibile cogliere la traccia di un modo espressivo senza cui la semplice notazione sul pentagramma non potrebbe raggiungere lo scopo.

    La musica di Weill è grande e insostituibile. Legata com’essa fu alle singolari vicende amare ed entusiasmanti, profondamente tragiche e intensamente creative dell’epoca che attraversò (la stagione della Repubblica di Weimar), essa sopravvive ancora nella misura in cui vi appare radicata, quindi anche nel gesto, nel tratto graffiante con cui aveva spavaldamente affrontato il pubblico berlinese. Per questo motivo l’aspetto interpretativo vi è indissolubilmente connesso e assume un peso ben maggiore di quanto possa valere per una qualsiasi altra restituzione musicale. La voce di Lotte Lenya ne fu depositaria tanto quanto la sua sferzante scrittura.

     LOTTE IN SCENA LOPERA DA TRE SOLDI 1931
    Lotte Lenya ne L'opera da tre soldi, 1931

    Accompagnando il compositore nel destino che nel 1933 lo condusse emigrante in Francia e nel 1936 negli Stati Uniti, ella gli fu vicina nel non facile processo di adattamento a un contesto completamente diverso che costrinse Weill al compromesso con le consuetudini sostanzialmente commerciali di Broadway. Ascoltando oggi la sua voce in “Mon ami, my Friend” (da Johnny Johnson, 1936), nella “Saga of Jenny” (da Lady in the Dark, 1941) e in altre canzoni da commedie musicali di Weill che accettò di interpretare almeno su disco, riusciamo a capire il peso e l’importanza da lei avuti nel consentire al musicista di contrabbandare perfino nelle forme convenzionali ed evasive degli standardizzati modi americani l’enorme capacità d’impatto, la sfigurata durezza di timbro e la carica provocatoria preservata in una delle espressioni fondamentali del secolo scorso.