• Diario d'ascolto
  • 20 Febbraio 2020

    LA RADIO DIDATTICA DI BRECHT E WEILL

      Carlo Piccardi

    Il volo di Lindbergh risale al 1929 e, come la Kleine Mahagonny fu presentato da Brecht e da Weill (ma anche Hindemith mise mano alla musica) al Festival di Baden-Baden. Immediatamente posteriore al successo dell’Opera da tre soldi, questo lavoro di più modeste dimensioni se ne scosta visibilmente.

     

    Innanzitutto in modo clamoroso esso non solo fa riferimento all’immediata attualità, ma si impernia intorno all’impresa più discussa di quegli anni, la trasvolata dell’Atlantico che assicurò a Charles Lindbergh la celebrità. Secondariamente Brecht vi pose il problema dell’uso non evasivo dell’ultimo venuto tra i mezzi di comunicazione, prospettando la possibilità di coinvolgere il radioascoltatore invitato a recitare la parte del pilota protagonista, integrando in modo critico quegli elementi narrativi che l’apparecchio ricevente avrebbe potuto portargli in casa, vale a dire la voce degli ostacoli naturali (la nebbia, la tempesta, il sonno), i cori delle folle entusiasmate dall’impresa e tutto l’apparato descrittivo rappresentato dai rumori del motore, del vento, dell’acqua ecc.

    MANIFESTO LINDBERG COVER

    Tale tentativo di Brecht rimane unico nel suo genere, e - irrisolto com’è nella pretesa d’impiego radiofonico - il suo significato sarebbe irrilevante se cronologicamente esso non apparisse come il momento risolutore della svolta drammaturgica costituita dal «teatro didattico» a cui il poeta di Augusta si sarebbe consacrato negli anni immediatamente successivi.

    Sintomaticamente sarà proprio la materia di questo lavoro di secondaria importanza a costituire oggetto di più profonda analisi critica nel Badener Lehrstück vom Einverstündis, dove, in prospettiva più ragionata, l’audace atto di eroismo viene messo in questione all’interno di una problematica che svela l’effimera portata dell’impresa individuale di fronte agli aspetti di implacabile denuncia emergenti dalla situazione collettiva interpretata alla luce dell’ipotesi del riscatto sociale. Il Flug des Lindberghs termina infatti lasciando aperto il discorso sulla «cronaca del non ancora raggiunto».

    BRECHT
    Prove del Flug des Lindberghs, 1928 (Deutsches Rundfunkarchiv)

    La svolta del teatro brechtiano, in questa sede impegnato a dar forma al concetto problematico del prodotto estetico che si assume il compito di illuminare la ragione nell’interpretazione delle contraddizioni della realtà sociale e nella prospettiva del suo ineluttabile superamento, non rinuncia all’apporto delle risorse del «teatro epico», ma ne situa il ruolo in più rigorosa definizione delle funzioni che non ammette ridondanze e compiacimenti.

    BRECHT
    Bertolt Brecht

    Dopo la presentazione del 27 luglio diretta da Hermann Scherchen, Kurt Weill decise di ristrutturare il lavoro escludendo le parti che erano state affidate a Hindemith e ricomponendole («Ambedue abbiamo considerato la versione di Baden-Baden solo come un esperimento unico e interessante destinato a un preciso scopo.
    Ci siamo resi conto che una vera unità artistica non si sarebbe potuta ottenere a causa delle nostre nature diverse»). Riscritto con il titolo di Der Ozeanflug, esso fu presentato in forma di cantata a Berlino il 5 settembre 1929 sotto la direzione di Otto Klemperer.

    Lo stacco rispetto alle precedenti operazioni teatrali congiuntamente condotte da Brecht e Weill era troppo grande per non comportare un orientamento sostanzialmente diverso della musica. Il song, che Weill nelle precedenti esperienze aveva consegnato nelle mani di Brecht come strumento capace di assicurare agli attori la sostanza del gesto in complessa oscillazione dialettica tra distacco e immedesimazione, nel «teatro didattico» subisce una riduzione adottando una veste stilistica disadorna. Parallelamente alla semplificazione emblematica dell’azione, attraverso un linguaggio costituito di enunciazioni lapidarie e dimostrative, la musica si articola in formule recitative livellate, con il compito di far da supporto a parole congelate in un discorso aritmeticamente lineare.

    KURT WEILL
    Kurt Weill

    Ne Il volo transoceanico la pregnante allusività del song si affaccia una sola volta, nel movimento slow assegnato al blues evocato nella scena del sonno contro cui l’aviatore lotta nel momento di maggiore stanchezza. 

    Per il resto il discorso musicale tende a realizzare la medietà di un linguaggio sobrio, che rinuncia a caratterizzarsi per non diventare fattore di selezione di livello rispetto al pubblico.
    Nelle note al programma nella presentazione di Baden-Baden si poteva leggere: «La musica radiofonica non si rivolge a un determinato strato sociale, ma all’uomo tout court».
    Possiamo capire come il song, dichiaratamente ammiccante al gusto smaliziato del pubblico berlinese, con le piccanti allusioni al jazz e alla moda americana che aveva conquistato l’élite urbana europea, non potesse adattarsi a modello di un’espressione che pretendeva una portata più generale.


    Weill non ebbe difficoltà a richiamarsi alla stagione neo-oggettivistica precedente le sue collaborazioni con Brecht quando, sulla base di un contrappunto discretamente dissonante e della sillabicità dell’intonazione vocale (che tentava di recuperare nel riferimento stilistico il senso delle geometriche e didattiche liturgie bachiane), già aveva per suo conto esercitato il distacco dall’espressione lirica.
    Con lo stile didascalico concepito per la rappresentazione musicale della parabola di Lindbergh egli fissava la cifra musicale che sarebbe altresì stata adottata dai compositori (Eisler, Dessau, ecc.) associati in seguito da Brecht a collaborare allo sviluppo del suo «teatro didattico».
    La traccia era fornita dal poeta stesso il quale, per la rappresentazione di Baden-Baden, aveva steso una serie di Principî sull’uso della radio, dove si poteva leggere: «Per godere la musica occorre che non sia possibile nessuna distrazione. Sensazioni vagolanti durante l’esecuzione di musica, specialmente pensieri scoordinati come vengono alla mente quando la si ascolta, sfinimento del corpo come facilmente si produce col primo ascolto musicale, distraggono dalla musica e ne riducono il godimento (...). Al fine di evitare queste distrazioni colui che pensa partecipa alla musica seguendo il principio: agire è meglio che sentire, leggendo la musica e canticchiando a bocca chiusa le voci mancanti, oppure seguendo sul testo con gli occhi, oppure cantando ad alta voce insieme ad altri».

    WEILL E BRECHT
    Bertolt Brecht e Kurt Weill

    Tali principi a Baden-Baden furono proiettati su un grande schermo posto in fondo alla scena divisa in due parti: dall’una stavano coro, cantanti, strumentisti, dall’altra (separata da un paravento) era riprodotta la stanza di soggiorno del radioascoltatore mostrato in maniche di camicia ad accennare, parlando e cantando, alla parte di Lindbergh.

    In che misura tale ideale di coinvolgimento del radioascoltatore si sia realizzato è dimostrato dalla brevità del ciclo di esperienze che associarono musicisti, scrittori, registi nella teoria e nella prassi di un’arte radiofonica autonoma. Si trattò di una stagione effimera, tuttavia intensa. Weill in particolare vi partecipò fin dal 1925 quando iniziò a collaborare al settimanale Der deutsche Rundfunk come critico capo e corrispondente berlinese, con una lunga serie di presentazioni delle relative trasmissioni musicali. Di qui maturò l’interesse per l’attività radiofonica vera e propria, che si concretizzò nella composizione occasionale di musiche di commento e, prima ancora del Volo di Lindbergh, del Berliner Requiem, commissionatogli nell’ambito di una vasta iniziativa tendente a coinvolgere i musicisti più in vista delle nuove tendenze (quali Hindemith, Schreker, Hauer) nella composizione di opere espressamente concepite per il nuovo mezzo. Per Weill ciò rappresentava innanzitutto una riqualificazione sociale del fatto musicale:

    «La radio, per la prima volta nella nostra epoca, pone al musicista il compito di creare lavori che possano coinvolgere la più grande cerchia di ascoltatori possibile. Contenuto e forma di tali composizioni radiofoniche devono dunque essere in grado di interessare una grande quantità di uomini di ogni ceto».

    Ne nacque una cantata concepita in collaborazione con Brecht nel periodo novembre-dicembre del 1928. I testi furono scelti fra poesie di Brecht precedentemente pubblicate e riunite sotto il titolo di Requiem di Berlino nell’occasione che il compositore dichiarò dovesse essere intesa in questo modo: «Il titolo Das Berliner Requiem non è assolutamente pensato in termini ironici, bensì volevamo tentare di dare una testimonianza sul tema della morte come è oggi sentita dall’uomo che abita la grande città. Il tutto si presenta come una serie di canti funebri, di lapidi commemorative, di iscrizioni tombali, cioè come in un Requiem profano».

    NYT E BERLINER REQUIEM
    Il New York Time recensisce il Berliner Requiem 

    In verità Brecht e Weill realizzarono un breve saggio che prelude, per trasparenza e severità liturgica, alla linearità didascalica del teatro didattico. L’essenzialità e la sobrietà della realizzazione musicale è altresì conseguenza della circostanza che imponeva a un musicista particolarmente scrupoloso nell’uso del mezzo come Weill di tener conto dei limiti della tecnica microfonica di allora, sfavorevole alla riproduzione di determinate sonorità, come per esempio quelle degli archi. Ciò spiega la decisione di far capo a una ben selezionata compagine di strumenti a fiato.

    La prima esecuzione del lavoro avvenne a Radio Francoforte il 22 maggio 1929 sotto la direzione di Ludwig Rottenberg. Nel 1931 la cantata fu sottoposta a revisione e, nella forma definitiva, predisposta (come d’altronde Il volo transoceanico) per essere eseguita da complessi scolastici e amatoriali; ciò che avvenne con una certa frequenza in Germania fino all’avvento del nazismo che, mettendoli al bando, ne troncò il messaggio sociale.

    BERLINO 1928
    Berlino, 1928