• Diario d'ascolto
  • 28 Febbraio 2018

    L'erratico Lazarus di Schubert

      Carlo Piccardi

    Anche le opere minori possono servire a illuminare la poetica di un artista. Nel caso di Schubert tali opere potrebbero essere quelle teatrali, assommanti a ben diciassette titoli, votati all’epoca sua come oggi al nullo o poco successo, benché essi custodiscano momenti di alta ispirazione.

     Potrebbe essere il caso di Lazarus, oratorio sacro di rara esecuzione, in cui l’identità schubertiana pare dissolta non solo rispetto all’immagine usuale del compositore viennese che ci è offerta sia dai suoi mirabili esiti lirici sia dalla sua facilità di adeguamento al modello classicistico, ma perfino di fronte a prospettive stilistiche alternative. Poiché questo oratorio risalente al 1820 rappresenta un vero e proprio masso erratico sia nell’ambito della creatività schubertiana sia nel contesto romantico tedesco.

    Il genere oratoriale nell’Ottocento, a partire da Mendelssohn soprattutto, incarna la vocazione storicistica del Romanticismo in problematici recuperi culturali, che a conti fatti sono oggi utili a comprendere l’impossibile conciliazione di una mentalità ‘laica’ con il ‘liturgico’ adeguamento alle necessità del rituale sociale di espressioni artistiche in epoche precedenti fondate nell’esclusiva giustificazione religiosa.

    Con il suo oratorio Schubert, in quanto estraneo ad atteggiamento intellettualistico, non si pose il compito di ricorrere alla storia, alla ricerca di modelli esemplari. Tuttavia egli dovette rendersi conto dell’impossibilità di affrontare un argomento di vasta e universale portata morale con i propri usuali mezzi linguistici, raffinati e penetranti sul terreno evocativo delle confessioni dell’anima, ma inefficaci a livello di affermazioni etiche e di valori didascalici.
    Ecco allora il musicista ormai costretto a riconoscersi come post-beethoveniano, nella necessità di foggiarsi forma e stile in ardita proiezione al di là del tempo.

     lazzaro resurr

    Il risultato espressivo di tale Lazarus è stato finora integrato come una prefigurazione della wagneriana melodia infinita.
    In verità solamente un’analisi esteriore può portare a una conclusione di questo tipo. Mentre per Wagner la dilatazione temporale e l’estensione dell’impianto formale corrispondono alla responsabile conquista di un territorio in cui predomina l’intenzione di preservare i valori ideali nella loro trascendenza, in Schubert ci troviamo ancora una volta di fronte al viandante che in questo caso esce dai luoghi topici del paesaggio romantico per inoltrarsi in una regione ai confini dell’ultraterreno, portando dentro di sé il ricordo del mondo lasciato alle spalle.

    In questo senso la scelta stessa dell’argomento, con lo spazio sproporzionato riservato dalla composizione alla meditazione sul trapasso di Lazzaro, forse non è casuale. La musica comunque possiede la capacità di farcelo intendere lasciando affiorare qua e là qualche frammento di palpitante melodia nello spento tessuto monocolore di un’orchestra paralizzata in agonia estenuante.
    È allora la carica nostalgica del liederismo a farsi strada, giungendo a prorompere nell’episodio di Jemina, in cui Schubert, tornando a mostrare il suo volto di umano candore, può perfino disarmare il rigore della meditazione persa negli orizzonti del soprannaturale.

    Lazarus ci è stato tramandato incompiuto. L’autore vi mise mano subito dopo l’insuccesso della prima rappresentazione di una sua opera teatrale, Die Zwillingbrüder, in piena affermazione di libertà immaginativa, senza tener conto dell’eseguibilità della composizione.
    Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che il musicista scegliesse un testo vecchio di quarant’anni e, quel che più conta, di August Hermann Niemeyer, un autore protestante che già in partenza escludeva la possibilità di eseguire l’opera nella cattolica Vienna. V’è quindi da pensare che Schubert si dedicasse a tale composizione principalmente con lo scopo di un chiarimento personale, consapevole di parlare a se stesso più che agli altri. Eccolo dunque tentare l’impresa di verifiche al di là del contesto usuale dei suoi interessi, per affrontare la meditazione sul trapasso di Lazzaro interrompendo la composizione prima di rappresentarne la resurrezione.

     lazzaro partitura

    Cambia lo scenario naturale del paesaggio romantico che Schubert aveva percorso nel suo itinerario liederistico, ma ancora una volta il suo canto giunge come voce dell’anima. E ciò basta a lasciare riconoscere una continuità coerente con l’assunto dominante sull’insieme della sua attività creativa.

    L’impianto di questo dramma religioso è infatti piuttosto singolare: la calda melodiosità schubertiana vi è assente e al carattere dimesso del canto corrisponde il tessuto monocolore dell’orchestra spogliata di ogni sonorità allettante. La melodia si trasforma in melopea aperta a sviluppi discorsivi in una dimensione di stupefatta staticità che, nella rinuncia al ritmico incalzare e al prorompere della sonorità, concentra un’energia contemplativa distaccata da ogni richiamo mondano.

    Nel trapasso di Lazaro, tutto proteso alla preparazione del riscatto nell’anima verso l’assoluto, la realtà mortale dell’esistenza terrena si presenta come nostalgia che la musica incarna lasciando affiorare qua e là qualche frammento di palpitante melodia.

    SCHUBERT FINALE