• EDUCAZIONE, CHILDREN'S CORNER
  • 10 Dicembre 2016

    I frutti che infiammano l'inverno

      Vincenzino Siani

    A partire dalla seconda metà di novembre spiccano sulle tinte dell’autunno e dell’inverno
 i fiammanti colori dei frutti dell’Arancio e del Kaki, alberi dalle origini asiatiche, 
doni della lontana Cina.

    I nomi di questi due frutti dai colori caldi e solari dicono parecchie cose della storia e dei lunghi viaggi che i loro antenati hanno affrontato nel corso dei secoli per raggiungerci dalla lontana Asia orientale.

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    Certo per noi il nome del kaki è davvero buffo: appena lo sentono i bimbi restano prima sorpresi, poi cominciano a ridere a crepapelle. Non si tengono!
 Riderebbero ancora di più se conoscessero tutti ma proprio tutti i nomi con cui nel nostro paese chiamiamo il frutto del Kaki. Pensate un po’: cachet, caccàra, cachisso, cachino, cachi, cach, cacu, cacche, cachigne, cachizze. Come si fa a non ridere?!

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    Gli antichi cinesi erano molto più gentili di noi quando parlavano del kaki: lo chiamavano “Albero delle sette virtù”.

    La prima virtù che gli attribuivano era la longevità (l’albero del kaki infatti può vivere più di 50 anni), la seconda era di avere una grande ombra (molto apprezzata nelle giornate estive); la terza che non avesse nidi fra i rami (ha qualcosa a che fare con gli uccelli e le loro cacche?), la quarta che fosse inattaccabile dai tarli, la quinta che d’inverno i bimbi potessero giocare con le sue foglie intirizzite dal gelo, la sesta virtù era il bel fuoco vivo e allegro che produceva il suo legno bruciando e la ricchezza delle sostanze concimanti quando le sue ceneri venivano sparse nei campi; la settima e ultima virtù era la soave dolcezza dei suoi frutti maturi.

    Cachi e uccello

    Sì, è proprio vero, gli antichi cinesi erano molto più gentili di noi verso il kaki: amavano quest’albero, cinese come loro, e mai lo avrebbero preso in giro. Il fatto è che quest’albero si fa facilmente amare: chi può resistere al suo fascino quando, d’inverno, si spoglia di tutte le sue foglie e, nel vento, nel gelo, nelle tormente, sui rami grigi e bruni vediamo appesi, come palle di Natale, solo i suoi stupendi frutti di un arancio intenso?!

    Quel colore, quell’arancio, è il segno inconfondibile della presenza di betacarotene, una sostanza che noi, mangiato il kaki, trasformiamo in vitamina A, molto potente nella protezione della nostra salute e della nostra vista. Il kaki ne contiene più di ogni altro frutto; ecco il primo motivo per cui dovremmo mangiarne. Ben maturo, mi raccomando: se ancora un po’ acerbo, il kaki “allappa”, lega la nostra lingua: nella sua polpa è presente una sostanza, il “tannino”, che scompare quando il frutto è giunto a maturazione.

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    In Giappone dove, venuto dalla Cina, il kaki fu impiantato e cominciò a produrre i suoi frutti, quest’albero fu molto amato e oggi è addirittura venerato per un fatto accaduto solo pochi anni fa. Nell’agosto 1945, quando già da circa 5 anni si combatteva la seconda guerra mondiale e anche il Giappone era in guerra, avvenne una cosa bruttissima: il 6 agosto sulla città di Hiroshima e, tre giorni dopo, su Nagasaki furono lanciate due bombe atomiche; le esplosioni generarono onde di fuoco che distrussero uomini, animali, case e quant’altro trovarono davanti a sè, propagandosi. Quando l’onda di fuoco fu passata, l’intera città di Nagasaki era andata completamente distrutta e con essa tutti coloro che vi vivevano, uomini, animali, piante.... In quello spettacolo di desolazione erano sopravvisuti soltanto alcuni alberi: erano dei kaki. Da allora, in Giappone, il kaki è considerato l’albero della Pace e i suoi frutti i più caldi messaggeri.

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    Anche l’arancia è nata in Cina e il suo nome ci racconta una storia ricca e complessa, come quella del kaki. Il nome “arancia” deriva dal persiano “narang” ma non tutti i paesi chiamano l’arancia con questo antico nome. Anche in Italia, dove chiamiamo arancia l’arancia, se ci spostiamo attraverso le regioni troviamo che l’arancia è chiamata anche “portogallo”.

    Come mai questo strano nome per un frutto che anticamente si chiamava narang?

    ARANCIA POLPA

    La spiegazione è che, sebbene già i Romani conoscessero e mangiassero questo frutto, prodotto in quell’epoca solo in Sicilia, furono i marinai portoghesi che commerciavano con l’estremo Oriente a diffondere le arance in Europa, intorno al 1400. Il frutto ha assunto il nome di chi lo portava nei paesi europei.

    Vogliamo ripetere il gioco dei nomi fatto per il kaki?!

    Ebbene i nomi dell’arancia sono: naransa, rànce, rànge, arang, arangàra, aranciu, arangiu, aranzu, marang, marange, melarànciu e anche partugàl, pertegàll, pertegàlle, pirtigàlle, portaiall, purtuallo, purtiall, purtagàll, portacallu, partuallu: e cioè Portogallo, il paese di origine dei marinai che portavano il frutto dall’Oriente estremo.

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    Arrivato in Europa, l’arancio fu talmente apprezzato che per coltivarlo e difenderlo dal vento e dal freddo furono costruite delle aranciere. Il fatto è che le arance maturano d’inverno e, lasciate nei campi, soffrono il freddo. Così, in Italia, intorno alle piante di arance furono dapprima erette piccole capanne di legno esposte a sud, poi strutture più solide, di pietra e mattoni: le aranciere, appunto.

    La prima aranciera fu, forse, quella costruita verso la metà del Quattrocento intorno a Villa Palmieri, in Toscana. Artigiani e giardinieri italiani, chiamati a Parigi dai re di Francia, diffusero in quel paese la costruzione di aranciere: i francesi le chiamarono, e ancora le chiama- no, “orangeries”.

    ORANGERIE

    Perchè tanto darsi da fare per le arance? La risposta è: per il loro sapore, dolci e succose come sono quando le consumiamo fresche, per farne marmellate, dolci, canditi.
    Zuccheri e vitamina C sono i nutrienti più importanti dell’arancia e dei cibi che la contengono: i primi ci portano energia, la seconda protegge i nostri tessuti dall’attacco di virus e batteri.
    Poi c’è qualcosa in più, non da poco: la buccia di questo frutto è ricca di oli essenziali. Vi sarà già successo, già lo saprete, se provate a sbucciare un’arancia con le vostre dita vedrete un liquido giallognolo ricoprire la pelle delle vostre manine: è un’essenza costituita da preziosi oli essenziali, dal profumo intenso e persistente, ricchi inoltre di alcool che se finisce nei nostri occhi (sarà sicuramente successo anche questo) genera un senso di bruciore.

    ARANCIA MARMELLATA

    La sostanza che brucia è il limonene, usato nella produzione di profumi e liquori.
    Dai fiori dell’arancio amaro (non quello che siamo soliti mangiare, che è dolce) si estrae un’altra profumatissima sostanza usata in profumeria: l’essenza di zagara o neroli, dall’odore sublime. Annusatela in qualche profumo della mamma. Magari di nascosto, se lo ritenete necessario. 

     

    Crediti per le immagini

    Immagine 1: tuttasalute.net
    Immagine 7: giornalesm.com
    Immagine 8: lofficinadeigiardini.it