• SCIENZE NATURALI E DELL’UOMO, ECOLOGIA
  • 2 Febbraio 2023

    Malacca e le altre

      Vincenzino Siani

    Prima ancora che il termine “globalizzazione” divenisse familiare in gran parte del mondo postindustriale, varie volte l’umanità ha avuto esperienza di atteggiamenti totalizzanti, progressivamente estesi a tutti gli aspetti della vita sociale, da parte dei potenti di turno sulla scena dell’ordine mondiale.

    Le potenze imperiali che, nel tempo storico, si sono succedute nei vari continenti hanno tratteggiato civiltà che hanno avuto nell’organizzazione della vita sociale, nella produzione (o nel procacciamento) dei beni materiali e nella loro distribuzione e fruibilità da parte di classi e singoli, i caratteri distintivi.

    INDIE galeoni

    La presenza degli alimenti sulla tavola dell’uomo e il loro consumo sono stati e continuano ad essere il volano degli interessi economici mondiali, essendo i cibi la necessità primaria per l’uomo.
    Gli sforzi delle attuali aziende multinazionali per indurre bisogni e rendere omogenei i gusti delle comunità mondiali trovano nei cibi una chiave universale per condizionare consumi individuali e di massa con tecniche di persuasione messe a punto dagli esperti del marketing.

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    L’adozione, il consumo e il commercio di cibi non autoctoni hanno fatto la storia dell’uomo: l’entità di tali fenomeni ha avuto il suo limite nella natura e nell’estensione dei mezzi di comunicazione propri delle varie epoche.

    Nel tardo medioevo, le flotte portoghesi e spagnole, prima di altre, cominciarono a esplorare coste, mari, oceani alla ricerca di oro e spezie, monete di scambio per l’epoca.
    Malacca, Macao, Goa, Malabar, Hormuz: esotiche e misteriose alle nostre orecchie, intriganti e romanzesche, fascinosamente torbide, paoloconteane, furono le città teatro dei primi commerci transoceanici fra Europa e altri continenti. Epifanie della globalizzazione dei nostri giorni.

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    In quell’epoca, erano le spezie indiane (il pepe innanzitutto) e l’oro le ragioni che spinsero i Portoghesi a esplorare le coste dell’Africa occidentale; cercavano vie d’acqua che, tagliando il continente da ovest a est, abbreviassero le rotte marine verso le Indie. Bartolomeo Diaz e Vasco de Gama, eroi della nostra infanzia, doppiarono il Capo di Buona Speranza e, in pochi anni, fondarono colonie che, estese fra l’Oceano Indiano e il Pacifico, permettevano il controllo del commercio diretto verso l’Occidente. Nei secoli successivi, a Portoghesi e Spagnoli si aggiunsero Olandesi, Inglesi e, con minor successo, Francesi, Tedeschi e Italiani.

     Cannella 2

    La Casa da India, prima impresa commerciale con sede a Lisbona, aveva, nel Cinquecento, il monopolio sulle principali importazioni dall’Asia: pepe dal Malabar, cannella da Ceylon, chiodi di garofano, noce moscata e macis dalle Molucche. Nel 1600 nacque la English East India Company; nel 1602 fu fondata la Compagnia Olandese delle Indie Orientali che ebbe nell’isola di Giava, a Giacarta, il suo potente caposaldo asiatico.

    In Europa arrivarono il caffé dall’Africa, il cacao e il tabacco dalle Americhe, il tè dall’Asia, lo zucchero di canna dall’India (dove era autoctono), poi dall’Asia e successivamente dal continente americano. Sulle tavole europee comparvero pomodori, riso, granturco, patate, noci, frutta tropicale, zucche, fagiolini, meloni, peperoncini, arance, tacchini.

     girofle

    Al semplice commercio seguì l’esportazione di colture economicamente redditizie verso luoghi i cui caratteri ambientali e climatici permettessero l’attecchimento delle piante: alterando gli equilibri ecologici naturali, vaste piantagioni presero il posto di foreste pluviali millenarie; i prodotti ottenuti viaggiavano verso l’Europa, capace di assorbirne il flusso, assicurando ricche rendite.
    Piantagioni di canna da zucchero furono create a Madeira e nelle Americhe, la coltura del caffé, pianta originaria della città yemenita di Moca, si estese alla costa orientale africana, al Centro e Sud America, in particolare al Brasile; la coltura del tè, assai estesa in Cina, fu introdotta con successo dagli Inglesi in India e a Ceylon.

     Coffea arabica

    Tali processi non furono pacifici: il potere delle flotte sosteneva l’impresa commerciale, la corruzione alimentava il favore dei potentati locali, l’assenza di scrupoli etici consentiva stermini di massa (Amerindi, Indios messicani, ecc.) e deportazioni di schiavi.

    Gli europei armavano navi, le caricavano di ferro, acquavite e inutili cianfrusaglie che cedevano in Africa in cambio di schiavi; traversato l’Atlantico, arrivati nelle Americhe, vendevano gli schiavi sopravvissuti ai proprietari delle piantagioni e tornavano in Europa con le navi cariche di zucchero, cacao, caffé, rum, cotone. Tra il XVI e il XIX secolo furono deportati circa 11 milioni di schiavi dall’Africa alle Americhe: 1,5 milioni morirono durante il trasporto.

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    Spinti dai forti interessi economici imprenditoriali e commerciali tesi in vari modi a sostenerne le virtù, zucchero, tè, caffé, cacao, spezie, e tutti i cibi esotici introdotti in Europa ebbero, alla lunga, un notevole successo, testimoniato dall’incremento progressivo e costante dei consumi. Inizialmente portatori di un’etichetta di status sociale e di distinzione elitaria, i cibi d’oltre oceano, calati i prezzi, entrarono fra i consumi di massa: in Inghilterra “vi è gente che non ha pane ma beve il tè... La miseria stessa non riesce a bandire il tè” (J. Hanway, 1765).

    Cambiarono anche abitudini inveterate: in Inghilterra una tazza di tè zuccherato e pane scalzarono dalla colazione del mattino i tradizionali consumi di zuppa di cereali e birra.
    Allo zucchero vennero ben presto riconosciute proprietà energetiche e nutritive: giudicato, sulle prime, una spezia alla stessa stregua di altre, fu successivamente utilizzato, molto estesamente, come dolcificante di quelle stesse bevande esotiche (caffé, tè, cacao) dal gusto naturale piuttosto amaro.

    Lavorazione-della-canna-da-zucchero

    Di caffé, tè e cacao il consumatore avvertiva l’effetto benefico dei loro alcaloidi sulla fatica e sull’attenzione e ciò fu un ulteriore motivo di adozione.

      cacao

    A partire dal Settecento, in vari paesi europei, intorno al consumo del caffé nascono esercizi commerciali che, ben presto, assumono distinti caratteri sociali: i Caffé diventano luoghi d’incontro per discussioni politiche, artistiche, musicali, letterarie; alla vita dei Caffé, oggi storici, si legano personaggi, eventi, idee, aneddoti, nascite di movimenti artistici e politici che avranno il loro peso nella storia recente.

    Caffè Florian

    Oggi è tangibile il successo mondiale di alcune specie animali e vegetali esotiche: inizialmente introdotte per l’immediato consumo e poi coltivate per averne raccolti, con il tempo, sono state adottate nell’immaginario sociale come cibi autoctoni, e trionfalmente presentati come tradizionali componenti dei piatti tipicamente etnici. E’ il caso della patata per la cucina irlandese, di arance e limoni per le specialità siciliane, del peperoncino per la Calabria, del pomodoro per la dieta mediterranea, del tè per Ceylon e India, del caffé per Brasile e Costarica.
    Il nome di Moca, culla naturale della pianta del caffé, indica per noi italiani il piccolo utensile, esportato e adottato nel mondo intero, con cui preparare il caffé: invenzione di nomi e storia continuano a tessere il linguaggio.

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    I cibi e l’economia mondiale che intorno a questi ruota sembrano decisamente avviati verso un processo di globalizzazione; si spera che ci si preoccupi di conservare la diversità delle specie naturali, le varietà, l’ampia numerosità, privilegiando la diversità dei sapori, dei colori, della consistenza, dei caratteri nutrizionali che fanno la differenza qualitativa al momento del consumo e sostengono, con tali proprietà sensoriali, la psiche e la salute dell’uomo.

    campi di tè

    Crediti per le immagini:

    Immagine di copertina: cafedecolombia.com
    I
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