• SCIENZE NATURALI E DELL’UOMO, ECOLOGIA
  • 13 Maggio 2016

    Animali perduti

      Enrico Chisari

    Per alcune migliaia di anni il rapporto dell'uomo con gli animali cosiddetti da reddito è stato caratterizzato da una involontaria simpatia, essi hanno cioè "patito assieme" al proprio allevatore, condividendone spesso la sorte.

    Soltanto fino ad alcuni decenni orsono ogni contadino sapeva bene quanto la salute dei pochi capi che allevava fosse di fondamentale importanza per garantirsi la sussistenza quindi, pur attribuendo loro un mero valore d’uso, era assai preoccupato di mantenerli in salute.
    Per converso accadeva sovente che se il contadino moriva, anche l’animale venisse macellato.
    Col bestiame si condivideva anche la vita, utilizzando spesso i medesimi spazi abitativi in una interazione diuturna che creava, inevitabilmente, una relazione profonda, nella condivisione di sole e pioggia, caldo e freddo, carestia e abbondanza. Uomo e animale imparavano così, empiricamente, a decodificarsi reciprocamente, creando una  grammatica comune che arricchiva entrambi.

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    Tale rapporto che, pur nello sfruttamento dell’uno sull’altro, riconosceva una reciprocità, si è totalmente trasformato negli anni ’40, allorchè la scoperta degli antibiotici ha indotto la nascita dell’allevamento intensivo, trasformando le stalle in vere e proprie fabbriche di animali.

    Fino ad allora la densità di allevamento non poteva superare determinati limiti perchè il sovraffollamento degli individui favoriva l’instaurarsi di epidemie infettive. Ciò accade sia a causa dell’aumento del numero di contatti animale-animale, sia per l’immunodepressione indotta dall'inevitabile stress cronico che tale condizioni di vita determina in chi la subisce.

    Con l’avvento della moderna zootecnia gli animali sono stati allontanati dall’uomo e i due antichi partners si sono trovati interfacciati da macchine: per la mungitura, per la pulizia delle deiezioni, per la somministrazione dell’alimento, per dare la morte. 

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    Questo esilio, non è stato solo fisico. E’ stato materiale, in quanto il bestiame è finito alienato in megacapannoni ove svolge l’intero ciclo produttivo (= esistenza dell’animale).
    Si è trattato anche di un allontanamento psicologico, in quanto ciò che prima era percepito come alterità animale, è stato sottoposto a un processo di reificazione che ha trasformato culturalmente gli animali allevati in macchine da reddito il cui valore si identifica esclusivamente nelle sue performance produttive.

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    Tale mutazione ha danneggiato gli animali, per gli ovvi motivi appena detti, ma anche la nostra specie che ha perduto il significato referenziale degli altri animali i quali, dopo esserci stati per millenni partners e maestri (oltre che fornitori di alimenti) improvvisamente sono scomparsi dalle nostre vite.

    L’incremento della produttività è stato perseguito attraverso tre strumenti principali: utilizzo di farmaci, utilizzo di ormoni, selezione genetica.

    Utilizzo di farmaci

    Come precedentemente detto, è stata l’introduzione degli antibiotici a determinare la nascita della zootecnia intensiva, per mezzo di un uso massiccio e continuo sul bestiame.

    E’ preoccupante sapere che il 50% degli antibiotici prodotti in Europa viene utilizzato negli animali “da reddito” (tale percentuale sale all’80% negli Stati Uniti). Come è noto tale abuso sta determinando l’insorgenza di ceppi batterici poliantibioticoresistenti oltre che avere un pericoloso effetto tossico su chi si alimenta di quelle carni.

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    E’ importante sapere che i controlli effettuati in Italia per la ricerca di residui farmacologici illeciti, hanno due limiti: 1) vengono realizzati solamente sullo 0,5% delle carcasse bovine e sullo 0,05% dei suini macellati; 2) esiste un problema di metodo, in quanto per cercare qualsiasi sostanza, bisogna prima conoscerla al fine di avere il rispettivo reagente che ci consente di individuarne la presenza. E’ sufficiente che una molecola sia chimicamente modificata, anche di poco, che essa diviene invisibile. Purtroppo, in tale ambito, gli allevatori sono sovente più avanti rispetto agli organi di controllo.

    Utilizzo di ormoni

    Forse la loro ricerca non ne evidenzia l’uso massiccio, ma il loro effetto è palese sull’epidemiologia di alcune patologie ormone-dipendenti: l’incremento della sterilità maschile, lo sviluppo del seno nei ragazzi adolescenti (ginecomastia), l’anticipazione delle prime mestruazioni e lo sviluppo prematuro del seno (telarca) nelle bambine, sono l’effetto nefasto dell’attività di queste sostanze. Oltre 100 per anno i casi di telarca rilevati solo presso l'ospedale infantile Regina Margherita di Torino. I primi responsabili sospettati dagli investigatori sono proprio gli omogeneizzati di carne utilizzati per l’alimentazione delle bambine residenti nella provincia piemontese.

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    Selezione genetica

    La selezione genetica spinta è stato il terzo elemento che ha trasformato l’allevamento in fabbrica di animali. Tale giudizio non vale solo per gli animali creati per la produzione di hamburger e bistecche, ma anche per latte e pelo (alias lana).

    Qualunque persona che conosca, anche solo approssimativamente, la morfologia di una mucca “da latte” o di una pecora (fosse pure dall’iconografia che riceviamo dai massmedia) rimarrebbe stupita nel vedere la foto di una sua conspecifica di 80 anni fa.

    Genericamente si pensa alla pecora come a una graziosa nuvoletta bianca che racchiude un animale. In effetti adesso è così, ma tale risultato è stato ottenuto attraverso una selezione genetica spinta volta a eliminare il pelo setoloso del vello e a implementare in modo esponenziale il sottopelo lanuginoso. In natura un animale così perirebbe per complicazioni legate all’immensa quantità di pelo che produce, senza potersene liberare.

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    Lo stesso vale per la mucca “da latte” che produceva 15-20 litri di latte al giorno ed era munta mattina e sera, mentre adesso la mungitura è resa necessaria tre volte al dì con una produzione giornaliera che raggiunge i 60-70 litri. Dovremmo avere il disincanto di vedere in questa vacca ciò che essa è realmente, cioè il frutto di un vero e proprio maltrattamento genetico che ha trasformato un animale con una grande mammella in una immensa mammella con un animale attaccato sopra.

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    I lettori ricorderanno lo scandalo delle mucche alimentate con farina di carne, ai tempi della “mucca pazza”. Ebbene, furono in molti a sostenere che era stata una pazzia aver trasformato un erbivoro stretto in un onnivoro cannibale giacchè le mucche, si sa, mangiano buona erba.
    Non ricordo, però, che qualcuno abbia fatto notare che le mucche “da latte” che possono vivere nutrendosi di solo fieno esistono ormai solo in Africa, in qualche villaggio sperduto ancora incontaminato dal nostro delirio produttivista.

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    I nostri animali sono stati modificati profondamente e il loro metabolismo richiede necessariamente enormi quantità di proteine. La mammella, infatti, produce latte a prescindere dall’apporto proteico fornito, sicché se l’alimentazione non fosse integrata massicciamente la vacca perirebbe di fame. Adesso hanno sostituito la farina di carne con farina di soia, ugualmente ricca di proteine.

    In conclusione si tratta, a parer mio, di rifondare una nuova etica interspecifica che includa gli altri animali nella comunità morale, riconoscendo il loro valore intrinseco, cioè indipendente dalla loro utilità per l’uomo.

    Sarà un percorso lungo ma sento di poter essere ottimista. Vorrei farvi dono di un pensiero di Henry Beston, che potrebbe esserci utile viatico nella ricerca di una nuova relazione con l’animale non umano.

    Abbiamo bisogno di un concetto diverso degli animali, più saggio e forse più poetico. Trattiamo con condiscendenza la loro diversità e il destino di aver assunto una forma che crediamo inferiore alla nostra, e in questo sbagliamo: non possiamo misurare gli animali con il nostro stesso metro. In un mondo più arcaico e completo del nostro, gli animali si muovevano compiuti e perfetti, dotati di percezioni sensoriali che noi non abbiamo mai raggiunto, vivendo di gridi che noi non udiremo mai. Gli animali non sono nostri fratelli subalterni, sono popoli altri, coinvolti come noi nella trama della vita e del tempo, compagni di prigionia dello splendido e faticoso travaglio della terra.”

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