• "FRAMMENTI E COLLAGE"
  • 30 Ottobre 2020

    GEORGES SIMENON E I SENSI

    Georges Simenon gioca con i nostri sensi. Per questo ci piace.

     

    Si legga l’inizio di “Maigret se fãsce” (1947), “La furia di Maigret” nella traduzione italiana di Margherita Belardetti per Adelphi (2002): “La signora Maigret che sgranava i piselli nell’ombra calda, dove l’azzurro del suo grembiule e il verde dei baccelli creavano chiazze sontuose...” e, qualche riga dopo: ”L’aria fresca intorno a lui era tanto più gradevole in quanto, a due metri appena, al di là del confine tra l’ombra e il sole, ardeva una fornace ronzante di mosche”. O, anche, “Faceva fresco in casa e c’era ovunque un buon odore di cera, di erba tagliata, di frutti che maturano e di pietanze che cuociono a fuoco lento. Quell’odore, che era quello della sua infanzia, della casa dei suoi genitori, Maigret l’aveva vagheggiato per cinquant’anni”.

    Con pennelli dal tratto grosso o con punti di colore, facendoci avvertire il refolo di aria fresca e il ronzio delle mosche fra ombra e sole, l’odore dell’erba tagliata e della frutta che matura, della cera sparsa sui pavimenti come usava un tempo, gli odori sprigionati dal cibo che cuoce, Simenon apre il bagaglio delle nostre esperienze sensoriali, le riporta in vita una volta di più, reclama la nostra attenzione verso le cose vissute che, attimo per attimo, mattone per mattone, edificano il castello della nostra memoria perpetuando il sensibile, l’attimo che fugge.

    Monet si sarebbe ritrovato negli azzurri e nei verdi di Simenon; Debussy avrebbe amato i confini fra ombra e sole, la fornace ronzante delle mosche.