• Diario d'ascolto
  • 19 Giugno 2019

    LA "SUITE LIRICA" DI ALBAN BERG

      Carlo Piccardi

    Se volessimo indicare un genere in cui sia possibile sorprendere la precisa formulazione dell’evolversi del linguaggio musicale, questo è il quartetto per archi. È evidente che la storia della musica non va considerata settorialmente, tuttavia un colpo d’occhio capace di isolare il particolare nel generale può portare a illuminazioni più eloquenti di un rigoroso sistema di osservazione. 

     

    La storia del quartetto, molto più di altri generi, coincide con la storia della musica moderna da Haydn in poi. L’impostazione della Suite lirica di Alban Berg, già prossima alla dodecafonia, trova nella tessitura quartettistica uno strumento ben diversamente malleabile dell’orchestra, in cui la trasparenza della struttura viene facilmente stemperata nei colori di una ricca tavolozza

    SUITE LIRICA

    L’omogeneità timbrica del quartetto pone una precisa limitazione alle possibilità di evadere in una più o meno facile dimensione sonora in cui figura preminente l’interesse ‘sovrastrutturale’ alle linee portanti del discorso.
    Tuttavia il linguaggio di Berg, più di quello dei suoi compagni di strada viennesi, qui si sviluppa su un doppio binario: l’uno, quello propriamente strutturale, più o meno rigorosamente dodecafonico e l’altro coloristico, molto più imprevedibile e in condizione di smussare gli spigoli di una struttura che in Schönberg e ancor più in Webern si presenta in tutta la sua asprigna arditezza.

    Nella Suite lirica tale procedimento non si attua per la natura dell’organico strumentale impiegato, ma vi sorprendiamo eloquentemente espressa la spinta a spostare il discorso sul livello timbrico. Ne escono soluzioni altrettanto ardite e valide di quelle annunciate nella quartettistica di Bartók: la sonorità che si fa espressiva in quanto tale (gesto quasi disperato quando la fonte sonora è costituita da quattro strumenti a corda, dove la differenziazione timbrica esiste certo, ma si staglia su un arco ben diversamente esteso rispetto a quello orchestrale).
    Forse è proprio qui, nel fatto che l’ascoltatore è stimolato a moltiplicare il proprio impegno di ‘lettura’ che si decide il carattere e la funzione di detta composizione, capace di coinvolgere il pubblico al di là della difficoltà di stile. Perché Berg sostanzialmente, con mezzi limitati, pretende di esprimere la stessa ‘quantità’ di messaggio contenuta in un’opera wagneriana. 

     BERG IN STUDIO

    Qui è evidente che il confronto con Bartók cessa, poiché nell’ungherese, attraverso l’evidenziazione di dati strutturali nella sonorità, il linguaggio innanzitutto si affranca dal discorso impregnato di individualismo affidandosi alla durezza delle soluzioni ritmiche, ristabilendo l’equilibrio tra il momento soggettivo e quello oggettivo. Nel viennese l’esito timbrico non implica una nuova funzione della sonorità, ma la spinge a soluzioni originali e inedite le quali, più che inaugurare un diverso tipo di discorso, tendono a svolgere le estreme implicazioni del tardo romanticismo. 

     ALBAN BERG RITRATTO

    Ci sono evidentemente tracce di un’esperienza storica che si stacca decisamente dai precedenti ottocenteschi: l’accidentato procedere del visionario discorso espressionistico in cui si incontrano deformati brandelli di realtà (il movimento danzante del secondo tempo, ad esempio), i momenti in cui affiorano cliché compositivi non più funzionali e quindi ridotti a oggetto. Tutto quanto tuttavia nella Suite lirica tende a ricomporsi nella continuità di un respiro lirico, spesso arioso e appassionato in cui l’ipotesi del dubbio non arriva a mettere in crisi la compattezza di una concezione ancora determinata dall’esigenza unica di espressione individuale.
    È addirittura possibile rilevare nella composizione qualcosa di enfatico, modi retorici, accenti esageratamente fatalistici estranei all’ascoltatore moderno. In questo senso la Suite lirica è meno prefiguratrice del Wozzeck e ancor più lontana dal periodo di “ricerca” (secondo la suddivisione dell’attività compositiva berghiana proposta da Boulez) rappresentato dalla composizione di Lulu. Tuttavia essa giunge a esprimere con rara intensità la tensione di un’epoca e di una personalità in cui vecchio e nuovo coesistono al massimo grado.

    BERG FINALE