• Diario d'ascolto
  • 26 Gennaio 2024

    COLUI CHE DICE DI SÌ

      Carlo Piccardi

    L’opera scolastica Colui che dice di sì di Bertolt Brecht con musica di Kurt Weill può essere considerata l’ultimo prodotto della collaborazione dei due celebri autori. Il lavoro risale infatti al 1930, mentre I sette peccati capitali nacquero fuori di Germania, nel 1933 a Parigi, dove Brecht e Weill si ritrovarono occasionalmente riuniti da comune destino dopo aver lasciato il loro paese al tragico destino nazista.

    Nel florilegio delle composizioni di Weill su testo di Brecht, che vanno dalla piccola Mahagonny all’Opera da tre soldi, esso è tuttavia rimasto in ombra, probabilmente compromesso dalla destinazione «scolastica» che ne faceva un’opera scarna, essenziale, priva di pretesti effettistici. In verità il fatto di prevedere una voce di bambino solista oltre ad indicare esplicito uso scolastico, lascia intravvedere le difficoltà a reperirne l’apporto al di fuori di questo contesto. Eppure la composizione merita assai più attenzione di quanto normalmente non le si riservi.

    DER JASAGER

    Innanzitutto essa riesce a sfatare la leggenda di un Kurt Weill ideologicamente fragile, inquadrato nel sistema drammaturgico brechtiano solo grazie all’inflessibile rigore dell’amico poeta. È accertato infatti che la provocazione a comporre Der Jasager venne dal musicista. Fu leggendo la traduzione di un teatro giapponese (Taniko) approntata da Elisabeth Hauptmann (la quale già aveva collaborato all’Opera da tre soldi e a Happy End) che il musicista maturò l’idea di un’opera per bambini. Ottenuto il consenso e la collaborazione di Brecht, essa prese rapidamente corpo e, dopo la risonanza della prima rappresentazione, andò in scena almeno un centinaio di volte, trasmessa per radio, incisa su disco, prima che l’avvento di Hitler ne interrompesse la fortuna.

    Se consideriamo che di Weill fu anche la musica del Volo transoceanico, opera radiofonica di Brecht allestita l’anno precedente la quale nell’assetto didascalico già abbozzava le linee direttrici della nuova maniera brechtiana, è possibile valutare il notevole grado di presenza di Weill nella concezione di un’estetica del dramma didattico.
    Weill non legò il suo nome alla Linea di condotta e a L’eccezione e la regola, vale a dire ai momenti emergenti di questa fase brechtiana, ma occorre riconoscere che questi due lavori seguirono quelli menzionati e ne furono la conseguenza. La fisionomia didattica del Jasager è di estrema evidenza e si rivela nel taglio di parabola, presa pari pari dalla tradizione teatrale giapponese appunto. Per procurare medicine alla madre malata, un ragazzo si unisce a una spedizione guidata dal suo insegnante oltre le montagne. Durante il viaggio egli si ammala. L’uso vuole che la spedizione continui il cammino sacrificando il ragazzo che dovrebbe essere buttato giù nella valle. Sennonché, rispetto all’originale, Brecht introduce il principio che al ragazzo sia posta la domanda se vuole o no essere sacrificato in nome dello scopo a cui il viaggio è consacrato. Il ragazzo cosciente risponde di sì. In questa forma l’opera andò in scena.

    UNA RAPPRESENTAZIONE
    Der Jasager und der Neinsager. Una rappresentazione del Teatro Accademico di Perm, Russia.

    Più tardi, dopo averne verificato l’effetto sul pubblico giovanile, Brecht nutrì alcune perplessità. «Dopo la rappresentazione – racconta Elisabeth Hauptmann – nelle singole classi ci furono delle discussioni di cui Brecht si fece consegnare i verbali. Egli vi trovò alcune considerazioni e proposte tanto importanti e utili da essere tenute presenti nel rifacimento del Jasager; e più ancora ne tenne conto nell’ulteriore rifacimento, dal titolo Der Neinsager». In conclusione, scrisse il drammaturgo in una premessa all’edizione stampata, «se possibile le due piccole opere non dovrebbero essere rappresentate separatamente». Kurt Weill mise in musica Der Jasager; essendo venuto a mancare lo stimolo a continuare la collaborazione con Brecht, non musicò Der Neinsager che mai gli venne sottoposto. Il fatto può apparire paradossale: il mite compositore, «incapace» di assicurare al teatro brechtiano una musica rigorosamente al servizio dell’assunto ideologico, ma libero abbastanza da liberare potenti energie liriche, in questo caso si sarebbe trovato ad incarnare la più rigida soluzione morale, senza manco aderire al dubbio di cui lo stesso Brecht fu colto.

    BRECHT RiTRATTOBertholt Brecht

    In verità la risposta è da leggere nella musica capace di dare il suo giudizio prima ancora che nel lavoro vengano poste delle domande, una musica di straordinaria tensione emotiva tanto più pregnante quanto meno sono i mezzi espressivi di cui dispone. Per rendere possibile l’impiego scolastico Weill prevede un massimo di tredici strumenti e una condotta vocale articolata sulla base di forme semplici e scontate. Partendo dalla canzone, soprattutto partendo dall’intonazione del corale che in Germania al di là del significato religioso costituì e costituiva ancora il massimo momento di identità del collettivo, il musicista sviluppa un recitativo di ineguagliabile naturalezza ed aderenza al discorso parlato, snodato in forma aperta quel tanto che serve ad assecondare l’azione ma caratterizzato in ogni sua fase grazie all’apporto di mutevoli tagli ritmici, in cui è riconoscibile il ripensamento della corrente musica di consumo. Ne uscì un modello probabilmente ancor più significativo dell’Opera da tre soldi, dove il Song presenta una fisionomia stravolta ma rimane forma chiusa, e della grande Mahagonny, dove l’impianto operistico e la grande orchestra introducono ulteriori livelli di complessità compositiva. Nel Jasager, forse inconsapevolmente, Weill raggiunse l’obiettivo di una musica capace di sposare la realtà del quotidiano al livello più elementare, mantenendo carica dialettica sufficiente a trascenderlo e ad inquadrarlo in una prospettiva di severo distacco, dove finalmente agisce una forte componente di pathos, a Brecht evidentemente sconosciuta e che in Weill (nel Jasager forse più che altrove) scandisce il ritmo del destino in una dimensione di severità quasi liturgica.

    Foto di copertina: Kurt Weill