• Diario d'ascolto
  • 15 Gennaio 2024

    ARTISTA DELLA COMMEDIA

      Carlo Piccardi

    Figlio di padre turco e di madre italiana, Fernando Corena (1916-1984) nacque a Ginevra. La mescolanza delle origini, la carriera internazionale a cui deve la celebrità, non impedirono mai che egli si sentisse fondamentalmente svizzero e nel proprio paese ritornasse periodicamente a ritessere relazioni professionali e d’amicizia, fino a trasformare i soggiorni periodici nella sua casa di Castagnola, panoramicamente affacciata sul golfo di Lugano, in residenza definitiva dopo il ritiro dalle scene.

    Avviati gli studi di teologia all’università di Friburgo, la sorte volle che battesse una strada esattamente opposta, non appena scoperte le risorse dei propri mezzi vocali. Vincitore di un concorso locale a Ginevra, fu incoraggiato da Vittorio Gui a intraprendere la carriera di cantante. Fu a Lugano, nella seconda metà degli anni Trenta, che egli mosse i primi passi entrando a far parte della cerchia dei solisti riuniti da Edwin Loehrer intorno al Coro della Radio della Svizzera italiana. Corena partecipò quindi alla storia di quella che allora era denominata Radio Monteceneri, di un’iniziativa pionieristica non solo nel senso di aver avviato un discorso di novità nell’ambiente provinciale a cui allora era condannata la regione, ma (attraverso l’azione intensa e precorritrice del maestro sangallese) diventata un riferimento nella scoperta degli antichi repertori musicali italiani, fra cui le opere buffe su cui Corena forgiò le caratteristiche della sua personalità artistica. La scuola di Loehrer, legata alle necessità di frequenti trasmissioni in diretta e quindi di una lettura rapida di musiche sempre nuove, fu una palestra straordinariamente importante per un cantante istintivo, indotto ad autoregolarsi attraverso la disciplina del collettivo di cui faceva parte.

    LOE 
    Edwin Loehrer

    I suoi inizi di carriera non gli consentirono subito di identificare i ruoli in cui si sarebbe poi rivelato magistrale interprete. In Italia apparve nel 1947, a Trieste come Varlaam nel Boris Godunov, mentre il debutto alla Scala nella stagione 1948/49 gli fu concesso addirittura in occasione di una prima esecuzione, nel Cordovano di Goffredo Petrassi. Nonostante l’antipatia mai celata per il repertorio teatrale moderno e contemporaneo, per conquistarsi una posizione egli dovette cimentarsi più volte con opere nuove, tra cui va menzionata L’Allegra brigata di Malipiero, opere che più tardi non praticò più ma la cui fortuna sarebbe stata incrementata dal valore della sua presenza. Da ricordare inoltre al Maggio musicale fiorentino la sua apparizione in Guerra e pace di Prokof’ev, in Amahl e i visitatori notturni di Menotti, nel Figliol prodigo e in Venere prigioniera di Malipiero. D’altra parte, benché impegnato in ruoli insoliti, pubblico e critica si avvidero subito delle sue potenzialità fuori del comune. Dopo l’apparizione nel Cordovano diretto da Nino Sanzogno la sera del 12 maggio 1949, “Il Tempo” di Milano scriveva: «Il basso Fernando Corena, il vecchio tradito, si è rivelato un cantante ed un attore di doti grandissime».

    La regia di quel lavoro era del ventottenne Giorgio Strehler il quale trovò facilmente in Corena la collaborazione di cui abbisognava per il nuovo tipo di allestimento di cui era alla ricerca nel processo di svecchiamento di una tradizione teatrale italiana rimasta ferma ai luoghi comuni. In questo senso il successivo lavoro che ebbe modo di sviluppare con registi quali Luchino Visconti e Franco Zeffirelli, in una pratica teatrale alla ricerca di una più organica definizione del rapporto tra musica e scena, colloca Corena fra i protagonisti di quella stagione di rinnovamento. Proprio tale concetto di regia, che trovava le ragioni della stretta interdipendenza del movimento scenico dallo sviluppo temporale della musica, sperimentava nella frenesia delle azioni che animano il tessuto dell’opera comica le sue potenzialità. Il ruolo del basso buffo, incarnato in modo insieme esemplare e naturale da Corena, risorgeva appunto in quegli anni come emblema di un teatro musicale ritrovato non solo nei suoi valori musicali ma anche in quelli di intense e sfaccettate caratterizzazioni. Attraverso i teatri della penisola nacquero quindi a nuova vita opere desuete quali La serva padrona di Pergolesi, L’osteria portoghese di Cherubini, e il Rossini rimasto in ombra dell’Italiana in Algeri e di Cenerentola.

    STREHLERGiorgio Strehler

    La consacrazione definitiva avvenne con il debutto americano, nel 1954 al Metropolitan nella parte di Leporello. Il critico del «Musical America» riportava immediatamente che «Mr. Corena would seem to be a most valuable addition to the number of singing actor in the house». Pochi giorni dopo gli veniva già affidata la parte di Bartolo nel Barbiere e da allora la notorietà di Fernando Corena come basso buffo fu completa. In particolare di lui veniva apprezzato l’innato humor e il senso della misura. In occasione della ripresa newyorkese del Don Giovanni accanto a Cesare Siepi, col quale formò una coppia rimasta canonica, il primo novembre 1957 scriveva il New York Herald Tribune: «He is a good actor, not a clown, and he as an uncommonly good voice wich is in no need of husbanding». Nel 1955 seguì il debutto inglese al Festival di Edimburgo nel Falstaff. Nonostante l’individuazione delle risorse del comico la sua intelligenza interpretativa gli consentì infatti di affrontare con pazienza e maturità di mezzi anche ruoli drammatici. Seguiranno le apparizioni a Parigi, Berlino, Monaco, Amsterdam, Bruxelles, Barcellona, Buenos Aires ecc. e ancora in Italia naturalmente, ma soprattutto a Vienna dove approfondì con il carattere anche l’eleganza dei ruoli mozartiani, culminati nell’impareggiabile interpretazione di Osmin nel Ratto dal serraglio a cui fu chiamato nel 1965 dal Festival di Salisburgo, sotto la regia di Giorgio Strehler.

     IL RATTO DEL SERRAGLIO
    Un ascena da Il Ratto del Serraglio con la regia di Giorgio Strehler

    Ma fu soprattutto a New York che egli legò il suo nome. Stabilmente vincolato per un quarto di secolo al Metropolitan, vi aveva trovato la propria famiglia artistica, che in occasione del venticinquesimo lo festeggiò con una grande serata di gala. Il traguardo meritava bene di essere celebrato alla grande pensando alle ventisei stagioni consecutive, ai 18 titoli su un totale di 723 rappresentazioni ripartite tra Old Opera House, Lincoln Center e tournées varie. Più specificamente 121 volte Sagrestano in Tosca, 116 Bartolo, 76 Leporello, 53 Dulcamara, 52 Melitone ed altre figure meno appariscenti ma tutte caratterizzate da una profonda penetrazione della natura del comico.

    Fernando Corena era un artista completo: la bellezza del timbro vocale gli concedeva di primeggiare musicalmente con eleganza e raffinatezza, un istinto teatrale impareggiabile ne faceva un personaggio trainante, dall’effetto sicuro sul pubblico. I registi avevano poco da insegnargli, semmai il contrario. La lunga esperienza di palcoscenico aveva fatto maturare in lui idee originali di mess’in scena. Probabilmente, se la malattia non l’avesse impedito, negli ultimi anni avrebbe trovato modo di mettere a frutto questo suo patrimonio di conoscenze, inutile dire quanto prezioso in un mondo dello spettacolo in cui i registi si improvvisano e si impongono al di là del rispetto degli spartiti e dei valori musicali e drammatici. La sua scomparsa il 26 novembre 1984 a Lugano interruppe un discorso di promesse che una personalità tanto ricca poteva ancora realizzare, ma non ha potuto cancellare il ricordo e il significato di una carriera logica e completa nel suo svolgimento, che ha segnato un’epoca di crescita internazionale del melodramma e che di lui restituisce una figura esemplare d’antologia.