• Diario d'ascolto
  • 4 Aprile 2020

    LA PARABOLA DI ERNST KRENEK

      Carlo Piccardi

    Ernst Krenek figura tra i compositori più significativi del Novecento. Dico “significativi” poiché fra i grandi non fu mai considerato, circoscrivendosi la sua rilevanza al decennio o poco più di vita della Repubblica di Weimar, all’esplosione modernistica della Berlino degli anni Venti, al verbo musicale radicale di cui fu il principale emblema fra i compositori tedeschi coevi; Hindemith, Weill, Wellesz. Furono gli anni del neo-oggettivismo”, della Gebrauchsmusik, della pretesa dell’arte di parlare dell’attualità e di farsi politica. Furono gli anni di un rinnovamento globale che per la Germania ebbe un significato particolare.

     BAUHAUS 2

    La grande nazione centroeuropea non usciva dalla prima guerra mondiale con il sentimento di avere semplicemente chiuso una stagione della propria storia, ma con quello di aver compiuto una rivoluzione. La “rivoluzione di novembre” è infatti il termine con cui furono denominati gli avvenimenti che nel 1918 portarono all’abbattimento della monarchia guglielmina, nel richiamo al significato di cesura epocale rappresentato dalla sovietica rivoluzione d’ottobre. Iperbolicamente dilatato, tale concetto informò la vita e le manifestazioni della nascente repubblica weimariana, al punto da creare situazioni di ambiguo equilibrio tra il potere reale, borghesemente fondato sulla realtà capitalistica, e le proiezioni ideali di cui la cultura e l’arte si facevano interpreti verso una rigenerazione degli spiriti, che veniva ad assumere dimensioni amplificate in concorrenza con quanto la cultura rivoluzionaria era impegnata a fare nell’Unione Sovietica.

     Krenek ritratto

    Le esperienze teatrali di Piscator, di Brecht, il Bauhaus, ecc. si giustificano in tale contesto, nel quale anche le istituzioni (altrove in posizione conservatrice) si manifestavano programmaticamente a sostegno delle espressioni radicali della cultura. Non per niente il teatro, riferimento simbolico di un’arte nazionale e luogo di edificazione e di elevazione morale della società, fu aperto dall’ufficialità agli esperimenti più audaci. Non per niente il teatro in musica, l’opera, altrove ormai sulla china creativa, divenne il centro propulsore della nuova musica. Mentre a Parigi, in Italia e altrove i compositori della nuova generazione venivano emarginati dai luoghi della consacrazione (dai teatri soprattutto) e venivano costretti ad affidare il loro messaggio alla musica strumentale, a Berlino potevano approdare direttamente sulla scena.

     BAUHAUS

    Fu appunto il caso di Krenek il quale, a soli ventidue anni, si vide rappresentare Der Zwingburg, in una stagione in cui la sete del nuovo portava a dar fiducia ad artisti non ancora sperimentati con operazioni tanto più significative quanto più il traguardo operistico normalmente è sempre stato un obiettivo concesso ai compositori solo nella maturità. Con ciò Krenek si pose in prima fila in una doppia operazione di rinnovamento, della musica e del teatro musicale. Ciò avvenne grazie a una serie di opere – Der Sprung über den SchattenOrpheus und EurydikeDer DiktatorDas Leben des Orest, ecc. – rappresentate in numerosi teatri tedeschi e a un’attività pubblicistica intensa che tracciò la via all’esperienza dei compositori che si riconoscevano nel programma di rinnovamento.

    Fu un’avanguardia dai connotati particolari, non indotta come altrove a porre in pratica ciò che teoricamente era stato concepito nella torre d’avorio, bensì richiamata al dovere di dialogare con un pubblico realmente profilato, non ristretto alla sola élite ma esteso alla curiosità di ceti emergenti. In questo senso il radicalismo linguistico, dovendo tener conto del costituirsi di un’abitudinarietà, era indotto a venire a patti con i portati della consuetudine.

     JONNY SPIELT AUF

    L’opera in particolare, con il peso della sua tradizione, veniva a condizionare le aperture sperimentalistiche: Krenek seppe affrontare tale problematica applicandosi a un modello capace di tener conto sia delle aspettative, sia della capacità propositiva del nuovo. La sua fortuna fu legata a Johnny spielt auf (1926), opera cosiddetta d’attualità (Zeitoper), su argomento contemporaneo e con la pretesa di riprodurre sonoramente il nostro tempo, acquisendo alla modernità della scrittura i moduli del jazz (o quello che allora in Europa si intendeva per jazz), cioè dell’espressione democraticamente condivisa da tutti i ceti in seguito all’irruzione delle forme americane di danza. Fu un successo clamoroso, per certi versi inspiegabile, poiché l’opera oggi è caduta nel dimenticatoio. Fu la testimonianza di una congiuntura particolare, irripetibile, che l’avvento del nazismo con le sue pesanti censure abbatté, senza possibilità di conservarla al di là della memoria.

     BOZZETTO PER JONNY
    Bozzetto per Jonny spielt auf (1926)

    Il matrimonio tra teoria e prassi era maturato al punto tale da poter sopravvivere solo nel preciso contesto in cui era cresciuto: troncato il rapporto con la società che l’aveva reso possibile, gli artisti che se ne erano fatti carico si ritrovarono spiazzati, di colpo estraniati, esuli in patria quando non esuli in senso proprio. Anche Krenek scelse la via dell’esilio, dapprima nell’Austria d’origine, poi per breve tempo in Svizzera. Infine prese la via degli Stati Uniti, quando ormai aveva optato definitivamente per la scelta del linguaggio dodecafonico, portato dalle circostanze ad aderire a quella forma di solipsismo musicale che negli anni di Weimar aveva contrastato. In America divenne infatti un punto di riferimento per la diffusione in quel paese della dodecafonia, secondo una vocazione al pionierismo che non venne mai a mancargli, come dimostra anche l’interesse e l’applicazione nella musica elettronica che lo vide ormai sessantenne, negli anni Cinquanta, a competere con compositori di venti-trent’anni più giovani di lui. Con il suo ruolo di protagonista di una delle stagioni artistiche più stimolanti del nostro tempo la storia della musica si trova a fare i conti.