• Diario d'ascolto
  • 17 Maggio 2023

    L'IMMAGINE MODERNA DELL'AMERICA

      Carlo Piccardi

    La Création du monde, il celebre balletto composto da Darius Milhaud nel 1923, mirando a evocare la nascita del mondo, per mezzo del jazz introduce l’evocazione del primitivo. In che misura oggi tale senso possa giungere alle nostre orecchie è difficile dire. Certamente l’assuefazione ai modi sincopati, ai clangori degli strumenti a fiato, ai clichés armonici del jazz ci induce a percepire prioritariamente la componente edonistica di questa musica. A quel tempo invece le cose stavano altrimenti.

    Nel suo pamphlet, intitolato Le Coq et l’Arlequin, Jean Cocteau aveva qualificato il jazz che accompagnava il numero di Gaby Deslys e Harry Pilcer al casinò di Parigi nel 1918, di «cataclysme sonore». Qualche anno dopo, quando Milhaud ebbe l’occasione di frequentare l’orchestra di Billy Arnold giunta fresca fresca da Nuova York in un dancing nei dintorni di Londra, annotava ancora: «Quanto eravamo ormai lontani dagli zigani dell’anteguerra che ci sussurravano all’orecchio soavità di frivolezza ripugnante, con portamenti di voce nei cantanti dal gusto più dubbio».

    Milhaud 1926 circa
    Darius Milhaud. 1926 circa.

    Il jazz – meglio il cosiddetto jazz, poiché sulla base della tradizione negro-americana si era ormai sviluppata un’organica corrente di musica leggera tout court – tracciò quindi una linea di demarcazione tra due epoche nel modo più radicale che si possa immaginare. Non si trattò, infatti, di operazione condotta da un’élite culturale, bensì di un costume che, auspice sicuramente la profonda ferita lasciata dalla grande guerra e l’esigenza di superarne senza rimpianto le morbose motivazioni, veniva indotto a ribaltare globalmente tutti i suoi punti di riferimento. L’avanguardia che ne sortì, pur con le inevitabili punte estreme che avrebbero richiesto tempo prima di essere assimilate, non si sviluppò quindi isolatamente, ma seppe innestare il proprio bisogno di voltar pagina su un mutato orientamento del gusto sociale. Ritengo che gli anni Venti restino ancora da indagare per quanto concerne le modalità di costituzione delle avanguardie musicali, finora troppo facilmente assimilate al ben diverso ruolo d’urto detenuto dalle avanguardie di inizio secolo.

    Nel terzo decennio del Novecento si schiude infatti una nuova stagione di ottimismo, di interesse per gli aspetti dinamici della vita quotidiana, per le conquiste della tecnica, per la dimensione sociale di massa, che inducono l’arte a mutar segno; un’arte che non seppe evidentemente restare spettatrice. La Création du monde, benché capace di giustificare il suo negrismo musicale con la necessità al ricorso primitivista, ci sembra invece proprio usare il jazz come mezzo di ricreazione del mondo a immagine e somiglianza delle nuove atmosfere di caotica, nevrastenica, eccitante condizione urbana.

    Ebony Concerto. La premiere a New York 26 marzo 1946Première di Ebony Concerto di Igor Stravinsky. New York, Carnegie Hall, 26 marzo 1946

    E ciò fu sicuramente possibile nella misura in cui una musica similmente cruda, motorica, tagliente nelle sonorità, proveniva da un’America conosciuta essenzialmente per l’immagine delle ardimentose altezze dei suoi grattacieli e delle brulicanti folle di automobili che percorrevano le sue strade. Il jazz agiva quindi come richiamo alla vita del presente e guardava al futuro non come a sorte oscura del dubbio individuale, ma come a destino radiosamente nutrito di speranze collettive. Se poi contemporaneamente si affermò l’estetica neoclassica, ciò non fu dovuto al caso, ma corrispose allo stesso bisogno di ritrovare certezze su cui operare fugando definitivamente l’irresolutezza della precedente stagione legata al decadentismo. Se nel 1945 Stravinsky avrebbe fornito la dimostrazione più esemplare del possibile connubio tra jazz e l’asciutta scrittura di quegli anni nell’Ebony Concerto dedicato all’orchestra di Woodie Hermann, già negli anni Venti era maturata la possibilità di riconoscere nel jazz la base di un linguaggio capace di esorcizzare ogni nostalgia soggettivistica.

    Ragtime

    La lezione del Ragtime stravinskiano del 1918 fu infatti raccolta da molti musicisti, fra cui Bohuslav Martinu che, nel 1928, compose una Jazz Suite per una formazione strumentale vicina alle nascenti big band americane e dove l’irrigidita aulicità del contrappuntismo neoclassico sposa efficacemente la tagliente tematica e l’angolosità delle combinazioni jazzistiche. 

    Immagine di copertina: Darius Milhaud, La Création du monde, 1923