• Diario d'ascolto
  • 8 Maggio 2019

    Il malizioso Milhaud de La Petite Lilie

      Carlo Piccardi

    L’interesse di Darius Milhaud per il cinema, benché non più documentabile a causa della perdita della partitura, risale al 1925, quando compose la musica per L’inhumaine di Marcel L’Herbier.

     

    Già precedentemente tuttavia la destinazione ideale della musica del balletto Le boef sur le toit all’illustrazione di un film di Charlot (Cinéma-Fantaisie ne è infatti la titolazione originale) rivela l’apparentamento dello stile musicale inaugurato dal Gruppo dei Sei con la tecnica di montaggio praticata dai compilatori delle colonne sonore cinematografiche.

     LE BOEUF SUR LE TOIT

    D’altra parte quanto l’avanguardia musicale degli anni Venti fosse debitrice nei riguardi delle forme più immediate del consumo musicale è testimoniato dalle applicazioni condotte soprattutto in Germania intorno alla radio e al cinematografo. In particolare è da sottolineare il ruolo di Paul Hindemith, dapprima come direttore artistico del Festival di Donaueschingen e in seguito dei Badener Musiktage dedicati a più riprese alle composizioni musicali per il disco, per la radio e per il cinema, con sfilata di prime esecuzioni coinvolgenti i compositori più disponibili a ciò che allora si poneva come tema di sperimentazione.

    Il 25 luglio 1929 fu presentata a Baden-Baden una serie di cortometraggi con commenti musicali di Hugo Hermann, Paul Dessau, Rudolf Wagner-Régeny, Wolfgang Zeller, Walter Gronostay e Darius Milhaud appunto, al quale, in un’epoca che ormai assisteva all’ascesa del film sonoro, fu affidato il compito di comporre la musica per un breve film di Alberto Cavalcanti, La Petite Lilie.

    PETITE LILIE
    Una scena da La Petite Lilie (1927)

    Si trattava in pratica di un film muto, privo di dialoghi parlati, dove la musica era quindi chiamata a coprire con la sua presenza l’intera durata della pellicola.
    Anziché presentarla come esecuzione dal vivo essa fu tuttavia registrata qualche settimana prima del festival a Berlino, a testimoniare come l’atteggiamento verso il film sonoro da parte dei musicisti più impegnati sul fronte sociale ipotizzasse un suo sviluppo spiccatamente musicale, sviluppo che il corso degli eventi avrebbe subito smentito. Ciò spiega l’intenzione di Milhaud di adeguarsi alla tecnica microfonica di allora, che appariva pesantemente condizionata nella riproduzione del suono registrato, da cui fu indotto a sopprimere l’oboe e a trattare in modo discreto l’impiego del flauto e della percussione, anche se poi il buon esito ottenuto nello studio di registrazione nella capitale tedesca sotto la direzione di Wolfgang Zeller fu tradito dalla cattiva qualità dell’amplificazione nell’apparecchiatura disponibile per la proiezione a Baden-Baden.

    CAVALCANTI 2Alberto de Almeida Cavalcanti, in epoca successiva

    Il film diretto da Cavalcanti, definito da Bardèche e Brasillach “pochade sur une chanson sentimentale et parodie des films d’avant-guerre” è un racconto che si sviluppa alla maniera dei cantastorie, impegnati a trarre da una vicenda comune una morale universale.  Ciò avviene ovviamente con l’ironia tipica di una coscienza rotta alle situazioni più sofisticate affrontate dall’avanguardia. Cavalcanti è noto infatti per le sue collaborazioni con L’Herbier et con Fernand Léger e come realizzatore di Rien que les heures concepito come reazione a quelli che egli chiamava i “documentari romantici” (di Flaherty, Cooper, Schoedsack, ecc.). Tuttavia se in questo suo film del 1926, da considerare fra i più importanti, egli si era sottomesso all’acribia analitica della vita di una città nel volgere di una sola giornata, nella Petite Lilie egli tentò un recupero (seppur malizioso) di poesia, inducendo alla tenerezza verso una ragazzina di facili costumi presentata nell’innocenza di un’apparizione angelica.

     RIEN QUE LES HEURES

    La musica di Milhaud, già di per sé collaudata nella capacità di riprodurre il fondamento edonistico dell’espressione popolare, non ebbe difficoltà a fornirne l’aureola sonora, nel lirico e melodioso sviluppo di una naïveté perfettamente simulata dall’essenziale organico strumentale.