• Diario d'ascolto
  • 17 Gennaio 2020

    ASPETTI DELLA FRANCIA MUSICALE

      Carlo Piccardi

    La caratteristica della musica di essere un linguaggio non ostacolato dalle frontiere linguistiche ha favorito più che mai i fenomeni di esportazione, rispettivamente di importazione, facendo prevalere date tradizioni nazionali su altre. Ben noto è il monopolio detenuto dalla musica italiana fino all’Ottocento, come altrettanto evidente risulta il dominio della musica tedesca a partire dal XIX secolo.

     

    Se l’individuazione degli assi di sviluppo intesi come prevalenza di determinate tradizioni è più che giustificata, è importante rendersi conto che tradizioni di minore portata hanno avuto il loro svolgimento e la loro ragion d’essere e rimangono importanti per una visione integrata del quadro continentale.

    Di particolare valore è sicuramente la tradizione francese. Anche se il suo peso non si è mai profilato con la stessa chiarezza che ha contraddistinto le altre tradizioni menzionate, essa ha agito in profondità, sia per il ruolo direttamente assunto dai compositori di quell’area, sia per l’indiscussa posizione di capitale culturale d’Europa detenuto da Parigi.

     MARSIGLIESE

    Determinante è stata la svolta impressa dalla Rivoluzione francese alla storia, quindi anche a quella culturale. Per quanto riguarda la musica si trattò di uno sconvolgimento sotto tutti gli aspetti. Abolizione delle maîtrises e messa al bando della musica sacra dalle chiese fino al 1801, licenziamento degli organisti, produzione di musiche per i raduni civili di massa, ecc.
    Pochi sanno che il Conservatorio di Parigi sorse proprio in epoca rivoluzionaria come istituto chiamato a formare i musicisti della Garde Nationale. Ciò spiega vantaggi e scompensi prodotti sull’evoluzione successiva. Fra gli scompensi vi era la debolezza del canto (l’origine militare lo predisponeva alla formazione in campo strumentale, in funzione delle bande), fra i vantaggi l’apertura a nuovi orizzonti estetici.

     NAPOLEONE
    Jacques-Louis David, Bonaparte valica il Gran San Bernardo

    Sbaglieremmo tuttavia a pretendere una linearità di sviluppo. Dopo la rivoluzione ci fu la restaurazione e prima ancora il periodo napoleonico, che fu una specie di restaurazione ante litteram per la condizione delle arti.
    Se in epoca rivoluzionaria gli argomenti delle opere tendevano a suscitare la militanza riferendosi a fatti di attualità (ad esempio La Nouvelle au camp de l’assassinat des ministres français à Rastatt composta nel 1799 da Henri-Montan Berton), sotto Napoleone l’opera predilesse le allegorie mitologiche, mentre l’assetto imperiale favorì la ripresa della logica artistica da ancien régime.
    Napoleone volle un suo teatro personale in cui far rinascere l’aulica opera seria italiana affidata a Spontini, ingaggiando addirittura il castrato Crescentini come affermazione di fedeltà all’asettico ideale vocale del passato.

     Gasoare Spontini
    Gaspare Spontini

    La sinfonia concertante di tradizione settecentesca d’altra parte tenne duro fino al 1815, mentre l’ascesa del pianoforte, strumento prediletto del nuovo secolo, avrebbe fatto di Parigi un grande salotto in cui la borghesia avrebbe imparato a combattere l’aristocrazia a colpi di frivolezza.

    Qualcosa dello stile ‘rivoluzionario’ rimase, e paradossalmente nella musica religiosa attraverso il rifiuto del contrappunto e l’accento sull’omoritmia a valenza ‘assembleare’ (più adatta a “une réunion de fidèles assemblés pour chanter les louanges de Dieu”), praticata da Jean-François Le Sueur alla Cappella delle Tuileries, a cui più tardi avrebbe fatto riferimento Berlioz.

     Jean François Le Sueur
    Jean-Francois Le Sueur

    La vera lezione rivoluzionaria francese sarebbe però stata messa a frutto fuori di Francia, nella densità e nell’altezza del sinfonismo beethoveniano (sinfonismo che in Francia, nonostante l’esempio di Méhul, non ebbe dirette conseguenze creative), a dimostrazione ancora una volta dell’integrazione continentale degli sviluppi della musica.