• Diario d'ascolto
  • 29 Luglio 2022

    AMBASCIATORE DI MUSICA ITALIANA

      Carlo Piccrdi

    Se Luigi Boccherini fosse gloria tedesca anziché italiana, oggi avremmo a disposizione probabilmente una ponderosa sua opera omnia dalla quale farci un’idea dei contributi dati alla musica europea. Invece occorre accontentarsi di un catalogo delle opere e di sparse edizioni moderne che rispecchiano solo parzialmente quella che fu la torrenziale produzione di quartetti, quintetti, sestetti, sinfonie, concerti, ecc. che lo rese celebre in tutta Europa.

    Nel Settecento tuttavia la personalità di Boccherini balza in primo piano fra gli ambasciatori di un’arte musicale che verso la fine del secolo l’Italia esportò a piene mani. E fu una diffusione di gusto e di maniere non sorretta dal monopolio dell’opera teatrale che l’Italia mantenne fino agli inizi dell’Ottocento, bensì la risonanza di un’arte strumentale ambìta, che talenti individualmente emancipati da una stessa scuola formulavano in esiti dissimili e perciò mirabili. Si trattò infatti quasi sempre di artisti profondamente radicati in ambienti regionali di lunga e tenace tradizione che una sola scintilla di originalità poteva proiettare verso fortune insperate. 

    LARGO MUSICA NOTTURNA
    Musica notturna nelle strade di Madrid, partitura originale)

    Mentre si trovava a Madrid al servizio dell’Infante di Spagna, a Boccherini era bastata la dedica dei sei quartetti dell’op. 33 a Federico Guglielmo II di Prussia per ricevere la nomina a suo compositore da camera senza nemmeno l’obbligo di risiedere a Berlino e con il semplice impegno, lautamente compensato, di inviare periodicamente a quella corte quartetti e quintetti a piacimento. Pur presentandosi come artisti autonomi e in continue peregrinazioni queste generazioni di musicisti italiani dimostrarono una grande capacità d’adattamento alle situazioni cortigiane ed è probabilmente a questa notazione sociologica che occorre riportare il confronto con il classicismo viennese di Mozart e in seguito di Beethoven, per comprendere come quell’esperienza italiana sia tramontata con quell’ancien régime il cui volto essa aveva in modo elegante abbellito in ogni angolo d’Europa.

    Il vitalismo di quest’arte affonda in antiche radici nutrendosi di un magistero sancito da un passato di solida grandezza e, pur contribuendo con infinite risorse stilistiche alla formulazione del moderno linguaggio sinfonico, rimase sempre estraneo alle inquietudini di fondo che già attraverso l’esperienza mozartiana andavano sovvertendo l’ordine dei generi in visione espressiva del tutto emancipata dalle eredità ideologiche. La boccheriniana Sinfonia in re min. op. 12 (1771) percorsa nell’ultimo tempo da quel fremito demoniaco esemplato sulla Danza delle furie di Gluck può, è vero, essere avvicinata ai più arditi momenti sinfonici di un Mozart, ma solo all’apparenza esteriore. Il tempestoso succedersi di colpi d’arco dà luogo a una concitazione drammatica estremamente penetrante, tuttavia non giunge alla soglia di quel trasalimento di coscienza che lascia il discorso aperto su una materia di mistero destinata ad alimentare fantasie e energie di tutto il secolo successivo. 

    BOCCHERINI RITRATTO

    L’elemento demoniaco in Boccherini (come già in Giuseppe Tartini e più tardi in Paganini) rimane invece un topos, un momento di conoscenza circoscritto incapace di rimettere in discussione l’ordine di un’estetica ancora aspirante a una sua limpida compiutezza solare. Allo stesso titolo gli scabri momenti rappresentativi della Musica notturna nelle strade di Madrid meglio che da una ragione del dopo (la musica a programma dell’Ottocento) si lasciano comprendere attraverso l’estetica dell’imitazione che, dal madrigale fino ai tentativi più bizzarri e pittoreschi di musica strumentale, fu esercitata nei termini di una retorica codificata o codificabile, comunque mai aperta a forme risolte in pura responsabilità individuale.

    Ciò che di mirabile rimane in questa ultima stagione di una civiltà secolare, ritrovatasi a fine Settecento confrontata con il sorgente imperio dell’individualismo, è l’estrema libertà e fecondità dell’invenzione in un ambito collaudato di regole e di abitudini tramandate non già come termini costrittivi dell’espressione bensì come garanzia di un ordine estetico capace di agire più come stimolo che freno alla originalità.