• SCIENZE NATURALI E DELL’UOMO, ECOLOGIA
  • 12 Gennaio 2021

    CIBO E RUOLO SOCIALE DELLA DONNA: ALCUNE CONSIDERAZIONI

      Stefania Bonanno

    Il ruolo complicato della donna nelle società umane parte da un presupposto biologico e, subito dopo, culturale e sociale. 
    Alcune considerazioni.

     

    La donna ha subito nel corso dei secoli grandi pressioni sociali: il doversi mostrare pubblicamente come un essere equilibrato, controllato, capace di mettere d’accordo gli animi, di agire con garbo ed eleganza.

    Ancora oggi ci sono modi socialmente accettati di essere femmina, al di là dell’emancipazione raggiunta.
    La donna è emotivamente più profonda dell’uomo, più dell’uomo controlla aspetto e atteggiamento sociale; è interiormente più rigida, capace di sopportare lo stress emotivo dovuto alla contemporanea copertura dei ruoli di moglie, madre, lavoratrice.
    Questa situazione stratificata ci porta a fare nostre certe emozioni sin dalla più tenera età, quando siamo già intrise del nostro destino: bambole, giochi, vestiti, cartoni animati già ci indirizzano verso uno specifico ruolo sociale.
    Molto spesso tali emozioni non si comprendono; se vengono sepolte arriverà un momento in cui emergeranno sotto forma di disturbi psicosomatici o disturbi del comportamento alimentare.

    Quando ci si appresta alla maternità per la prima volta, si vive sulla propria pelle questo momento sacro e speciale, questa sorta di transizione da individuo unico e figlia a moglie e progenitrice; una nuova responsabilità, una nuova coscienza; quella che ci allontanerà per sempre dal nostro passato fatto di individualismo libero perpensare a crescere una nuova creatura. Nel grembo materno si stabilisce uno stretto legame fra cibo ed emozioni: nutrendolo, la mamma trasmette al bimbo i suoi stati emotivi.

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    Sin da piccoli ci serviamo della bocca per esplorare e conoscere il mondo: il seno è fonte di cibo e insieme approdo sicuro, amore, protezione, consolazione.
    Cresciamo circondati da cibi consolatori; chi non ha mai ricevuto una caramella dal dottore dopo una visita? E’ dentro un pacco di merendine o cioccolata che troviamo una sorpresa, mai di certo dentro una confezione di frutta
    o verdura; riconosciamo pertanto i dolci come premio, ricompensa, cibi capaci di riportarci indietro negli anni, al tempo dell’infanzia e ai suoi sapori, profumi, momenti.
    I ricordi si fanno più vividi se sono vissuti attraverso i sensi: più ne sono toccati, più ci appaiono reali e vicini.
    A volte si vuole tornare bambine scegliendo spesso nei momenti di tristezza alimenti zuccherini, che ci riportano all’infanzia, momento della vita fatto di poche responsabilità e leggerezza d’animo.

    La donna ha avuto storicamente un ruolo importante nella preparazione dei cibi: era proprio in cucina che poteva agire indisturbata e attraverso una sapiente preparazione degli alimenti, tramandata di generazione in generazione, poteva prendere il controllo e farsi essenziale per la famiglia e la società.
    Oggi, nei riguardi del cibo si assume a volte un abito severo e autorevole, passando a un vero e proprio controllo delle proprieemozioni; spesso accade di volersi annullare per allontanare certe difficoltà personali, concentrandosi sul calcolo delle calorie o dandosi delle ferree regole alimentari e/o sportive.
    E’ qui che nascono alcuni disturbi alimentari che non è semplice classificare; esistono dalla notte dei tempi ma sono esplosi più che mai in questi ultimi anni di abbondanza, di libertà alimentare e cibo spazzatura a portata di tutti.
    E’ un paradosso: proprio nel momento in cui il mercato ci offre tante possibilità, assumiamo comportamenti alimentari aberranti, non suffragati da consenso scientifico, alla fine dannosi; assegniamo dignità scientifica a credenze alimentari; gruppi di persone si identificano in scelte ortoressiche nutrizionalmente errate (crudismo, igienismo, fruttarismo, ecc.) e, quasi seguendo principi religiosi, attribuiscono loro valenze salvifiche.

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    Oggi il corpo ci identifica più che mai; la donna deve essere bella, perfetta, assomigliare il più possibile ai modelli propinati dai social, fin troppo spesso ritoccati sapientemente da app a portata di tutti, abituandoci visivamente a una bellezza irreale e irraggiungibile, non corrispondente all’immagine che vediamo riflessa allo specchio ogni giorno.
    A volte accade di volersi uniformare al corpo e all’essere maschile, dimagrendo e mascolinizzandoci; da tutto questo può a volte scaturire un disturbo alimentare.

    La strada verso la serenità è accettare prima di tutto i tratti che ci hanno da sempre contraddistinte, la nostra sensibilità, la nostra cura, l’attenzione per i dettagli, e non colpevolizzarci se cadiamo nella tentazione del cibo o non riusciamo ad essere mogli, madri, donne e lavoratrici perfette.
    Se iniziamo ad accettare le nostre imperfezioni, le nostre vulnerabilità, riusciremo anche a capire i meccanismi che ci portano a utilizzare il cibo come fonte di compensazione o controllo. Talvolta è necessario attraversare delle fasi di lotta interiore per crescere e conoscere noi stesse più profondamente.  
    E’ solo accettando i nostri limiti che riusciremo a trovare la strada verso il benessere, l’equilibrio reale e un rapporto sereno e naturale con il cibo; tutto questo è possibile dando fiducia anzitutto a noi stesse.

    Stefania Bonanno è laureata in Beni Antropologici e Ambientali.