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  • 3 Marzo 2015 | Gallery

    Richard Strauss: tramonto a Lugano

    Molto si è scritto e ancora si scrive sui fuoriusciti riparati in Svizzera e in Ticino durante il fascismo e il nazismo. Minore attenzione è stata riservata agli anni successivi, quando il paese divenne rifugio di persone compromesse con quei regimi.

    Nella partita giocata a carte rovesciate, per quanto riguarda i musicisti, è da ricordare il violinista Georg Kulenkampff, che nella Germania di Hitler ebbe una brillantissima carriera, il quale dopo la guerra pensò bene di rintanarsi a Lucerna. Di lì venne più volte a Lugano, ospitato nella casa di Otmar Nussio, il quale, in qualità di direttore dei programmi musicali della Radio della Svizzera italiana, lo invitò a tenere un intero “ciclo di sei concerti eseguiti e commentati” da lui stesso (27 ottobre 1945, 27 novembre 1945, 25 dicembre 1945, 22 gennaio 1946, 5 febbraio 1946, 7 marzo 1946), dal titolo Lo sviluppo dell’arte virtuosa del violino, accompagnato al pianoforte da Walter Lang e dall’orchestra diretta da Nussioi.

    L’occasione più significativa si affacciò con lapresenza di Richard Strauss, il quale dopo l’arrivo in Baviera delle truppe di occupazione americane, fu confrontato con il processo di “denazificazione” per il ruolo assunto nell’ambito del regime quale presidente della Reichsmusikkammer, una specie di consiglio superiore della musica compiacente con la dittatura, e soprattutto come presidente dello Ständige Rat für internationale Zusammenarbeit der Komponisten (Conseil Permanent pour la Coopération Internationale des Compositeurs) sorto nel 1934 quando laGermania nazista e più tardi l’Italia fascista uscirono dalla Società internazionale di musica contemporanea in polemica con il carattere artisticamente “progressivo” di quest’ultima importante organizzazioneii. Più o meno costretto a lasciare l’amata Garmisch, subendo la pressione di un maggiore americano che lo spinse all’esilio, l’11 ottobre 1945 raggiunse con la moglie Zurigo, scegliendo poi altri luoghi di riposo (Baden, Ouchy [Losanna], Lugano, Pontresina) dove portò a termine le straordinarie opere che siglano non solo il suo congedo dal mondoiii, ma anche la coscienza del tramonto della cultura tedesca che, assolutizzata in una forma chiusa su se stessa e incapace di sciogliersi dall’unilateralità dello sguardo retrospettivo, sembrava soccombere insieme col regime che in modo delirante e tragicol’aveva spinta verso l’abisso. Nonostante il fatto che qualche giornale svizzero si unisse al coro di disprezzo che in quei mesi gli fu riservato dalla stampa francese, americana e soprattutto britannica (la basilese “Nationalzeitung” era giunta a dichiarare “essere una vergogna il tollerare un Richard Strauss su suolo elvetico”iv), all’anziano compositore fu riservata in Svizzera benevola ospitalità. Il maestro approdò a Lugano il 29 marzo 1947, prendendo alloggio nella casa di cura San Rocco.

    La notizia dell’arrivo del grande compositore fu data a Nussio da personalità allora pure presenti in città: il musicologo Bernhard Paumgartner e Ernst Roth, già dirigente dell’Universal Edition che aveva dovuto lasciare Vienna per motivi razziali e che si era meritato il posto di direttore della casa musicale inglese Boosey & Hawks. Paumgartner lo descrive insoddisfatto in questa sobria residenza, costretto a fare i conti con le necessità quotidiane. Il maestro dall’aspetto signorile, al quale una vita di successo aveva concesso tutti i lussi e che era stato tenuto al riparo di qualsiasi interferenza potesse turbare la sua vena creativa, era ridotto a subire le regole di un albergo che gli imponeva la disciplina collettivav, in particolare l’ora dei pasti, per di più mediocremente cucinati. A causa della limitazione all’esportazione di moneta in Germania e in Austria, eglidoveva inoltre fronteggiare problemi di contante. Benché non avesse difficoltà ad ottenere prestazioni a credito da parte dei dirigenti dell’albergo e dei commercianti dai quali si serviva, questa condizione umiliante gli era di peso. Lo si poteva sorprendere contrariato nelle visite quasi giornaliere al Caffè Huguenin, ritrovo alla moda a cui era trascinato dalla moglie Pauline all’ora della merenda, in cui suonava un’orchestrina che si faceva un punto d’onore nel riservargli qualche brano di musica seria ogni volta che nel locale appariva la coppia illustre, il quale se ne partiva poi ancor più scontento ed ostentatamente annoiato quando sul leggio dei musicanti facevano capolino le inevitabili note di Lehár, che egli non riusciva a sopportarevi.

    Nell’approssimarsi del suo ottantatreesimo compleanno, nacque l’iniziativa da parte della Radio della Svizzera italiana di dedicargli un concerto, dapprima inteso come semplice trasmissione di musiche sue ma poi, quando il maestro chiese a Nussio di preferire l’ascolto in sala anziché dall’altoparlante, diventato pretesto per chiedergli di assumere lui direttamente il compito direttoriale. Strauss accettò a condizione di intervenire dalla prova generale in poi, ad orchestra già preparata dal suo titolarevii. Il primo giugno il maestro ne dava notizia a Willy Schuh: "L'11 giugno alle 9 di sera nella locale stazione radio dirigerò una piccola festa straussiana: Serenata per fiati, Lieder con orchestra, Suite Bürger a. E., che si spera non produca troppo grande scandalo nella Svizzera amichevole verso i tedeschi"viii. Ironizzando sulla simpatia degli svizzeri per la Germania, il riferimento era probabilmente alle polemiche innescate dalla sua presenza nel nostro paese, oppure al fatto che per le composizioni di poco precedenti, occasionate da commissioni giuntegli dal nostro paese (Metamorphosen per il Collegium Musicum di Paul Sacher e il Concerto per oboe e orchestra per la Tonhalle di Zurigo), egli avesse ritenuto opportuno non dirigere la prima esecuzione.

    Il concerto, tenuto l’11 giugno (giorno del compleanno del maestro), si apriva con la Serenata op. 7 per tredici strumenti a fiato, proseguiva con quattro liriche per soprano e orchestra interpretata da Annette Brun (“Morgen”, “Allerseelen”, “Ich trage meine Minne” e “Das Rosenband”), concludendosi con la Suite op. 60 dalle musiche di scena per Il borghese gentiluomo. L’esecuzione, che si svolgeva nello studio radiofonicodel Campo Marzio, era preceduta da un’allocuzione di Bernhard Paumgartnerix. La cronaca che ne diede Vinicio Salati faceva stato di un doppio distacco, da un mondo in procinto di tramontare e dal distacco dello stesso maestro dalle sue opere di un tempo, percepite come archiviate dalla storia:

    Ormai siamo decisamente entrati in una nuova era. E lo si capisce e lo si sente particolarmente quando avviciniamo un uomo che è cresciuto in un’epoca anteriore alla nostra. Vogliamo dire ancora prima di questo secolo.

    [...] Riccardo Strauss, seduto in iscranna, guardava l’orchestra con una specie di bonomia frammista a indifferenza. Così almeno pareva. Ma poi, fissandolo meglio, vedemmo il suo occhio vivo, quasi sgusciasse lo sguardo attraverso un lontano pensiero. Il gesto di Strauss negli attacchi come nel dirigere era semplice, sobrio, parco, freddo quasi. Seguiva con attenzione lo spartito mentre con la destra batteva la misura. Gli attacchi li dava con un semplice sguardo da questo a quell’esecutore.

    Il pubblico presente, invitato, seguiva il Maestro con passione, più che la musica sua; si sentiva la curiosità e l’interessamento di essere con Riccardo Strauss e di vivere un’ora nella sua atmosfera e in sua compagnia.

    L’omaggio al Maestro fu dunque spontaneo e sincero ed egli ne rimase commossox.

    “Vorzügliches Orchester, famose Bläser” (eccellente orchestra, ottimi fiati), pare affermasse egli alla finexi, avviandosi verso l’appartamento dei Nussio dove, oltre alla torta con le ottantatré simboliche candeline preparata dalla padrona di casa, erano ad attenderlo Wilhelm Backhaus, Paumgartner con la segretaria Inge Handl, alcuni notabili luganesi (i dottori Strauss, Conti e Fisch) e, a richiamarsi ulteriormente all’atmosfera melanconicamente evocatrice di un passato che gli eventi facevano apparire ancor più lontano, il Barone von Schön (ex ambasciatore tedesco il cui padre era stato mecenate di Richard Wagner)xii.

    Oggi, salutando Riccardo Strauss, salutiamo un mondo austro-tedesco che ha avuto tanti splendori e tante miserie (sull’altare e nella polvere per dirla con Manzoni, sebbene si riferisse alla figura di un soldato) dovute al gioco politico e alle strambe svolte della storia frustata dal destinoxiii.

    Nussio si era fatto in quattro per rendere il soggiorno degli Strauss il più confortevole possibile. Paumgartner, che nelle sue memorie riserva spazio a questo soggiorno luganese e il quale testimonia di aver scarrozzato l’illustre coppia sulla sua malandata Steyr 50 nella campagna nei dintorni della città, ricorda che il direttore dell’orchestra della RSI si era addirittura procurato una nuova automobile allo scopo di assicurare un miglior servizio al compositore. Nelle conversazioni con Paumgartner, che inevitabilmente vertevano sulla riapertura dei Salzburger Festspiele, nei quali Strauss tra le due guerre era stato al centro dell’attenzione sia per gli allestimenti delle sue opere teatrali sia come direttore, maturò anche il progetto di un’”opera scolastica” (Schuloper) che il compositore intendeva destinare a un convento benedettino bavarese dove avevano studiato i suoi due nipoti. Al musicologo austriaco fu chiesto di indicare uno scrittore in grado di stenderne il libretto sulla base della drammaturgia predisposta dal compositore in base al soggetto tratto dalla Geschichte derAbderiten di Wieland. In tal modo Hans Adler fu cooptato nella realizzazione di uno degli ultimi lavori per il teatro di Richard Strauss, Des Esels Schattenxiv.

    Il 13 giugno 1947, Richard Strauss unitamente alla consorte, si avviava con un automobile privata verso l’Engadina, con destinazione Pontresina. Vi era spinto soprattutto da Pauline la quale non simpatizzava per il Ticino:

    Lo trovava “troppo dolciastro” e, parlando della prossima partenza, la giustificava dicendo: “Dobbiamo cambiare ambiente. Qui tutto è troppo molle. Al mio Riccardo occorre un paesaggio più eroico”.

    Al maestro invece spiaceva lasciare Lugano, e il nuovo trasloco lo rendeva proclive a ricordi e ragionamenti malinconici. Era particolarmente afflitto dalla distruzione dei teatri in Germaniaxv.

    Prima che Strauss lasciasse la città Nussio trovò l’ardire di chiedergli se avrebbe accettato l’incarico di comporre un pezzo per la sua orchestra. Il maestro tergiversò e sulle prime fu piuttosto negativo, facendo presente di essere ormai privo di idee. Il 17 luglio tuttavia gli mandò una lettera in cui, dichiarando di avere riflettuto sulla proposta, affermava di stare riesaminando alcuni appunti riguardanti un “concertino-duetto” per clarinetto e fagotto con accompagnamento di orchestra d’archi e arpa. All’inizio d’agosto, nel suo viaggio in direzione di Salisburgo, Nussio sostò a Pontresina per prendere visione dello schizzo di quello che sarebbe poi stato intitolato Duett-Concertino che il maestro gli presentò pregandolo di verificare se gli convenivaxvi.

    Il resto era scontato: il 4 aprile 1948, in trasmissione diretta “per le stazioni della radiodiffusione svedese, Beromünster e Monteceneri”, Otmar Nussio alla testa della Radiorchestra diresse un concerto esclusivamente dedicato a Richard Strauss nel quale, accanto all’introduzione a Il borghese gentiluomo e agli interludi sinfonici da Intermezzo op. 72, presentava in “prima esecuzione mondiale” il “Concertino-Duo” con Armando Basile al clarinetto e Bruno Bergamaschi al fagotto, “composto su incitamento dello Studio di Lugano e terminato il 16 dicembre 1947”xvii. Al concerto era presente un numero considerevole di invitati e di giornalisti, fra cui il maggiore propugnatore della musica di Strauss in Svizzera, autore di studi importanti sul musicista, Willi Schuh, il quale, constatando che la prospettiva dell’opera teatrale per il grande compositore dopo Capriccio era ormai chiusa, non ebbe difficoltà a cogliervi quel livello di sublimazione cristallizzato nella purezza dei lavori cameristiciche contraddistinguevano ormai il suo tardo stile. In merito al Rondò finale eccone il giudizio:

    Non solo questo movimento pieno di buon umore è attraente per la finezza mozartiana della fattura e per l’arte sovrana dell’elaborazione motivica e di una focalizzazione attraverso nuovi elementi ritmici e contrappuntistici, ma altrettanto per la sprizzante freschezza dell’invenzione manifesta nella musica dell’ottantatreenne maestro.

    Il tema principale del Rondò, corrispondendo all’essenza del doppio concerto, è un vero duo, rispettivamente duettino [Duettchen], nel quale fagotto e clarinetto si palleggiano gioiosamente il motivo d’entrata (“C’era una volta) in libero movimento contrapposto, e attraverso l’intero Rondò tale duettamento è mantenuto in modo sovrano con una mano straordinariamente leggera in forme sempre nuove. Con insolitofascino si presenta la trasparente strumentazione di un gioco privo di gravità, in cui gli archi (soli e tutti) si intrecciano in modo meravigliosamente naturale in delicati rapporti.

    Nel finale Strauss raggiunge supremi esiti di concerto grosso grazie alla triplice articolazione - fiati solisti, archi (soli e tutti). Ciò che fa apparire un gioiello il piccolo capolavoro non contaminato dalla problematica della musica contemporanea - che rappresenta un unicum in questo senso - è soprattutto questo: che attraverso di esso brilla la serenità di uno spirito libero, capace di evocare un piccolo mondo di pura bellezza da favola in un sospeso gioco musicalexviii.

    La composizione aveva trovato uno spunto immaginifico nella favola di Andersen dell’orso e della principessa, dapprima spaventata ed inseguita dalla fiera ma poi, cosciente della propria prevalenza, indotta a danzare sempre più noncurante al punto da trascinare nel suo vortice l’animale che infine si trasforma in principe (così Strauss si espresse in una lettera al fagottista viennese Hugo Burghauser, dedicatario del lavoroxix). Lo conferma anche una lettera di Schuh del 29 marzo 1948, interessato a raccogliere il maggior numero di informazioni in proposito, in vista dell’impegno a renderne conto in margine alla prima esecuzione del lavoro: “Per quanto riguarda la composizine del Duett-Concertino Lei aveva in mente le figure della principessa e del mendicante (clarinetto e fagotto). Sarebbe forse possibile conoscere alcuni altri particolari, che aveva in mente durante la composizione?”xx. È allora significativo che, in calce a un dattiloscritto che il musicologo svizzero gli aveva mandato, concernente il suo metodo di composizione (destinato a una pubblicazione americana), il maestro apponesse una nota che esortava a non usare i riferimenti alla “principessa” e al “mendicante”xxi.

    In verità, al di là della simbolica identificazione dei due strumenti nei personaggi della favola, il clima del Duett-Concertino risente palesemente della condizione dell’artista in quei mesi di isolamento nel paesaggio engadinese, sottratto al confronto con la realtà sgradevole del rapporto ormai irrimediabilmente incrinato con la propria storia e la propria cultura. Non di una fuga però si trattava, bensì del venir meno di quella sovreccitazionexxii che da sempre caratterizzava l’espressione della pienezza di vita con cui aveva affrontato la stagione bismarkiana, nel senso di superiorità della missione nazionale della sua borghesia (rilevabile nella magnificenza dei suoi poemi sinfonici) ancora preservato nelle opere che, incamminate verso la grande guerra, già registrano il senso di un mondo non più capace di guardare avanti. Quest’opera della vecchiaia, al pari di quelle più note dell’ultimo suo periodo, non parla più in nome della società organicamente consolidata da cui ricava la forza della convinzione, ma di un singolo individuo che si sente ormai relegato agli angoli della storia e che, in quanto tale, scopre il valore della distanza, del non coinvolgimento, del ritrovamento di un livello di coscienza che registra gli eventi senza più la pretesa di influenzarli con la propria volontà. Nella fattispecie la trama degli archi che apre il Duett-Concertino tratteggia un’orizzonte lontano su cui il clarinetto si inserisce ritrovando la sonorità silvestre dello strumento che, in andamento pastorale, risale all’originale identità di voce di natura, non più quella verso cui l’uomo di città si sentiva attirato alla ricerca di emozioni quasi esotiche (com’era il caso dell’Alpensymphonie), ma quella di un artista che alla natura si concede come ad ultima ratio, tornando a subordinare a quella logica la sua posizione di uomo che ha rinunciato all’orgoglio di poter dominare con i propri mezzi il mondo. In questa dimensione sospesa, se non proprio la serenità, l’autore ritrova la fonte dell’innocenza in cui si specchia, abbandonandosi al giocoso intrecciarsi dei due solisti, alle loro capriole condotte come in un gioco infantile.

    L’occasione straordinaria di assicurare la prima esecuzione dell’opera di un grande autore indusse legittimamente Nussio a progettare una tournée che avrebbe toccato varie città (Milano, Torino, Ginevra e Zurigo). L’obbligo primario dell’orchestra di assicurare il proprio servizio alla diffusione dei programmi radiofonici ne impedì l’andata in porto e la possibilità di estenderne l’impatto.

    In verità, sempre relativamente a Richard Strauss, un’altra opportunità fu offerta a Nussio e alla sua orchestra, quella di eseguire il Panathenäenzug op. 74 composto tra il 1926 e il 1927 per Paul Wittgenstein, il pianista (cugino di Ludwig, il noto filosofo) che perse un braccio nella prima guerra mondiale ma il quale riuscì ugualmente a condurre una carriera concertistica grazie alla solidarietà di vari compositori che gli dedicarono brani espressamente concepiti per la mano sinistra (Ravel, Prokof’ev, Britten, Strauss appunto il quale, oltre alla “processione delle Panatenée”, gli dedicò nel 1925 il Parergon zum Symphonia domestica op. 73). Tuttavia, dopo la prima esecuzione avvenuta il 16 gennaio 1928 a Berlino diretta da Bruno Walter e quella viennese dell’11 marzo diretta da Schalk, il pianista non volle più saperne giudicando improprio il ruolo di solista confrontato con una compagine orchestrale troppo prorompentexxiii. Mai ripresa da nessun altro interprete, la composizione fu rivista dall’autore nell’immediato dopoguerra su incitamento di un giovane pianista, Kurt Leimer, a sua volta autore di un proprio Concerto per la mano sinistra in un solo movimento, composto nell’anno della sua prigionia nel 1944 a Livorno dopo essere statoincarcerato come militare dagli Americani. Strauss menzionò per la prima volta Leimer in una lettera a Nussio del giugno 1947 subito dopo aver lasciato Luganoxxiv, magnificando la sua tecnica tanto da avergli affidato l’arduo compito di riportare in auge il brano, riservandogli il diritto esclusivo di esecuzione per tre anni. Come primo risultato tale raccomandazione procurò al ventottenne Leimer un primo concerto con la Radiorchestra il 27 maggio 1948, in cui, oltre allo Studio da concerto di Liszt per la sola mano sinistra, Nussio diresse in prima esecuzione il suo Concerto n. 2 in re bemolle maggiore con l’autore in qualità di solistaxxv. Qualche mese dopo, il 18 novembre, Leimer fu invitato a Lugano ad eseguire il Panathenäenzug, alla cui stesura definitiva aveva collaborato con l’elaborazione di una cadenza autorizzata dallo stesso Straussxxvi. Il concerto, diretto da Otmar Nussio - a rivelare un vero e proprio culto di Nussio per il maestro bavarese che si sarebbe confermato anche in successive programmazioni - comprendeva anche il Concerto op. 11 per corno e orchestra (eseguito dal solista Pietro Righini) e le Metamorphosen op. 142: “Con questa disposizione del nostro programma ci sarà quindi dato di studiare l’opera di Riccardo Strauss in tre fasi importantissime: la giovanile, quella del periodo maturo dell’artista e infine la fase del vegliardo”xxvii. l’omaggio aveva tutto il sapore del congedo da un grande compositore che giungeva al traguardo della vita facendo malinconicamente i conti con la storia.


    Note bibliografiche

    i “Radioprogramma” (da ora: RP), XIII n. 43 (27 ottobre 1945), p. 7, XIII n. 47 (24 novembre 1945), p. 10, XIII n. 51 (22 dicembre 1945), p. 11, XIV n. 3 (19 gennaio 1946), p. 6, XIV n. 5 (2 febbraio 1946), p. 8, XIV n. 9 (2 marzo 1946), p. 4. Si veda anche Otmar Nussio, Una vita “Tutta suoni e fortuna”, a cura di Tania Giudicetti Lovaldi, Locarno, Pro Grigioni Italiano - Armando Dadò editore, 2011, pp. 161-162.

    ii Anton Haefeli, Die Internationale Gesellschaft für Neue Musik (IGNM) – Ihre Geschichte von 1922 bis zur Gegenwart, Zürich, Atlantis Musikbuch-Verlag, 1982, pp. 196 sgg.

    iii Jürgen May, Last Works, in AA. VV. (a cura di Charles Youmans), The Cambridge Companion to Richard Strauss, Cambridge, Cambridge University Press, 2010, p. 179.

    iv O. Nussio, Una vita “Tutta suoni e fortuna”,cit., p. 174.

    v In una lettera del 30 marzo a Willi Schuh il maestro parla della residenza San Rocco come di “moderno sanatorio iperigienico, pulito come uno specchio, in una splendida posizione, cosicché mia moglie è molto entusiasta e ha ritrovato l’appetito”, pregando il giovane musicologo di “non dimenticare le mie letture; qui ho a disposizione solo romanzi dozzinali” (Richard Strauss, Briefwecshsel mit Willi Schuh, Atlantis Verlag, Zürich 1969, p. 121).

    vi Bernhard Paumgartner, Richard Strauss in der Schweiz, in “Oesterreichische Musikzeitschrift”, 19. Jg. (1964), p. 380.

    vii “N: ‘Gliene sono molto grato; ora debbo confessarle che la direzione, a causa dell’incompetenza nel valutare la grande fortuna che ci arride, non sarà disposta a versarle un importo superiore ai 1500 franchi!’ S: (filosoficamente) ‘A ciò sono abituato. Ogni volta che ho diretto in Svizzera, non ho mai ricevuto più di 1000 franchi!’” (O. Nussio, Una vita “Tutta suoni e fortuna”,cit., p. 180).

    viii R. Strauss, Briefwecshsel mit Willi Schuh, cit., p. 126.

    ix RP, XV n. 23 (7 giugno 1947), p. 9.

    x V. S. [Vinicio Salati], Con Riccardo Strauss alla RSI, RP, XV n. 25 (21 giugno 1947), p. 3.

    xi L’apprezzamento del maestro è confermato nella lettera del 14 giugno a Schuh; “Nussio non solo è un simpatico artista, ma ha anche portato la sua piccola orchestra radiofonica alla miglior forma e a brillante disciplina. Egli merita un maggior campo d’attività” (R. Strauss, Briefwecshsel mit Willi Schuh, cit., p. 128). Per quanto concerne la prolusione di Bernhard Paumgartner nella stessa lettera egli loda la capacità “di esprimere col più bel calore e in laconico stile lapidario ciò che è determinante” (Ibidem).

    xii O. Nussio, Una vita “Tutta suoni e fortuna”,cit.,p. 184.

    xiii V. Salati, Con Riccardo Strauss alla RSI, cit.

    xiv Bernhard Paumgartner, Erinnerungen, Salzburg, Residenz Verlag, 1969, pp. 141-146.

    xv O. Nussio, Una vita “Tutta suoni e fortuna”,cit.,p. 189. Qualcosa di vero sta in questa affermazione se, nelle impressioni raccolte da Vinicio Salati leggiamo: “Io sono un uomo della montagna e tra le cime più alte mi sento felice. Ora me ne andrò un poco in Engadina perché questo vostro Paese è molto bello e il vostro senso dell’ospitalità prezioso” (V. Salati, Con Riccardo Strauss alla RSI, cit.). L’affermazione di Pauline (“Richard braucht jetzt eine heroische Landschaft”) è testimoniata anche da B. Paumgartner (Erinnerungen, cit., p. 144).

    xvi O. Nussio, Una vita “Tutta suoni e fortuna”,cit.,pp. 193-194.

    xvii RP, XVI n. 14 (3 aprile 1948), p. 7.

    xviii Willi Schuh, Richard Strauss’ “Duett-Concertino für Klarinette und Fagott mit Streichorchester und Harfe”, “Schweizerische Musikzeitung”, LXXX (1948), p. 209.

    xix Lucienne Rosset, Zum Duett-Concertino von Richard Strauss. Interview mit Martin Wunderle, dem Solofagottisten des Orchestra della Svizzera italiana, Lugano, “Rohrblatt (Magazin für Oboe, Klarinette, Fagott und Saxophon)”, X (1995), p. 134.

    xx R. Strauss, Briefwecshsel mit Willi Schuh, cit., p. 147.

    xxi Jürgen May, Bassoon’s Suicide and “Quartettstyl”: Strauss’s Duet-Concertino in the Context of His Late Compositions. Ringrazio vivamente l’autore, collaboratore del Richard-Strauss-Institut di Garmisch-Partenkirchen, per avermi permesso di consultare il testo inedito di questa sua conferenza, letta al Convegno Strauss among the Scholars nel 2007 all’Università di Oxford. Pure Otmar Nussio faceva stato della programmaticità della composizione in una lettera al maestro del 4 aprile 1948, da cui risulta l’esistenza della trama sottesa comunicatagli a voce dall’autore e annotata nell’autografo (Ibidem). D’altra parte, considerando altre parole comparenti negli schizzi di Strauss per il Duett-Concertino (“Palazzo” e “Adorazione”), nonché il suo interesse in quegli anni per Omero e l’Odissea, May prospetta una seconda interpretazione che rimanderebbe all’episodio di Ulisse e Nausicaa, i cui rispettivi profili sarebbero rappresentati nei due strumenti solistici. In questo caso subentrerebbe anche il paragone tra Ulisse naufragato sull’isola di Scheria e la situazione dell’autore forzatamente approdato in Svizzera.

    xxii Quirino Principe, Strauss, Milano, Rusconi, 1989, p. 925.

    xxiii Ibidem, p. 830.

    xxiv O. Nussio, Una vita “Tutta suoni e fortuna”,cit.,p. 193.

    xxv RP, XVI n. 21 (21 maggio 1948), p. 5.

    xxvi RP, XVI n. 46 (13 novembre 1948), p. 5.

    xxvii VS [Vinicio Salati], Panathenäenzug di Riccardo Strauss. Una prima mondiale alla RSI?, RP, XVI n. 46 (13 novembre 1948), p. 5.