• OFFICINA LETTERARIA
  • 18 Aprile 2018

    NOTE DI REGIA PER “CHIARO DI LUNA” DI HAROLD PINTER

      Vincenzino Siani

    Ricorre quest’anno il decennale della scomparsa di Harold Pinter, morto a Londra il 24 dicembre 2008, a 78 anni, per un cancro all’esofago, come rivelò sua moglie, Lady Antonia Frazer.

      

    Il cancro, scoperto nel 2001, gli impedì nel 2005 di ritirare personalmente il Premio Nobel per la Letteratura assegnatogli dall’Accademia di Svezia: il suo discorso di accettazione del premio fu filmato dall’autore in carrozzella e proiettato a Stoccolma nel corso della tradizionale cerimonia di ritiro.

     pinter cover

    Harold Pinter è stato attore, ha scritto per teatro, radio, televisione e, come sceneggiatore, per il cinema: ricordiamo fra gli altri Messaggero d’amore (1971) per Joseph Losey, La donna del tenente francese (1981) per Karel Reisz, Sleuth – Gli insospettabili (2007) diretto da Kenneth Branagh.

    In oltre trenta opere per il teatro, da La Stanza (The Room) del 1957 ad Anniversario (Celebration) del 1999, Pinter ha rappresentato l’ansia e l’ambiguità della vita umana nella seconda metà del ventesimo secolo. "Nelle sue commedie egli scopre il baratro che sta sotto le chiacchiere di tutti i giorni e spinge ad entrare nelle stanze chiuse dell'oppressione": questa, fra l’altro, la motivazione del Nobel.

    Chiaro di luna (Moonlight) è del 1993. 

     MOONLIGHT ENGLISH COVER


    Dedicato “ad Antonia con amore” e rappresentato per la prima volta all’Almeida Theatre di Londra il 2 settembre 1993, Chiaro di luna fu per Pinter un ritorno al teatro classico dopo un lungo periodo (circa dieci anni) dedicato alla scrittura di opere teatrali di grande impegno politico.

    LA VICENDA

    Sette personaggi animano Chiaro di luna: Andy e Bel (marito e moglie, sulla cinquantina), Ralph e Maria (marito e moglie, anch’essi sulla cinquantina), Jake (ventottenne), Fred (ventisettenne) e Bridget (una ragazza di sedici anni) figli di Andy e Bel.

    Bridget apre la pièce: è notte, non riesce a dormire; pensa teneramente ai suoi genitori addormentati. 
    Andy è sul suo letto di morte, colpito da “un colpo” improvviso; Bel gli è seduta accanto, intenta a un lavoro di cucito. 
    I due, coppia sfibrata da dolorosi eventi, intrecciano un dialogo sottilmente crudele: fra ironia e sarcasmo, di tanto in tanto si insinuano, inattesi, nostalgici ricordi dei tempi andati, materia di un definitivo bilancio esistenziale.
    Andy chiede a Bel dei due figli maschi: li vorrebbe accanto avvertendo la propria fine; Bel non riesce a trovarli. 
    Fred e Jake, lasciata la casa paterna, chiusi in un loro indefinibile e spoglio spazio, emotivamente lontani, non hanno più alcun genere di rapporto con i genitori, né intendono averlo: passano il giorno in dialoghi stravaganti, esilaranti, fatui, privi di senso compiuto; quasi folli.

     BRIDGET 

    Nel tempo sospeso e breve fra la rievocazione del passato e la morte ormai prossima, Andy riceve la visita di Maria e Ralph, amici di un tempo andato: ambigui e trasgressivi, incompiuti come singoli e come coppia, rappresentano nuclei per riflessioni e memorie, sul filo della rivisitazione nostalgica o pungente di sentimenti ed eventi che hanno coinvolto in passato le due coppie.
    Maria e Ralph, informati della prossima fine di Andy, rifiutano di crederci e vanno via per non lasciarsi coinvolgere nella luttuosa situazione.
    Jake e Fred sono alfine raggiunti telefonicamente da Bel che li avverte della prossima fine del padre: anche loro non vogliono farsi carico di alcuna attenzione, di alcuna partecipazione alla morte di Andy e fingono, al telefono, di essere gestori di una lavanderia cinese.
    Neppure Bridget può essere presente: illusoriamente attesa dal padre che l’ha amata teneramente e che ha sempre negato a sè stesso la sua perdita, da tempo non è più in vita.
    Così Andy muore con la sola compagnia di Bel, la quale, peraltro, sin dall’inizio ha atteso fiduciosamente la sua fine: lei gli sopravviverà e questo, dopo tutto, sarà il suo trionfo.
    Bridget, figura fantomatica e lunare, chiude la pièce con un monologo poetico e affascinante, di una purezza simbolica inconciliabile con la realtà contaminata e corrotta di un mondo alla deriva.

    NOTE DI REGIA

    Chiaro di luna non è mera rappresentazione dell’ultimo giorno di vita di Andy fra ricordi, rimorsi e affetti; non vi è cronaca in Pinter, né qui né altrove: il fascino del suo teatro sta nel non detto, nell’indistinto, nelle allusioni, nelle frasi di uso consueto proposte in contesti che ne rendono ridicoli o privi di senso i contenuti, spargendo sarcasmo su personaggi e situazioni. 
    Improvvisamente, da elegiache rimembranze emergono imprecazioni o, all’opposto, da sarcasmo e ironia sboccia, inattesa, una nota sentimentale.

     MOONLIGHT

    Le parole, la sintassi, i dialoghi sono tessere di un mosaico dai margini indefiniti da cui emergono quesiti sull’esistenza e sul destino dell’umanità. 
    E’ il modo di Pinter.

    Non vi sono certezze in Chiaro di luna.
    Bridget, che apre e chiude la pièce, non si sa se è ancora in vita (Pinter si guarda bene dal darci notizia certa della sua morte) o se è già oltre quell’orizzonte che Andy è in procinto di oltrepassare, ignaro di come sarà attraversarlo e di “come sarà il clima”.  
    Non vi sono certezze in Ralph: il suo percorso casuale fra mestieri e affetti lo ha portato a considerare l’umano pensare come qualcosa che “vi acceca… vi stordisce a tal punto che alla fine della giornata non sapete più se siete seduti sul culo o sui gomiti”.
    Non vi sono certezze in Jake e Fred che alimentano l’uno la psicosi dell’altro inventando mondi e situazioni, generando spirali di dialoghi fatui e surreali.

    J: Come hai detto che ti chiamavi? L’avevo appuntato da qualche parte.
    F: Macpherson.
    J: Strano. Credevo fosse Gonzales. Non sbaglio se dico che sei nato a Tooting Common?
    F: Sono venuto perché mi hai fatto convocare con urgenza. Volevi consultarmi.
    J: Mi sono spinto così in là?
    F: Quando dico tu non intendo te, naturalmente. Intendo loro.
    J: Vuoi dire Kellaway.
    F: Kellaway? Non conosco nessun Kellaway.
    J: Ah, no?
    F: E’ il tuo nome che mi hanno dato.
    J: Cioè quale nome?
    F: Saunders.
    J: Ah, sì

    E ancora:
    F: …Dimmi di più su Belcher
    J: Belcher? Chi è Belcher? Ah, Belcher! Scusami. Per un momento pensavo confondessi Belcher con Bellamy. Per via della B. Mi segui?

    Solo Bel ha una certezza: l’imminente morte del marito; per lui sta già cucendo il sudario. 

     CHIARO DI LUNA COVER IT

    In Chiaro di luna i dialoghi scintillanti, sempre ironici, spiazzanti, divertenti, a volte assorti svelano ingenuità, debolezze, desideri, autoinganni, mascherano la definitiva e irrimediabile sconfitta dell’umanità; la vita è teatro di suggestioni, di fumose affabulazioni che vanamente cercano di colmare l’assoluto vuoto, l’assoluta solitudine di chi sulla propria esistenza non può ottenere risposte.

    Di qui la vanagloria buffa e tragica di Andy che, a titolo di definitivo giudizio, ripercorre la sua vita lavorativa per attribuirle un senso cui è lui il primo a non credere: “Ora te lo dico io cosa sono stato, sono stato un impiegato statale di prima classe…Sono stato un potere temuto e invidiato nei templi dei giusti”. 
    In quest’ultima frase c’è tutta l’ilarità, tutto il sarcasmo con cui Pinter guarda agli orpelli che tentano di riempire di senso la nostra vita. O meglio, di dare importanza e significato a valori utilitaristicamente inventati dall’uomo per allontanare il vuoto reale dell’esistenza.

    E tuttavia, in questo mondo di uomini prossimi al tramonto, illusi o mentalmente sconnessi, incompiuti e sentimentalmente precari, in atmosfere in cui la morte costantemente aleggia, ci si diverte molto per la brillantezza dei dialoghi, la comicità di certe situazioni, per il non-sense elevato a espressione del disagio.
    E’ il modo di Pinter: farci ridere di noi stessi rappresentando l’assurdità del nostro essere, la nostra incapacità di affrontare la verità, le nostre mancanze; è il suo modo di dirci che raggiungeremo la fine dei nostri dolori solo quando avremo passato l’orizzonte, quando saremo invitati a una festa, in una casa vuota in fondo a una strada buia, dove alla fine ci immergeremo in un chiaro di luna vibrante e intenso.

    Tutto questo è Chiaro di luna, quasi una metafisica allusione all’insondabile mistero sul destino dell’uomo e dell’universo.

      SCENA PALCO

    Come rappresentare tutto ciò, come esprimere teatralmente l’emozione e le riflessioni generate dalla lettura di Chiaro di luna?
    Come rappresentare in circa ottanta minuti un mondo in cui convivono memorie e follia, sarcasmo e tenerezze, ritrosie e passioni, giochi e angosce?

    Siamo partiti dallo spazio e dal tempo; lo spazio scenico e il tempo musicale: il ritmo, l’altezza, la modulazione, la durata; di parole, frasi e pause.

    La scena

    Pinter suddivide la scena in tre zone: due stanze da letto, una di Andy (ben arredata), l’altra di Fred (squallida), disposte in due zone separate, e una terza zona, quella in cui appare Bridget, dove Andy gira di notte e dove Jake, Fred e Bridget stessa recitano insieme il loro flashback.  

    Sulla scena abbiamo sistemato la stanza di Andy sulla sinistra di chi guarda, quella di Fred sulla destra e nel mezzo l’area di Bridget.
    Ciascuna delle tre zone è pensata come spazio-tempo: nell’area di Andy rivive il passato e si realizza il presente, il suo viatico verso la morte; nello spazio di Fred non vi è passato e il presente sta nella futilità dei dialoghi, improvvisati e insensati, nelle situazioni fittizie. 

    La zona di Bridget è centrale perché verso di essa convergono gli avvenimenti che si verificano nelle altre due zone: è uno spazio oltre il tempo dei fatti che accadono, è il tempo di una dimensione senza tempo, oltre l’ultimo orizzonte che Andy è sul punto di superare. 
    E’ lo spazio di un “al di là”, cui si accede morendo: è il buco nero che attrae, ingloba, inghiotte tutto il tempo contingente e “storico” dell’umanità, gli inutili, velleitari, ridicoli atti e discorsi umani. Foreste lussureggianti, soffici suoli e infinite varietà di fiori lo popolano; e, tuttavia, non è il Paradiso: Bridget lo abita dopo aver attraversato “molti paesaggi impervi”; luoghi dove “non c’erano ripari… non c’erano morbidezze… non c’era consolazione, né rifugio”. E, tuttavia, in questo approdo dove “c’è rifugio” può vivere la sua libertà solo nascondendosi: “Posso nascondermi. Sono nascosta. Nascosta, ma libera”. 

    Qui Pinter, a nostro parere, evoca l’olocausto quando fa dire a Bridget “C’è odore di bruciato. Un odore di velluto, molto intenso, un’eco come di campana”.
    E’ il Pinter attento alla storia dell’uomo, alla politica, all’etica che dovrebbe guidare le società umane: è il Pinter del discorso in occasione del Nobel per la letteratura (2005).

    Il tempo

    In Chiaro di luna il passato è nebbia, memoria incerta, il presente è passaggio verso un altrove sconosciuto e inconoscibile, il futuro è angosciante; fortunatamente negato a chi sta per attraversare l’orizzonte, temuto da chi, pur di difendersi, si rifugia in mondi fittizi, disposto anche a vivere la follia.  

    Il tempo dunque, ci siam detti, dovrà essere la chiave di approccio a Chiaro di luna

    Il tempo adottato dagli attori nel porgere la parola e la frase dovrà consentirci di esprimere le cose non dette, alluse, i colori emozionali delle parole; attribuire un suono, un ritmo, una durata a quanto suggerito dal testo. 
    Rappresentarne la musica per raggiungere il senso e comunicarne le emozioni, suscitare in chi partecipa impressioni che risuonino a lungo.

    Per realizzare questo “paesaggio sonoro” abbiamo curato in modo attento, a volte ossessivo, le linee della dizione delle battute, servendoci proprio del linguaggio musicale: altezza, timbro, durata. 
    E, soprattutto, curando le pause; gli intervalli silenziosi fra una parola e l’altra, fra una battuta e l’altra.

    Pinter aveva una predilezione per le pause: se si legge Proust, la sua sceneggiatura per un film sulla Recherche mai realizzato, si nota l’estrema cura accordata alle pause, ai silenzi, al muto linguaggio degli sguardi: vuole comunicare impressioni per raggiungere il senso del non detto. Pinter si affida al tempo musicale, ai silenzi pieni di senso delle pause.

    PINTER PROUST

    Così la cifra del nostro approccio a Chiaro di luna è stata, soprattutto, l’attenzione rivolta ai tempi, alla scansione musicale del tempo.
    Tempi lenti e a volte larghi, maestosi; a volte moderati o allegri, concitati; spesso affidando lo svelamento di frasi e parole alle pause indicate nel testo, così frequenti e significative, generatrici di senso e dispensatrici d’incanto.

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