• "FRAMMENTI E COLLAGE"
  • 14 Gennaio 2019

    Marcel e la lettura

      Vincenzino Siani

    L’adolescenza, Combray, la lettura…”steso sul mio letto con un libro in mano, nella mia camera che, tremando, proteggeva dal sole del pomeriggio la sua freschezza fragile e trasparente dietro le imposte semichiuse dalle quali un riflesso del giorno era tuttavia riuscito a far filtrare le sue ali gialle che giacevano immobili tra legno e vetro, in un angolo, come una farfalla posata”.

     

    La verità, il reale suscitato dalla lettura, rivelato e partecipato più di quello proposto da Combray, “una vera e propria parte della Natura stessa, degna di essere studiata e approfondita”.

    Oggetti e paesaggi, sentimenti e personaggi generati dall’opera letteraria, immateriali eppure in noi ancora più reali del mondo naturale percepito dai sensi: questo il potere della letteratura per Marcel Proust. 

    “Dopo questa fede centrale che, durante la lettura, eseguiva incessanti movimenti dall’interno all’esterno verso la scoperta della verità, venivano le emozioni suscitate in me dall’azione alla quale prendevo parte: quei pomeriggi, infatti, contenevano più avvenimenti drammatici di quanti non ne contenga, spesso, un’intera vita. Erano gli avvenimenti che si susseguivano nel libro che stavo leggendo; è vero che i personaggi in essi coinvolti non erano “reali”, come diceva Françoise. Ma tutti i sentimenti che la gioia o la sventura di un personaggio reale ci fanno provare non si producono in noi che per il tramite di un’immagine di tale gioia o di tale sventura; il colpo di genio del primo romanziere fu proprio quello di comprendere che nel meccanismo delle nostre emozioni l’immagine è l’unico elemento essenziale, e che la semplificazione consistente nella pura e semplice soppressione dei personaggi reali avrebbe dunque costituito un perfezionamento decisivo. Un individuo reale, per quanto profondamente possiamo simpatizzare con lui, è percepito in gran parte dai nostri sensi, il che significa che resta opaco per noi, che la nostra sensibilità non riuscirà mai a sollevare il suo peso morto. Se una disgrazia lo colpisce, potremo essere turbati solo in una piccola parte della nozione totale che abbiamo di lui. Di più: lui stesso potrà essere turbato solo in una piccola parte della nozione totale che ha di sé. La trovata del romanziere è consistita nel sostituire quelle parti impenetrabili all’anima con una uguale quantità di parti immateriali, tale cioè che la nostra anima possa assimilarle. Che importa allora se le azioni, le emozioni di questi individui d’un genere nuovo ci appaiono come vere, dal momento che le abbiamo fatte nostre, dal momento che è in noi che esse si producono e che è da loro che dipendono, mentre voltiamo febbrilmente le pagine del libro, la rapidità del nostro respiro e l’intensità del nostro sguardo? E una volta che il romanziere ci ha messi in questo stato nel quale, come in tutti gli stati puramente interiori, ogni emozione è decuplicata, e il turbamento che il suo libro ci darà risulterà simile a quello di un sogno, ma di un sogno più nitido di quelli che facciamo dormendo e destinato a durare di più nel ricordo, ecco che egli scatena dentro di noi nello spazio di un’ora tutte le possibili gioie e sventure che, nella vita, impiegheremmo anni interi a conoscere in minima parte, e di cui le più intense non ci verrebbero mai rivelate giacché la lentezza con la quale si producono ce ne impedisce la percezione (così, nella vita, il nostro cuore cambia, ed è il dolore più grande; ma noi non lo conosciamo che nella lettura, con l’immaginazione: nella realtà esso cambia – secondo il ritmo con cui si determinano certi fenomeni della natura – abbastanza lentamente perché, pur potendo constatare successivamente ciascuno dei suoi diversi stati, la sensazione del cambiamento ci sia, in sé, risparmiata). 

    (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto. Traduzione di Giovanni Raboni. 1983, Arnoldo Mondadori  Editore, Milano)

    MARCEL E LA LETTURA