• Diario d'ascolto
  • 17 Gennaio 2016

    Uniti in libertà

      Carlo Piccardi

    Della cosiddetta Sonata FAE oggi al massimo si conosce e si esegue ancora lo Scherzo (Allegro) composto da Brahms. Gli altri tre movimenti composti da Robert Schumann e da Albert Dietrich sono assai meno noti.

    Comunque il destino di una composizione dalla paternità multipla è stato chiaramente segnato da un’estetica che proprio nell’Ottocento ha avuto il suo culmine in quanto espressione di una cultura che aveva mitizzato il genio creatore al punto da considerare l’opera a senso unico come prodotto esasperatamente individualizzato.

     SONATA FAE

    Poca fortuna arrise quindi a una composizione che in un certo senso veniva a mettere in discussione i criteri di valutazione correnti, così come marginali restarono altre opere «collettive» dell’epoca (quali il quartetto per archi composto da Rimski-Korsakov, Liadov, Borodin e Glazunov dedicato all’editore Belajev di cui ciascun autore scrisse un tempo sempre utilizzando lo stesso tema strutturato secondo l’antico procedimento del «soggetto cavato dalle parole» del nome del dedicatario).

    RIMSKY BORODIN ECC

    Solo nel Novecento il genere delle composizioni a più mani poté assumere un peso rappresentativo nel contesto della comunicazione estetica, soprattutto negli anni Venti quando il fenomeno artistico fu ridefinito nei suoi aspetti oggettivistici.
    Ecco quindi il parigino Gruppo dei Sei riunito intorno a Jean Cocteau (Auric, Honegger, Milhaud, Poulenc, Durey, Tailleferre) a comporre in cooperativa la musica per Les Mariés de la Tour Eiffel, oppure Hindemith insieme a Weill impegnato a dare un volto musicale al «Lehrstück» di Brecht Il volo transoceanico.

    maries de la tour eiffel

    All’origine di un rapporto altrimenti problematico stava evidentemente la ragione della solidarietà fra artisti ‘correligionari’, in una situazione dove la necessità di far breccia imponeva l’azione di gruppo.

    groupe des 6

    In un certo senso la stessa realtà sta dietro la Sonata FAE al di là della circostanza di cronaca che la pretende omaggio al grande violinista Joseph Joachim, improvvisato su suggerimento di Schumann alla notizia dell’arrivo dell’amico in casa sua.
    Il motto stesso (FAE, «frei aber einsam») presenta risvolti che vanno oltre il contesto conviviale, rifacendosi esso innanzitutto al principio di libertà e di autonomia artistica, di cui Schumann fu il massimo propugnatore nell’àmbito del romanticismo musicale, nel contempo ricondotto a quell’esigenza di sodalizio parallelamente maturata di fronte a una realtà ostile privilegiante espressioni di tutt’altro tipo.
    L’idea corporativa vagheggiata da Schumann a livello ideale sottoforma di «Lega dei Fratelli di Davide» (direttamente manifestata in musica nelle Davidsbündlertänze op. 6) non fu infatti un prodotto qualsiasi di fantasia ma si radicava nella precisa consapevolezza del messaggio riservato agli eletti che, per non soccombere al mondo dei ‘filistei’ doveva far appello alla forza dell’unione.

     Homage-to-Robert-Schumann-show

    In questo senso alla mente del compositore renano era già presente la giustificazione dell’avanguardia organizzata che, pur essendo teorizzata in termini di proiezione immaginativa, trovò modo di attuarsi occasionalmente, (nella circostanza della Sonata FAE in ogni modo).

    Il pretesto, come si è detto, fu dato dalla preannunciata visita di Joachim il quale, accompagnato da Clara Schumann, avrebbe dovuto suonare l’opera cercando di indovinare la paternità dei vari movimenti. Pare che il grande violinista non avesse avuto dubbi nel risolvere il curioso gioco di attribuzioni. In realtà, in prospettiva storica, non è tanto questo aspetto che importa bensì la facilità di rilevare le strettissime parentele tra i vari autori i quali, pur non avendo dato vita a una scuola organizzata, rivelano ben più di un’affinità.
    Il primo tempo di Dietrich (Allegro), pur non riuscendo ad evitare la scolasticità nell’applicazione della forma-sonata, rivela una profonda dipendenza dal mondo schumanniano, nell’idea fissa che domina sulla dialettica sonatistica. Il maestro renano, che vi si esprime nell’Intermezzo e nel Finale, è lo Schumann più tipico: sognante nell’uno e affermativo nella ritmica marziale che si impone nell’altro, secondo l’ambivalenza che sta alla base del suo mondo estetico. Brahms vi contribuisce con lo Scherzo, pagina di grande profilo (sicuramente il vertice della singolare combinazione) ma fedelmente schumanniana nella dialettica che oppone il Trio alla prima parte dello Scherzo, nel senso di una caratterizzazione ancorata al mondo dei sentimenti prima ancora che alle ragioni architettoniche del modello sonatistico. 

    CLARA SCHUMANN

    D’altra parte il 1853, anno di composizione della Sonata FAE, fu anche l’anno in cui Schumann sulla sua rivista musicale rivelò al mondo nel celebre articolo «Vie nuove» l’avvento di un nuovo genio, Johannes Brahms appunto («qualcuno che sarebbe chiamato a render palese in modo ideale la più alta espressione del tempo, qualcuno che ci apporterebbe la perfezione magistrale non attraverso uno sviluppo graduale del suo ingegno, ma di colpo, come Minerva, quando uscì armata dal capo di Cronide»), che egli esaltava nella novità del linguaggio ma che in fondo vedeva come un continuatore, come il depositario (al di là certamente di una morte che Schumann sentiva prossima) dell’espressione mantenuta pura di fronte alle mode e ai condizionamenti del pubblico.

    In questo senso, nel suo profilo formale tormentato e di espressione tutta volta all’intimo sentire senza nulla concedere al gesto virtuosistico (benché la destinazione a Joachim avrebbe potuto prendere la mano), la Sonata FAE è sicuramente una composizione importante per il carattere programmatico che vi sta alla base e come momento rivelatore dell’esistenza di una comunità artistica normalmente considerata troppo in secondo piano di fronte al prevalere delle singole personalità, ma che assume una precisa ampiezza se, oltre agli allievi di Schumann, vogliamo annoverarvi pure la moglie Clara, compositrice altrettanto indissolubilmente fedele a quel mondo, benché le Tre Romanze op. 22 (dedicate ancora a Joachim e pure risalenti a quegli stessi anni) nei modi un po’ leziosi e manierati rivelino la pianista più tentata dall’esteriorizzazione.