• Diario d'ascolto
  • 15 Ottobre 2020

    UN POEMA PER VIOLINO

      Carlo Piccardi

    Pagina più celebre di quanto lo sia diventato il suo autore, il Poème di Ernest Chausson, insieme ai concerti più famosi, si è istallato stabilmente nel repertorio dei violinisti come riuscita indiscussa senza con ciò aprire un varco alla conoscenza più profonda di un compositore le cui qualità, per quanto riguarda il resto della sua opera, rimangono tutte da scoprire.

     

    Ora, pur non essendo articolato come un concerto (né come movimento di concerto) e recando una titolazione di per sé già allusiva, il Poème non sembra aver mai suscitato evidenti richiami a una dimensione letteraria. In realtà, invece, oltre a un titolo non casuale e pur senza essere accompagnato da indicazioni più precise nell’edizione a stampa, il manoscritto di questo capolavoro reca di pugno dell’autore le parole emblematiche «Le Chant de l’Amour Triomphant», vale a dire il titolo di una delle più singolari novelle di Turgheniev di cui il musicista si era rivelato fervente lettore. Oggi dimenticata, intrisa di tragiche risonanze in cui sembra sia stata adombrata la passione dello scrittore per la celebre cantante Pauline Viardot Garcia, la novella offriva spunti all’identificazione della dimensione della fatalità dell’amore che non solo allora nutriva la letteratura ma, dopo Wagner, la stessa sostanza comunicativa della musica.

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    Ernest Chausson nell'intimità

    Qui occorre qualche dettaglio, trattandosi di un fatto sia letterario sia musicale rimasto marginale. Vi si narra la vicenda ambientata nella Ferrara del XVI secolo dove la bella Valeria, fra due giovani perdutamente innamorati di lei, sceglie di sposare il biondo Fabio. Mucio, il contendente, parte per l’Oriente, da dove tornerà inaspettatamente qualche anno più tardi accompagnato da un domestico dedito alla magia. Una sera, invitato dall’amico, versa ai suoi ospiti un misterioso vino di Shiraz, poi su un violino indiano intona una melodia capace di produrre in Fabio e Valeria un effetto straordinario di intenerimento. Ma è soprattutto la donna che durante la notte è preda di un sogno singolare in cui Mucio la serra fortemente tra le braccia, mentre al risveglio continua a sentire la melodia del «canto dell’amore trionfante» che egli aveva confessato di aver ascoltato un giorno a Ceylon e che risuona sotto le sue dita ormai abbandonate alla magia dello strumento. L’indomani, sprofondata in un sonno ipnotico, Valeria si alza in stato di incoscienza come se fosse spinta da una forza oscura. Di fronte al sortilegio che turba la sua felicità, Fabio decide di scoprire l’arcano e, mentre il canto misterioso sale dalle tenebre, segue la sposa nel giardino dove con lo sguardo fisso e le braccia tese in avanti ella procede verso Mucio parimenti vittima dello stesso incantesimo. Reso irragionevole dalla visione, Fabio si getta sull’amico e con la spada lo ferisce a morte: nello stesso tempo la donna procombe poi, trasportata nel suo appartamento, si sveglia come liberata dal peso di un dolore opprimente. Dopo qualche tempo Valeria, seduta all’organo, mentre Fabio sta terminando il suo ritratto, sente inconsciamente le dita sulla tastiera impadronite dalla melodia del «canto dell’amore trionfante» e nello stesso istante nelle sue viscere i primi movimenti di una vita nascente.

     Ivan Sergeevič Turgenev
    Ivan Sergeevič Turgenev

    Inutile sottolineare le analogie con il Tristano wagneriano che, nel caso del Poème, vanno tuttavia al di là della parentela «letteraria». Chausson, infatti, fu in Francia uno dei più strenui propugnatori di Wagner ma - ciò che più importa - colui che forse più di qualsiasi altro seppe coniugare gli aspetti dell’estetica wagneriana (i miti celtici nel suo caso e la passionalità dell’espressione) con il senso tipicamente francese della trasparenza stilistica e della luminosità dell’espressione.

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    Chausson, Degas e Debussy

    Il Poème prende infatti avvio in un tortuoso movimento cromatico che, come il preludio del Tristano, si sviluppa a ondate; sennonché le armonie che lo sorreggono evitano il gorgo di fosche tinte fatali attraverso una chiara definizione delle armonie, mentre la sinuosità del melodiare, pur non fissandosi mai in rapporto di frase simmetrica, scolpisce temi solidi nel disegno e ampi nel respiro. Vi predomina indiscutibilmente un principio formale libero da strutture prefissate e sciolto nel turbine di tensioni e distensioni, miranti ormai a definire null’altro che stati emozionali, rapimenti in una dimensione impegnata ad accendere la fantasia al di là della portata della stessa musica.