• Diario d'ascolto
  • 16 Luglio 2019

    NOTE SUL VALZER

      Carlo Piccardi

    I trattati di storia della musica ci insegnano che molta musica strumentale deriva dalla danza: la gagliarda, la sarabanda, la corrente, la ciaccona, la passacaglia prima di diventare forme musicali autonome erano danze vere e proprie. Il minuetto, prima di trovare collocazione come tempo di sonata, di quartetto, di sinfonia, viveva già come danza. Non esiste però danza più del valzer che sia riuscita a impregnare di sé la musica di un intero secolo.

     

    Nell’Ottocento il valzer non troneggia solamente nei capolavori di Strauss, ma fa capolino tra le opere di ogni musicista, anche del più severo, magari solo configurando con il suo inconfondibile gesto il tratto risolutivo di una composizione. In questo senso, e a differenza di tutte le danze citate, il valzer nell’Ottocento non è nemmeno una forma ma piuttosto un concetto. E che tale fosse destinato a diventare poteva già apparire dalle parole del Werther goethiano (1774): «Cominciammo il valzer e fu come un ruotarsi intorno delle sfere celesti. Non mi ero mai sentito così leggero. Non ero più un essere umano. Tenere tra le braccia la più amabile delle creature, volare intorno con lei come una bufera e... Guglielmo, voglio essere sincero: ho giurato che non permetterò mai a una creatura che amo di ballare il valzer con altri che con me, mi dovesse costare la vita. Tu mi capisci!».

    Difficile però trovare una musica del tempo capace di suscitare simili sensazioni: il primo Werther messo in musica, la curiosa e interessantissima composizione sinfonica di Gaetano Pugnani risalente al 1790 contiene danze di ogni genere (minuetti e contraddanze), ma nessuna capace di suggerire quell’ebbrezza contenuta nelle parole di Goethe la quale avrebbe dovuto attendere più di trent’anni per trovare una musica consona. A meno che simili esaltanti sensazioni, prima ancora che dalla musica, fossero indotte dallo stile di danza che per la prima volta vedeva i ballerini allacciati a coppie.

    Ecco un valzer descritto da Ernst Moritz Arndt ed eseguito in una festa da ballo di un villaggio vicino ad Erlangen nel 1804: «girando la coppia si avviluppa nei lembi del lungo vestito rimanendo strettamente allacciata e in questo modo continua a volteggiare in un atteggiamento sconvenientissimo... Le ragazze poi avevano uno sguardo folle o sembravano prossime al deliquio. Quando volteggiavano nella parte buia della sala gli abbracci e i baci diventavano addirittura sfrenati».

    LANDLER
    Ländler

    In seguito a questa fama in quegli anni il valzer rimaneva bandito in Svezia e in alcuni cantoni svizzeri. In Inghilterra riuscì a farsi accettare solo nel 1812, mentre alla corte di Prussia, sotto Guglielmo II, non gli fu permesso l’accesso.

    Contemporaneamente il valzer aveva conquistato Vienna con gran soddisfazione di Metternich il cui furore censorio non a caso si fermava alla musica, diventata principale agente di distrazione durante il periodo della Restaurazione e per la quale dava esempio la corte imperiale che forse per prima in Europa si era appropriata di questa danza di origine borghese. Il valzer non è infatti propriamente un prodotto di corte, anche se può avere in comune con il minuetto la scansione in tre tempi. Nulla esso conserva del carattere di rappresentanza, della formalità e dei convenevoli imposti dalla danza cortigiana. E, pur discendendo esso dalla danza tedesca (o Ländler), abbandona il movimento per figurazioni collettive (con battiti di mani, ecc.) per isolare la coppia. Scomparendo il carattere di danza di gruppo viene meno anche quel carattere «rituale» presente nel mondo popolare. In questo senso il valzer è probabilmente la prima vera e propria danza borghese dell’epoca moderna. Non per niente la più veloce scansione del ritmo rispetto al Ländler è stata chiaramente resa possibile dai pavimenti lisci delle sale e dei saloni di città dov’era più facile scorrere in rapidi volteggi. 

    valzer di corte

    D’altronde vi era stato Mozart a cogliere il livello di classe sociale associato alle danze che appaiono alla fine del primo atto del Don Giovanni. Durante la festa in maschera Don Ottavio e Donn’Anna (nobili) ballano un minuetto, Don Giovanni con Zerlina (che è contadina) balla una contraddanza, infine Leporello (intento a distogliere Masetto geloso di Zerlina) balla con lui (che è pure contadino) una danza tedesca. È dunque la Vienna borghese ad identificarsi per prima nel valzer, tanto da assicurare fortuna editoriale alla prima raccolta conosciuta di valzer per pianoforte (l’op. 38 di Muzio Clementi). E sarebbe stato il pianoforte, strumento presente in ogni trattenimento borghese, a diventare veicolo dei valzer che Schubert eseguiva come accompagnamento delle danze nelle case degli amici viennesi. E fu nei ritrovi pubblici che si formarono le prime orchestre di danza di Joseph Lanner e di Johann Strauss padre, fornitrici inesauribili di evasione (4 scellini una marcia, 10 un valzer) al viennese, che si era abituato a ritemprare nel valzer lo spirito che lo stile di vita absburgico altrimenti condannava al grigiore.

    JOHANN STRAUSS PADRE
    Johann Strauss padre

    Oltretutto il valzer viennese, assimilando quelle forme d’accompagnamento violinistico tipico delle bande zigane (con effetto di stiramento sui tempi deboli), non solo aveva creato melodie divise in cellule melodiche sospese capaci di potenziare lo slancio della danza ad ogni battuta, ma contemporaneamente guardava al fascino leggendario della parte orientale dell’impero moltiplicando i pretesti d’evasione, che sarebbero poi diventati fattori di decadenza irreversibile nei valzer della Vedova allegra, ormai veicoli di sentimentalismo oleografico e pseudofolclorico.

    Ma non abbiamo ancora risposto al perché il valzer abbia assunto tanta importanza nella musica dell’Ottocento, anche al di fuori dell’Austria. Probabilmente, come la grande musica romantica carica di empito e di instabilità emotiva che si ripercuote su una continua variabilità del ritmo, così il valzer nel suo piccolo presenta le stesse caratteristiche, la stessa aspirazione al vortice melodico mai conchiuso, la stessa elasticità del tempo che aveva scoperto l’idea di tempo rubato prima di Chopin. È un caso che a Chopin capitasse di scrivere il suo primo valzer (op. 18) a Vienna durante il soggiorno del 1831? 

    VALZER CHOPIN


    In ogni caso non lo è il fatto che Chopin sia giunto a individuare nel valzer una forma privilegiata. E probabilmente era destino che, per altra via e con diverse motivazioni, Berlioz pure giungesse al valzer creando il primo imponente esempio di valzer sinfonico. Il valzer su cui è modellato il secondo tempo della Sinfonia fantastica («Un ballo») è infatti il mezzo più adatto a illustrarne il programma: «dopo l’innamoramento, le passioni, le angosce e i furori della gelosia, l’artista ritrova l’amata nel mezzo del tumulto di una danza brillante», dove sicuramente riecheggia l’idea di perdizione collegata al valzer ancora nei primi lustri del secolo (nel 1812 Steibelt intitola «Baccanali» i suoi valzer per pianoforte), molto tempo ancora quindi dopo la bigotta condanna di Salomon Jakob Wolf in Dibattito sulle principali cause della debolezza della nostra generazione rispetto al valzer (Halle, 1797).

    BERLIOZ
    Hector Berlioz

    Detto questo può prendere consistenza anche l’ipotesi che il programmatico brindisi in tempo di valzer nel primo atto della Traviata, considerandone la funzione di proclama epicureo, rifletta in qualche modo tale pregiudizio. Ma anche se così non fosse la scansione in tre quarti che percorre tutta l’opera, assai più insistita che non negli altri lavori verdiani, significherebbe perlomeno l’identificazione musicale di un livello «contemporaneo»: si sa che la Traviata è l’unica opera di Verdi ad abbandonare il soggetto storico per situarsi nella contemporaneità. Certo che a quei tempi il valzer era già diventato consolazione (Brahms) e fuga verso la favola e il fantastico (Čajkovskij), per cui se esso riuscì in qualche modo ad essere veicolo di realismo (come certamente sarebbe stato nel giovane Stravinsky) occorre ammettere che esso riuscì a mostrare più di una faccia. Per questa molteplicità di significati il valzer è simbolo di una grande epoca e di un impero che Richard Strauss e Hugo von Hofmannsthal già seppellivano a suon di valzer nel Cavaliere della Rosa (1910) e a cui dieci anni dopo Ravel avrebbe riservato la più smagliante delle commemorazioni funebri (La valse). 

     Rosenkavalier

    Ma nel frattempo il valzer era riuscito ad essere qualcos’altro, in una serata che nel 1921 vide accomunati Schönberg, Berg e Webern nella presentazione di trascrizioni di quattro valzer di Strauss. L’esilità di queste pagine, adattate a un piccolo complesso d’archi con pianoforte, flauto e clarinetto – risuonante come un’orchestrina da caffè-concerto - tradisce una nostalgia che in tale grado solo personalità loro pari (capaci di tagliare i ponti in modo radicale con l’Ottocento) potevano trasmettere e che, come rovescio della medaglia, in un certo senso rimane ancora nelle pieghe di ogni audace musica posteriore.