• Diario d'ascolto
  • 19 Luglio 2021

    MUSICA SOVIETICA

      Carlo Piccardi

    La storia della musica sovietica, come quella politica, è una storia separata dal contesto europeo. Dopo il primo decennio di illusione rivoluzionaria, che fece per breve tempo credere in una possibile identità di interesse tra radicalismo politico e radicalismo artistico, la musica, più di ogni altra espressione, fu richiamata al principio dell’integrazione sociale, a svolgere la funzione di strumento di conciliazione. Ben note sono le disavventure di Prokof’ev e di Sciostakovic all’inizio degli anni Trenta, dell’autocritica che fu loro imposta al pari degli esponenti del cosiddetto revisionismo o decadentismo borghese.

    Il principio che doveva dominare era quello di un’arte al sevizio del popolo, quindi non elucubrata e non rispondente all’ambizione della pura ricerca individuale, cioè comprensibile e di massa. 

     Prokofiev
    Sergej Sergeevič Prokof'ev

    Come fu attuato tale obiettivo? Più che una vera promozione della creatività popolare (a causa dell’estromissione storica delle classi subalterne dallo sviluppo artistico) il risultato fu la generalizzazione del modello borghese ottocentesco, comprensibile per il fatto di fondarsi sul sistema tonale, analogo ai modi espressivi popolari e di massa nella misura in cui, attraverso l’opera e il concerto, già aveva collaudato i canali principali di diffusione della musica. Le esperienze dell’avanguardia di fronte a ciò risultavano condannate in partenza. Nel primo paese socialista del mondo si arrivò quindi al paradosso di un’arte proletaria fondata su principi borghesi. La sinfonia, genere che in Occidente decadde dopo Mahler (quindi dopo la prima guerra mondiale) continuò a fiorire in URSS grazie a Prokof’ev, Šostakovič e compagni mantenendo come modello i capolavori di Čajkovskij con un senso di continuità della tradizione. Questo è il luogo comune.

     Shostakoski
    Dmítrij Dmítrievič Šostakóvič

    A bocce ferme il discorso può essere affrontato anche da un’altra angolazione. Come per molti versi l’URSS fu strumento di emancipazione per molti popoli periferici, di lingue e culture “inferiori”, così la musica fu per loro un mezzo per ritrovare l’identità e promuoverla all’altezza delle esigenze internazionali. Aram Chačaturjan è il caso più noto per il suo ruolo importante nel dare uno sbocco alla tradizione armena, prima di lui totalmente assente dalle sale di concerto. Il Novecento sovietico, per molti popoli che nel secolo precedente non erano ancora riusciti a manifestarsi al pari dei maggiori in modelli nazionali all’altezza dello sviluppo più avanzato, rese possibile il recupero del tempo perduto. L’opera di Chačaturjan è lì a dimostrarlo con la vivacità e l’originalità dei suoi temi, delle sue soluzioni coloristiche, dei suoi ritmi incalzanti.

    kaciaturian 
    Aram Chačaturjan

    La sintesi di Ottocento e Novecento riscontrabile nella sua musica corrisponde cioè a una necessità storica, che va quindi considerata prima ancora di addentrarci nel giudizio estetico. Giudizio estetico che andrà comunque relativizzato alla luce della caduta della dialettica tra avanguardia e conservazione, avvenuta forse non a caso parallelamente alla caduta del comunismo. In fase ‘postmoderna’ cioè il recupero della forma negli assetti collaudati della tradizione e il venir meno della preclusione nei confronti delle manifestazioni convenzionali dell’espressività non può non rivalutare l’azione di coloro che hanno mantenuto fede a tali valori, in particolare ai creatori che, oltre a ossequiare questi principi, hanno inventivamente operato coniando uno stile individuale sciolto dagli epigonismi. Chačaturjan è sicuramente fra questi, presentando la sua scrittura il segno palese di una ricerca di equilibrio tra dati di convenzione e modernità del sentire.