• Diario d'ascolto
  • 13 Gennaio 2019

    MUSICA DEGENERATA

      Carlo Piccardi

    Fra le forme storiche di dittatura il nazismo si distinse per la ferrea applicazione di principî che, in campo artistico e culturale, non lasciarono margini di compromesso.

     

    Nonostante il suo carattere ‘asemantico’ anche la musica subì quindi il contraccolpo del cambiamento politico; anzi, per certi aspetti, ne fu anche il bersaglio più diretto. Non per niente è accertato che l’epiteto di Kulturbolschewismus, cioè il principale capo d’accusa per mezzo del quale i nazisti avrebbero citato a giudizio l’arte d’avanguardia, fu appunto lanciato da Siegfried Wagner contro il criterio della messinscena del Fliegende Holländer alla Kroll-Oper di Berlino, cioè il teatro d’opera diretto da Otto Klemperer oggi ancora ricordato come uno dai capisaldi culturali della produttiva stagione della Repubblica di Weimar. 

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    Fatto proprio dai nazisti, tale epiteto servì alla messa al bando di tutte quelle espressioni che aprivano sul mondo a scapito del principio dell’affermazione nazionalistica, in pratica contro l’intero àmbito in cui si era sviluppata l’avanguardia e che della Germania degli anni Venti aveva fatto la principale fucina della nuova arte europea.

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    L’altro epiteto utilizzato dal partito hitleriano nella sua furibonda ostilità alle nuove espressioni artistiche maturate in quel contesto fu quello di Entartete Kunst, di “arte degenerata”. 

    Per quanto riguarda la musica, col titolo di Entartete Musika Düsseldorf nel maggio 1938 il ministro della propaganda Joseph Goebbels inaugurò un’esposizione con lo stesso titolo, in margine a una Reichsmusiktagung (congresso della musica tedesca). 

    Fu quella l’occasione che venne a liquidare definitivamente gli spazi residui di una ricerca musicale già ridotta al minimo con l’emigrazione forzata e immediata dei musicisti di origine ebrea nel 1933. 

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    Non solo quell’esposizione si compiaceva di bersagliare artisti di cui in Germania più non si parlava (Schönberg, Zemlinsky, Eisler, Krenek, Weill, ecc.), non solo se la prendeva con quel fattore di anarchia rappresentato dalla dodecafonia che veniva ad intaccare la solida concezione della musica tedesca, non solo condannava il jazz e tutto quanto esso poteva rappresentare in termini di infiltrazione della razza negra, ecc., ma ormai additava a bersaglio anche compositori che inizialmente sembravano suscettibili d’integrazione nel nuovo ordine politico, quali Hindemith e la cerchia dei musicisti che precedentemente avevano sì elaborato idee progressive ma sulla base della valorizzazione di comportamenti socio-musicali tipicamente tedeschi (la coltivazione della musica d’assieme, la pratica amatoriale, ecc.). Accusato di “trovarsi a casa ognidove e non solo nell’anima popolare tedesca”, Hindemith scelse l’esilio proprio nel 1938. 

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    Meno nota è la situazione dello studio della storia musicale che letteralmente mise con le spalle al muro i musicologi chiamati, durante il congresso di Düsseldorf del 1938, ad allinearsi al regime dibattendo su temi quali “caratteri stilistici tedeschi nella musica”, “musica e razza”, “stato e musica” e via dicendo, messi in luce nella pubblicazione di Albert Dümling in occasione dell’esposizione Entartete Musik – Zur Düsseldorfer Austellung von 1938: eine kommentierte Rekonstruktion aperta nella città renana nel gennaio 1988 che fece il giro della Germania arrivando anche a Zurigo. 

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    È oggi penoso dover constatare come intelligenze del calibro di Friedrich Blume o di Heinrich Besseler dovettero piegarsi ad ascoltare relazioni deliranti quali quella con la quale Richard Eichenauer qualificava il canto gregoriano di “undeutsch” per il fatto di derivare dalla tradizione ebraica e di porsi in antagonismo con la polifonia riconosciuta come principio formante dell’anima musicale tedesca.

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    Ancora più amaro è sorprendere un musicologo, ancora apprezzato nel dopoguerra per i suoi studi su Orlando di Lasso e Schumann, in veste di responsabile di un Sonderstab Musik dare la caccia agli esiliati tedeschi negli anni 1940-41 nella Parigi occupata. La firma di Wolfgang Boetticher - peraltro collaboratore di Herbert Gerigk e Theo Stengelautori del famigerato Lexikon der Juden in der Musik( 1940) -si legge in calce all’inventario del patrimonio abbandonato da Wanda Landowska e da Gregor Piatigorski nella loro precipitosa fuga dalla Francia all’arrivo dell’esercito tedesco.
    Come dire: il rigoroso metodo musicologico umiliato a giustificare un volgare saccheggio.

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