• Diario d'ascolto
  • 13 Settembre 2019

    LA "GIOVINE" MUSICA

      Carlo Piccardi

    L’Italia, si sa, fu una delle ultime nazioni in Europa a costituirsi politicamente in quanto stato. Mentre i regni di Francia, di Spagna e d’Inghilterra possono vantare un’esistenza secolare, essa ha atteso secoli per superare i particolarismi e, avendo raggiunto l’unità politica solo nell’Ottocento, è da considerare una “giovane” nazione che la storia successiva oltretutto (le guerre coloniali, la prima guerra mondiale, il fascismo e la resistenza) ha rivelato incompiuta nel suo “risorgimento”.

     

    Culturalmente e artisticamente l’Italia si presenta invece come un concetto secolare e, per molti aspetti e per decenni, di portata addirittura ‘imperialistica’ a livello europeo. La sua musica, dal Cinquecento fino al secolo scorso, ha imposto le sue regole in ogni paese, in una forma di ‘colonizzazione’ che non a caso, nel momento dei riscatti nazionali di cui la musica fu interprete, venne confermata da precise reazioni anti-italiane, come fu ad esempio l’antirossinismo degli intellettuali tedeschi.
    Inoltre, diversamente da paesi che, per difendersi da influenze esterne arrivarono addirittura a regolare stili e generi della propria musica (si veda il monopolio imposto dal re di Francia sulla musica sacra che con ciò diventava musica di stato), l’Italia non definì mai la propria espressione musicale in termini di demarcazione rispetto a espressioni diverse: mentre per il francese la sua musica è sempre stata musica ‘francese’, mentre per il tedesco la propria musica a un certo punto si è determinata come musica ‘tedesca’, per l’italiano la sua musica è sempre stata musica tout court, praticata e compresa in ogni luogo. La presenza fiorente di centri operistici italiani a Londra, Parigi, Vienna, San Pietroburgo, ecc., la diffusione dei concerti vivaldiani da parte degli editori olandesi, ecc. assicurarono alla musica italiana lo statuto di lingua franca e di manifestazione sovrannazionale.

    AIDA 

    Solo nell’Ottocento, con l’affermarsi delle patrie e con la caduta degli assolutismi e del sistema monarchico continentale integrato (che nella ‘perennità’ dei valori classicistici rappresentati dalla musica italiana celebrava il suo emblema) essa non si lasciò più riconoscere come fattore di identità comune e, in quanto carica di tradizione secolare, potè essere addirittura usata come strumento della restaurazione, come fece Metternich con l’imposizione della moda rossiniana a Vienna in funzione antitedesca (che allora voleva dire antiliberale).
    Fu allora che, confinata in una sua specificità di senso, la musica italiana scoprì di essere tale, e cominciò a misurarsi con le espressioni di altre culture.

     LIBRO MAZZINI

    MAZZINI

    Nella Filosofia della musica (1835) Giuseppe Mazzini giunse appunto a definirla per esclusione. Essa non era da confondere con la musica francese “confinata in alcuni canti popolari guerreschi e nelle melodie di romanza, timide, un po’ monotone e quasi sempre strozzate: ma patetiche e dolci d’un affetto mesto e ingenuo; né s’è levata finora alle proporzioni drammatiche, né si leverà facilmente”.
    Nemmeno la Germania poteva secondo lui vantare una funzione di guida della nuova musica europea, la Germania “intenta in oggi a un lavoro di applicazione, e stanca d’un lungo volo di secoli nella sfera nudamente teorica dell’astrazione”.
    Mazzini con ciò veniva a consolidare il luogo comune che vedeva i modelli tedeschi soccombere alla gravità della dottrina armonica e contrappuntistica nella visione antagonistica delle tradizioni, in cui la scuola germanica era considerata come una deviazione.

    Tale l’aveva già considerata Giuseppe Carpani (Le Rossiniane, 1824), il quale, come lotta tra i due contendenti vedeva “l’italiano antico e regolare, fondato sul canto e tutto melodia; il tedesco, romantico, povero di cantilena e ricco d’accordi, erudito, capriccioso – Assordator di ben costrutti orecchi, - e schiavo incatenato della parola e d’ogni parola. – Galimathias harmonique qui fatigue l’oreille, et dont l’expression est le prétexte ou plutôt l’excuse – come ben dice un elegante critico parigino dei giorni nostri”.

    Tuttavia, alla discutibile apparenza della maniera tedesca, Mazzini associava un significato di alto valore simbolico in cui si rivelava il tentativo di rispondere alle nuove esigenze delle moderne nazioni: la musica tedesca “armonica in sommo grado, […] rappresenta il pensiero sociale, il concetto generale, l’idea, ma senza l’individualità che traduca il pensiero in azione”. È come se ci fosse “Dio senza l’uomo”.
    Viceversa la musica italiana sarebbe la rappresentazione dell’uomo senza Dio: “La musica italiana è in sommo grado melodica […], lirica sino al delirio, appassionata sino all’ebbrezza, vulcanica come il terreno ove nacque scintillante come il sole che splende su quel terreno”, “L’io v’è re: despota e solo. Si abbandona a tutti i capricci, segue l’arbitrio d’una volontà che non ha contrasto: va come può e dove spronano i desideri”.

      WOTAN E BRUNILDE

    Con la stessa ambizione che sarà quella di Wagner, di prefigurare quella che sarebbe stata la musica dell’avvenire, liberata dagli egoismi e protesa a realizzare un dovere sociale e spirituale, Mazzini mirava alla sintesi dei contrari: “Manca alla musica italiana il concetto santificatore di tutte le imprese, il pensiero morale che avvia le forze dell’intelletto, il battesimo di una missione. Manca alla musica tedesca l’energia per compirla. L’istrumento materiale della conquista […]. E la musica che noi presentiamo, la musica europea, non si avrà se non quando le due fuse in una, si dirigeranno a un intento sociale […] e la santità della fede che distingue la scuola germanica benedirà la potenza d’azione che freme nella scuola italiana”.

    Nel momento stesso in cui veniva messa a fuoco l’identità artistica nazionale, ecco che la si percepiva come una diminuzione rispetto alla prospettiva di un’integrazione capace di mettere a frutto in un’unica aspirazione collettiva il genio di ogni nazione. Ciò che la politica non era ancora in grado di concepire era già prefigurato dall’arte.

     MELODRAMMA