• Diario d'ascolto
  • 3 Aprile 2022

    LA DIVINA VIARDOT

      Carlo Piccardi

    Rare e per di più di statura minore sono le donne compositrici. Chi ricorda ancora oggi i nomi di Josefine Lang, Johanna Kinkel, Louise Farrenc, Maria Félice Clemence de Grandval e Pauline Viardot? Solo i nomi di Clara Schumann o di Fanny Mendelssohn dicono qualcosa, ma sicuramente più per la gloria riflessa del rispettivo marito o fratello che per i propri meriti. A questa schiera appartiene Pauline Viardot, artista di chiara fama per essere stata una grande interprete operistica dell’Ottocento ma i cui meriti di compositrice furono riconosciuti solo da pochi.

    Pauline Garcia, questo era il suo nome di ragazza, proveniva da una famiglia straordinaria. Figlia di Manuel Garcia, amico di Rossini, nel cui Barbiere di Siviglia aveva interpretato il Conte di Almaviva, compositore (di 43 opere teatrali) e insegnante celebre di canto, si trovò immediatamente in concorrenza con la figura della mitica sorella, Maria Malibran, e con quella del fratello Manuel, didatta fra i più importanti della vocalità.

    Pauline as Orphee in Orphee et Eurydice Gluck
    Pauline Viardot nei panni di Orfeo in Orfeo ed Euridice di Gluck

    Artista la cui vita attraversò tutto il secolo (nacque nel 1821 e morì nel 1910), sopravvisse di molto alla più celebre sorella morta prematuramente, tanto da ricavarsi una fama di solidità continentale che la portò a contatto con le esperienze e le personalità più stimolanti del tempo.
    Al suo debutto nel 1837, Alfred de Musset se ne invaghì immediatamente dedicandole poesie memorabili. In occasione dell’interpretazione di Desdemona nell’Otello di Rossini a Londra nel 1839, conobbe Louis Viardot, direttore del «Théâtre des Italiens» di Parigi che divenne suo marito e che le fece conoscere George Sand. La celebre scrittrice si sarebbe poi ispirata alla sua figura artistica, ritraendola nel romanzo Consuelo. Attraverso la Sand conobbe Chopin che le fu amico e che l’accompagnò spesso al pianoforte nei salotti in cui si esibiva, al punto da autorizzare la Viardot a trasformare alcune sue mazurche in argute e brillanti liriche per canto e pianoforte. Fu amica di Gounod, di Rossini, di Berlioz, di Delacroix, Doret, Corot. In un viaggio in Russia nel 1843 conobbe Turgheniev di cui divenne l’amante in uno storico «ménage à trois».

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    Ma la lista delle relazioni con le personalità del tempo sarebbe troppo lunga. Ciò che possiamo ricavare è l’immagine di un’artista perfettamente integrata nella società intellettuale del tempo, la cui musica si presenta con i caratteri organici di una musica di società. Non si tratta di liriche adagiate sul modello scontato di una vocalità da salotto anche se esse appartengono di diritto al salotto. In questi brani (su testo di Alfred de Musset, Théophile Gautier, Ronsard, Racine, Louis Pomey, Turgheniev, ecc.) ritroviamo infatti in più di un tratto l’impronta dell’espressività teatrale, un uso della tecnica di canto operistica che destina queste composizioni a cantanti oltremodo esperte.

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    Pauline Viardot fotografata da Heinrich Graf. Berlino, 1866.

    Per capire il senso e il valore dei prodotti compositivi della Viardot occorre considerare il contesto in cui l’artista si trovava ad agire, la società aristocratica e alto-borghese internazionale, non caratterizzata nazionalisticamente ma cosmopoliticamente. Ne fa stato il periodo (gli anni Sessanta) in cui i Viardot si stabilirono a Baden-Baden, la celebre stazione termale diventata luogo d’incontro della più alta mondanità internazionale, dove la nobiltà di ogni paese andava a braccetto con gli artisti più invidiati. Era un mondo destinato all’estinzione, che la Guerra franco-prussiana del 1870 già avrebbe incrinato e che la Prima guerra mondiale avrebbe spazzato via, ma che contò moltissimo, così come le forme artistiche che lo rispecchiavano, fino alla soglia dell’ultimo secolo.