• Diario d'ascolto
  • 15 Febbraio 2021

    IL SECONDO CONCERTO DI ČAJKOVSKIJ: MORIRE PER ECCESSO DI SALUTE

      Carlo Piccardi

    Esistono cose brutte scritte da grandi autori che più chiaramente dei loro capolavori rivelano il fondamento del loro stile. Uno dei compositori cui meglio si addice questa osservazione è Čajkovskij. Già il suo Primo concerto per pianoforte e orchestra in si bemolle minore op. 23 svela, - proprio nel senso di mettere a nudo - un impianto estremamente ricco di formulazioni tematiche sapientemente distribuite in modo da garantire un equilibrio esclusivamente basato su fonti di energia provenienti dalle acute tensioni sprigionate da melodie sopraffatte dall’effusione sentimentale.

     

    Il Secondo concerto in sol maggiore op. 44, meritatamente relegato nel repertorio di quarta categoria, conferma tale status con evidenza maggiore per il fatto che qui l’equilibrio, per effetto di contrazione dei temi su se stessi, non è raggiunto, cosicché la composizione si presenta come un lungo catalogo di idee melodiche appariscenti ancora ma chiuse nella loro articolazione, collegate tra loro da transizioni destinate a svelare la sommarietà del procedimento.
    Non a caso in questa composizione pressoché tutte le transizioni sono affidate al pianoforte che, con un illusionistico dispiegamento di mezzi virtuosistici, ma vanamente, cerca di mascherare l’effettiva mancanza di una solida logica nell’intero apparato. Anzi, dove queste cadenze sono più perentorie e agitate, il loro slancio appare appesantito dall’addensarsi in breve spazio di troppo materiale.
    La frammentarietà del risultato è un dato di fatto e non vanno spese altre parole per dimostrarlo. Questa volta la molla dell’abile invenzione melodica di Čajkovskij non ha funzionato a dovere. 

     CIAIKOVSKJ CONCERTO NUMERO 2 PER PF PARTITURA

    Il primo rilievo che si impone mostra il carattere affermativo di quasi tutti i temi, efficacemente delineati ma appunto privi di quei melanconici sottintesi che in altre occasioni lasciavano insoluto l’evento melodico, rimandandone la soluzione agli svolgimenti successivi. È un sottile gioco di equilibri pericolosi, quello di Čajkovskij, il quale, affidandosi ogni volta al lussureggiante profilamento tematico, rischia di annullarsi nella melodia sprecando in essa tutte le forze necessarie invece alla sua elaborazione in un quadro più ampio. Siamo qui a mille miglia di distanza dalla lezione beethoveniana dove il tema era fonte di un processo di sviluppo di idee e non come in Čajkovskij l’idea stessa. E fin qui occorre dar ragione ai detrattori che nello spirito di «canzonetta» riconoscono il baratro aperto sotto i piedi di un compositore ingenuo e ambizioso al tempo stesso.

    Sennonché la vitalità delle melodie ciaikovskiane, per quanto deprecata, ha resistito a ogni tempesta e nell’enunciazione sintetica di sconsolati languori ritrova l’urgenza dell’espressione di una condizione fin de siècle riconoscibile come punto d’arrivo di una cultura non solo russa ma europea.
    Nella stagione del decadentismo, venendo meno la forza ma non l’ambizione di cantare i grandi ideali, Čajkovskij opera una semplificazione riducendo l’ideale all’idea individuale, incarnata in melodia di splendente fascino, di commovente sincerità, in cui, mancando irrimediabilmente al gran sacerdote la vittima da sacrificare all’ideale supremo, all’artista non resta che immolare se stesso e quindi concedersi ormai senza pudore.

    CIAIKOVSKJ RITRATTO

    Il gesto enfatico della melodia ciaikovskiana, traboccante di passione, si combina sempre appunto con la messa a nudo di ogni intimo trasalimento, senza ormai più nessun ritegno al di là della nozione perduta della dignità. È perciò nell’idea melodica che viene messo a fuoco il senso precipuo della sua visione del mondo ed è dal vibrante gesto tematico che strutturalmente per induzione gli altri elementi compositivi ricevono gli impulsi capaci di destare il moto nel corpo astratto della composizione, ereditata come forma ma non come contenuto. Più la temperatura di questa febbre del sacrificio sale nella melodia, più essa moltiplica le palpitazioni nel cuore stesso dell’opera. Condizione di malattia che, nella sua lotta stremata contro il dissolvimento delle ultime ragioni espressive, rimane pur sempre aggrappata all’istinto di sopravvivenza. E nella misura in cui il compositore russo si identifica in questa situazione anomala, egli riesce a preservare nella sua espressione il fattore vitale: la sua salvezza d’artista è negativa. 

    Ciò non avviene laddove l’ambizione osa portarsi al di là della condizione culturalmente imposta e subìta. In tal caso, se l’apparato virtuosistico nel Secondo concerto sembra segnare il passaggio verso orizzonti di affermazione vigorosamente rivolta a celebrare l’illusione di un messaggio portatore di positivi valori supremi, il discorso si frantuma in membri dissociati che dall’idea melodica non possono più ricevere la tensione febbricitante capace di animarli. L’opera muore per eccesso di salute.