• Diario d'ascolto
  • 3 Ottobre 2018

    I Pionieri della dodecafonia in Svizzera

      Carlo Piccardi

    La prima occasione offerta in Svizzera di ascoltare una composizione dodecafonica fu il Festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea, quando nel 1926 a Zurigo fu presentato il Quintetto op. 26 di Schoenberg.

     

    Vi erano presenti Alfred Keller ed Erich Schmid, i quali poco dopo scelsero la via di Berlino allo scopo di studiare con il grande maestro nella sua classe di composizione all’Accademia Statale di Musica.

    Il seme che era stato gettato tardò tuttavia a maturare. Nonostante l’avvento di Hitler che li costrinse a rientrare in patria, lasciando una Germania divenuta ostile alle forme di “arte degenerata”, nella Confederazione furono confrontati a resistenze non meno intransigenti. La speranza di Schmid di trovare sostegno nell’Associazione dei Musicisti Svizzeri, presentando un suo quartetto alla selezione dei brani da eseguire alla festa annuale del sodalizio, fu vanificata: “ho poi sentito che uno di questi signori aveva detto che finché lui fosse stato in quel consiglio una cosa simile non sarebbe mai stata eseguita”. 

     SCHOENBERG 
    Arnold Schoenberg, Blue Self Portrait

    La posizione dell’AMS, che agiva anche da organismo regolatore del quadro estetico in cui si sviluppava la creazione musicale, rispecchiava allora il conservatorismo dominante nel paese.

    D’altro canto la pratica dodecafonica, ancora minoritaria in Europa, nell’intreccio di politica e cultura con l’avvento dei totalitarismi fu spinta ai margini, divenendo il veicolo dell’espressione dell’esilio interno per coloro che ne subivano l’oppressione e dell’esilio reale per chi scelse la condizione di profugo.
    È in Svizzera negli anni 30 inoltrati che Wladimir Vogel, profilatosi a Berlino dove aveva avuto un ruolo primario integrato in una situazione di modernità condivisa ed equilibrata, visse il difficile passaggio proprio in termini linguistici.

     W VOGEL
    Wladimir Vogel

    La dodecafonia nella sostanza sovvertitrice del codice comunicativo, gli si impose gradualmente come espressione della lacerazione esistenziale provocata dallo sradicamento, inizialmente sperimentata nel Concerto per violino e orchestra (1937) e nei Madrigaux (1939), fino ad essere adottata organicamente durante la composizione del Thyl Claes, concepito a Comologno (Valle Onsernone) tra il 1937 e il 1942, un oratorio drammatico chiaramente configurato come protesta contro l’oppressione (dove la persecuzione degli eretici in Fiandra da parte di Filippo II è vista come una metafora della violenza del fascismo).

    Viceversa la Svizzera, risparmiata dalle catastrofi politiche ma spinta a compattare la propria società per resistere alle pressioni esterne, tra le due guerre non poteva non privilegiare la via espressiva della modernità moderata che si riconosceva nel neoclassicismo e nel neo-oggettivismo, orientamenti che, in quanto fondati sulla priorità del principio funzionale rispetto alla componente ideologica, erano facilmente predisposti all’integrazione anziché alla contrapposizione. 

    Inosservati passarono quindi i corsi estivi organizzati da Vogel a Comologno nell’estate del 1936, in cui figuravano le lezioni sulla “musique à douze tons” tenute da Willi Reich, allievo di Alban Berg. Con ciò in una sperduta vallata ticinese per la prima volta in Svizzera una dozzina di allievi si trovarono riuniti a seguire l’illustrazione di un metodo compositivo guardato con diffidenza per la valenza radicale assunta in quei tempi difficili, diventando una sorta di lingua franca degli emarginati, dei perseguitati, degli artisti strappati alla loro radice culturale.

    ALBAN BERG
    Alban Berg

    Rare anche se significative furono in Svizzera le occasioni di confronto con tale realtà avanzata dell’arte dei suoni, comunque prevalentemente per merito di personalità provenienti dall’esterno (in primis Hermann Scherchen). 

    Tale situazione non impedì che proprio da qui partisse l’iniziativa di ristabilire i rapporti interrotti dalla guerra tra i musicisti che avevano adottato il metodo schoenberghiano.
    Fu così che Vogel il 12 dicembre 1948 convocò a Orselina una conferenza preparatoria del Primo Congresso Internazionale per la Musica Dodecafonica tenuto a Milano dal 4 al 7 maggio 1949, riunendovi una significativa rappresentanza internazionale di compositori che già si erano distinti nel nuovo orientamento (Luigi Dallapiccola, Riccardo Malipiero, Serge Nigg, Karl Amadeus Hartmann, Eunice Catunda, Hans Joachim Koellreutter, André Souris), a cui presenziarono i pochi svizzeri che erano della partita (Erich Schmid, Alfred Keller, Hermann Meier, Rolf Liebermann), oltre ai quali è da considerare anche Edward Staempfli residente nel Luganese dal 1944, che partecipò come pianista ai concerti tenuti in margine alle sessioni. Il congresso milanese è da ricordare come una tappa importante quale riaffermazione nel dopoguerra del potenziale creativo del filone della modernità che non si era piegato a compromessi, riemergendo dalla tragedia con tutta la sua forza universalistica.

    Keller schmid
    Orselina, 12-13 dicembre 1948. Partecipanti alla conferenza preparatoria del Primo Congresso Internazionale per la musica dodecafonica (Milano 4-7 maggio 1949).
    Da sin a dex: Hans Joachim Koellreutter, Erich Schmid, Karl Amadeus Hartmann, Alfred Keller, Hermann Meier (sullo sfondo), Wladimir Vogel, Riccardo Malipiero, Luigi Dallapiccola, André Souris, Rolf Liebermann. In mezzi, di schiena, Serg Nigg.
    (Crediti: Ricerche Musicali della Svizzera italiana: http://www.ricercamusica.ch/testi/Musica_SI/Musica_SI_img2.pdf)

    Ci si potrebbe chiedere come mai, essendo stato concepito in Svizzera, tale incontro fosse organizzato all’estero. In verità il mancato aggancio con la ripresa internazionale del fervore artistico fu lo scotto che la musica, arte più di ogni altra legata al momento aggregante della società (in particolare nella Confederazione), pagò nel lento processo di decantazione dello spirito di arroccamento in cui si erano irrigidite le sue pratiche durante il conflitto mondiale. 

    Molti anni dovettero ancora trascorrere prima che i musicisti svizzeri si mettessero in linea con il resto d’Europa nel riconoscere il primato della dodecafonia e del successivo sviluppo. Al di là del percorso personale di Frank Martin, il quale con il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 (1933-1934) incrociò il metodo schoenberghiano a modo suo, i primi propugnatori della dodecafonia furono proprio gli allievi di Vogel: Rolf Liebermann, Jacques Wildberger, Robert Suter.
    Il recupero avvenne pienamente solo negli anni 60, sancito dall’istituzione di un corso di composizione affidato a Pierre Boulez nel 1960 al Conservatorio di Basilea (seguito da Stockhausen nel 1963 e da Pousseur nel 1964), con i passaggi di testimone nelle cattedre di composizione nei conservatori (Huber nel 1964 a Basilea, Kelterborn nel 1968 a Zurigo, Wildberger e Suter nel 1968 a Basilea).

    BOULEZ
    Pierre Boulez

    In seguito, quasi a compensare il ritardo e le reticenze dei padri, i giovani compositori svizzeri su questa spinta hanno innescato una fuga in avanti che ha prospettato all’avanguardia traguardi di radicalismo superiore a quanto fosse possibile immaginare, che oggi li trovano in prima fila a resistere alla moda del riflusso prosperante a tutte le latitudini. 

    SCHOENBERG FINALE