• Diario d'ascolto
  • 21 Marzo 2018

    Hector Berlioz alla ricerca di uno stile

      Carlo Piccardi

    Tutti coloro che si sono trovati nella condizione di scrivere su Hector Berlioz, chi più chi meno, hanno manifestato un certo imbarazzo nel definire la situazione del musicista.

     

    In Berlioz c’è infatti qualcosa che sfugge ai criteri abituali d’indagine critica, in particolare di quella critica alla quale sta a cuore innanzitutto l’esigenza di ritrovare in un artista il denominatore comune della sua epoca; Berlioz, nonostante lo scalpore suscitato in tutta Europa dall’apparire delle sue composizioni, rimane un’esperienza a sé non assimilabile alle altre esperienze del tempo.

    Perciò, con un termine di comodo, qualcuno ha voluto parlare di «avvenirismo». In verità, molti elementi presenti nella sua musica e molti atteggiamenti suoi si pongono già oltre l’orizzonte della propria epoca.

    Di questi fatti più facilmente prendiamo coscienza oggi, essendo di moda l’abitudine di rivendicare gli aspetti di modernità dei grandi musicisti del passato.

    BERLIOZ RITRATTO

    La prima cosa che sembra evidenziata nella sua musica è la preminenza data alla dimensione timbrica e a quella ritmica, dimensioni subordinate nella musica degli autori classici.
    Sonorità quindi intesa come funzione e non come risultato dipendente dalle altre funzioni del discorso musicale. Senza giungere ad affermare che Berlioz sia stato in un certo senso il precursore della Klangiarbenmelodie dei dodecafonici viennesi, si può senza dubbio ammettere la sua presa di coscienza di una nuova possibilità di discorso: «Tout corps sonore mis en oeuvre par un compositeur est un instrument de musique».

    Per quanto concerne il ritmo è superfluo ricordare che il musicista propose la creazione di una classe di ritmo al conservatorio, un secolo prima di Olivier Messiaen.
    Sotto questo aspetto è già evidente nella sua musica la tendenza a portare l’organizzazione ritmica verso la concezione di motivi ritmici funzionanti accanto ai tradizionali motivi melodici. Attraverso tale esperienza è stata superata la classica concezione tematica, affidata alla dialettica della sonata, a favore di una concezione analitica (sviluppo della composizione a partire da un nucleo base), concezione determinante soprattutto nelle forme aperte degli impressionisti.
    Questi fatti spiegano tra l’altro come Berlioz, a quell’epoca, fosse uno dei pochi, se non il solo, a dichiarare che gli ultimi quartetti beethoveniani rappresentavano il vertice di tutta la musica scritta fino a quel tempo.

      BERLIOZ CONCERTO

    Al di là dei meriti del musicista, resta comunque un fatto da chiarire. Quali motivazioni e quale origine sono da ricercare alla base della sua esperienza?
    Sarebbe infatti troppo comodo riportare il discorso al superficiale carattere «arrabbiato» della sua musica.
    È lecito parlare di romanticismo nel caso di Berlioz? Di romanticismo «alla francese», certamente: romanticismo «importato», in un certo senso nozionistico (quello di Madame de Stael, di Lamartine e soprattutto quello di Victor Hugo).
    Non dimentichiamo che la Symphonie fantastique apparve nel momento in cui il romanticismo francese stava conducendo le sue più grandi e aperte battaglie.
    Con questo non si spiega però la vera natura della musica di Berlioz, aliena dall’intimismo di marca romantica e maggiormente caratterizzata negli aspetti proclamatori ed eroici.
    La predominanza di queste ultime componenti (anche nella sua opera più autobiografica, la Symphonie fantastique) ci impone di risalire al suo apprendistato con Jean-François Lesueur.
    Questo maestro è ricordato ancor oggi essere stato fra i musicisti ‘ufficiali’ della Rivoluzione francese, fra gli addetti alla composizione di opere di circostanza, o forse meglio delle musiche ‘rituali’ destinate alle festività rivoluzionarie.

    BERLIOZ LISTZ
    Josef Kriehuber Hector Berlioz Carl Czerny Franz Liszt Heinrich William Ernst

    Il romanticismo musicale europeo, nonostante le polemiche anticlassicistiche, si poneva (e oggi lo possiamo giudicare meglio) in continuità storica di fronte al passato. La musica di Berlioz sembra fare eccezione: essa al passato è quasi totalmente indifferente. L’idea stessa del rispetto delle regole del ‘concerto’ come abitudine d’ascolto è ammessa a malapena. Senza portare il discorso sugli aspetti morfologici e strutturali delle sue composizioni (l’introduzione dell’idea di spazio nel discorso musicale), la sua musica risuona meglio in una cattedrale, in un mausoleo, in immensi luoghi aperti.
    Non è questa un’idea sperimentalisticamente voluta, ma sentita come continuazione delle prospettive aperte dalla musica della Rivoluzione francese: musica funzionale, tentativo di coinvolgere grandi masse di pubblico. Per questo motivo Berlioz non poteva trovare appoggio nella tradizione e per questo motivo il suo stile compositivo non ha precedenti, anzi sembra addirittura una continua ricerca di stile.
    È vano quindi dissertare su ciò che è ortodosso ed eterodosso nella sua musica, quando tale musica si pone intenzionalmente fuori del campo delle abitudini storiche e stilistiche.

      BERLIOZ 1854

    Ciò non poteva accadere ovviamente senza contraddizioni e in modo spesse volte confuso. Una ricerca isolata difficilmente può raggiungere una chiarezza d’obiettivi. Se può stupire quindi l’incomprensione di Berlioz per gli aspetti più avanguardistici del suo quasi contemporaneo Wagner (davanti al preludio del Tristano sembra che abbia parlato di «gemiti cromatici»), il suo atteggiamento risulta comprensibile se messo in relazione con la carica accesamente individualistica e quasi incomunicabile delle sue prospettive estetiche.

    Fra le sue composizioni primeggia la Symphonie fantastique.
    Composta nel 1830 quando non erano ancora sbocciati Chopin, Schumann, Mendelssohn, in una Francia che nel periodo della Restaurazione si era adagiata nella musica da salotto concedendosi inoltre ai fasti del grand’opéra, essa si impose come il manifesto di una nuova estetica, di una musica che per la novità già faceva parlare di arte del futuro.
    Il suo maggior grado di straordinarietà era evidente nell’esaltazione dell’eroismo dell’artista, dichiarato nel fatto di porlo al centro della rappresentazione, ma soprattutto nel suo inquadramento in una zona privilegiata del sentimento. Non di semplice innamoramento per la donna ideale vi si tratta né di candido ardore, bensì di «infernale passion», di uno stato del sentire portato al limite estremo.
    L’impatto che la composizione causò è misurabile nelle reazioni prodotte non tanto presso i detrattori, quanto paradossalmente presso gli estimatori.

      BERLIOZ SINFONIA FANTASTICA

    Proprio le parole di Schumann, corso a difesa del collega francese, tradiscono la difficoltà di ammettere la rottura di una regola che introduceva palesi fattori di destabilizzazione nel concetto di forma com’era fino a quel momento inteso.
    La volontà di Schumann di «dimostrare come nonostante l’apparente mancanza di forma di questo organismo, vi fosse distribuito in larghe proporzioni un ordine regolarmente simmetrico, per non parlare poi della profonda coerenza dell’insieme» è infatti una difesa in nome della conservazione, non già del progresso, tesa a esorcizzare la turbolenza di un’intuizione estetica che scuoteva l’ordine musicale nelle fondamenta.
    È vero che aspetti inconfessabili erano evidenti nell’assunto programmatico, che sviluppava la vicenda di una passione selvaggia e violenta dell’artista perseguitato dall’immagine (idée fixe) di una donna che, nelle fasi di un ricordo intrecciato alla gioiosità di un ballo e alla calma di un idillio campestre, giunge infine a tingersi di sangue nell’essere sognata vittima del proprio amante; il quale assiste alla propria condanna a morte e all’esecuzione capitale, sempre in sogno, trasformato poi in delirio quando la sua immaginazione lo trascina nel vortice di un sabba fra streghe e mostri di ogni specie riuniti ai suoi funerali.

     BERLIOZ SINFONIA

    E fu su questi aspetti che Schumann mostrò di prendere le distanze: «guide simili hanno sempre qualcosa di poco dignitoso e di ciarlatanesco».
    Ciò che gli appariva inquietante era certamente lo stato di alterazione della coscienza dell’artista sollecitata dagli stimoli più violenti e dagli effetti della droga espressamente chiamata in causa da Berlioz a partire dal quarto movimento: nel tentativo di avvelenarsi con l’oppio per dimenticare l’amore non ricambiato, l’artista è precipitato in un sonno accompagnato dalle più orribili visioni. Qui l’immaginario di Berlioz non può più ricondursi alla normalità del tempo reale.
    D’altra parte la fantasia del musicista non è presente come fuga dalla realtà, poiché la realtà non è data come premessa: l’arbitrio vi regna sovrano. Ed è di fronte a questo arbitrio che perfino un artista come Schumann, che al sogno e al delirio aveva affidato più di un motivo d’ispirazione, si ritraeva: «L’uomo ha una particolare ritrosia davanti al lungo lavoro del genio: non vuol sapere affatto delle cause, dei mezzi e dei segreti del creare, nello stesso modo che la natura manifesta una certa delicatezza, quando ricopre con la terra le sue radici. Si rinchiuda così l’artista col suo dolore creativo; verremmo a sapere cose spaventose, se potessimo vedere fino in fondo della genesi di ogni opera».

     BERLIOZ FINALE