Elevazione senza misticismo
La Settima Sinfonia di Anton Bruckner è l’opera che più delle precedenti rivela l’impronta wagneriana: l’Adagio, anche grazie al rilievo assicurato al quartetto di tube, si tramuta in un omaggio accorato alla memoria del grande operista morto proprio mentre il maestro era impegnato nella composizione di questo suo capolavoro.
Fin verso i quarant’anni l’esperienza di Bruckner non reca però traccia di questa aspirazione, rimanendo la sua produzione nell’orbita tracciata dalla devota coscienza musicale della cattolica provincia austriaca.
Anton Bruckner. VII. Symphonie E-Dur (Wien: Musikwissenschaftlicher Verlag der Internationalen Bruckner-Gesellschaft, 1954). Sir Georg Solti Archive.
Era già passata la metà del secolo ma Vienna non era ancora riuscita ad ispirare nessuna degna composizione sinfonica capace di raccogliere la lezione di Beethoven e di Schubert. Anzi è del 1865 la prima esecuzione dell’Incompiuta, ritrovata da Johann Herbeck fra le carte di un amico di Schubert a dimostrazione della trascuratezza e della lentezza con cui la pratica sinfonica usciva da una lunga stasi.
Il modello classicistico (Brahms oltretutto non aveva ancora composto sinfonie) non era quindi così evidente come si può pensare e ciò spiega quella sorta di capitolazione verso i modelli tedeschi e internazionali addirittura (se vogliamo considerare pure l’influenza di Berlioz con cui Bruckner venne in contatto nel 1866), verso cui era spinto dalla mancanza di scelte, in uno stato di solitudine che non riguardava solo la sua individuale patologia (sappiamo delle fobie e delle manie di frustrazione patite), ma l’intera condizione culturale austriaca.
Abbazia di Sankt Florian, Austria
Potendo contare solo sul proprio istinto di musicista, pur non avendo trovato la forza e l’ambizione di avventurarsi sulle vette filosofiche del Gesamtkunstwerk, Bruckner si trovò a soggiacere all’eccitazione di quella concezione mistica del suono che egli derivò in uguale misura da Liszt oltreché da Wagner.
Il più vicino antecedente austriaco era Schubert, precisamente quello della Grande Sinfonia in do magg. che gli presentava già collaudata la dilatata dimensione di una struttura, la cui durata tende a sciogliersi dai nessi oggettivamente vincolati alla forma per svolgersi secondo il dettato temporale della coscienza totalizzante.
Schubertiana non è però la capacità avvolgente della melodia e l’assenza di gravità in cui si dipana la progressione armonica, che trasferisce il discorso sul destino dell’uomo dall’immanenza alla proiezione mistica.
Per la comprensione del Bruckner sinfonico è importante il riconoscimento di un’adesione all’idea di musica intesa come redenzione, verso cui cercò di nobilitare la sostanza della sua pietà contadina, ma che comunque significa accoglimento di una componente estranea alla civiltà austriaca, in quel momento ancora fortemente determinata da componenti di tradizione illuministica.
L'organo dell'Abbazia di Sankt Florian
L’organista di Sankt Florian, il quale sintomaticamente non lasciò nessuna composizione organistica degna di nota, attuò invece nella sinfonia la ribellione alla terrena condizione artigianale impostagli dalla tradizione locale; e con ciò egli è senza dubbio da considerare il primo compositore austriaco dichiaratamente romantico.
Romantico, oltre alla provocazione, è anche lo svolgimento del suo discorso dove, come colonne a guardia di un tempio, stanno il primo e l’ultimo tempo di sinfonia, in cui il baricentro timbrico si sposta verso le possenti sonorità sacrali degli ottoni e dove più a fondo agisce il compromesso tra la funzione tematica e il concetto di Leitmotiv che vi introduce inequivocabile carica simbolica.
Dalla linea Liszt-Wagner gli deriva l’intero vocabolario neoromantico: il gesto eroico delle fanfare di ottoni, l’implacabile ritmo cadenzante, l’enfasi che alimenta una tensione melodica svettante senza fine, l’esteso percorso modulante dell’armonia che non si concede sosta, dove, nello sfasamento per eccesso della rispettiva dimensione, ogni elemento concorre all’elevazione. Sennonché il gesto eroico rimane tale, cioè fermo sulla soglia del Pantheon, incapace di assaporare l’estasi di gloria, mentre le pause che interrompono il decollo della melodia verso regioni sublimi sono la presenza di un contrappeso che rifiuta di accettare la soluzione mistica come unica possibile.
Probabilmente la Settima, fra le sinfonie di Bruckner, è quella che, dato l’assunto (l’omaggio a Wagner), più abilmente sa mascherare il risvolto.
Ma anche qui il momento della verità è rappresentato dallo Scherzo in cui al musicista non è dato di sopprimere quella rusticità, che da più di un secolo era il contrassegno del terzo movimento della sinfonia austro-boema e che ha la funzione di vincolarlo all’orizzonte della sua diretta esperienza, alla sua tradizione locale che concedeva alla musica di respirare l’aria aperta e di condividere con la condizione contadina un concetto assolutamente terreno dell’esistenza, al di qua di ogni metafisica.
Bruchner e Wagner, silhouette
Nella Settima l’attacco della tromba nel terzo tempo riporta l’eco di un corno di postiglione dove, nella memoria di sensazioni familiari risalenti attraverso Schubert fino a Mozart e a Haydn, egli rivive in tutta spontaneità e in completo candore la svagata dimensione del contatto diretto e sensibile con la natura, il Ländler dettando anche qui, come in tutti i suoi scherzi, il ritmo baldanzoso. Sennonché, polarizzata tra la consuetudine a guardare la realtà con occhi disincantati e l’esaltante tensione mistica, la sua coscienza affronta ormai il rapporto con il reale allo stato di ricordo, del già vissuto e perciò perso nella memoria; e qui è già coagulato quel nucleo di carica visionaria che avrebbe alimentato la problematica concezione mahleriana a cui sarebbe toccato il compito di concludere definitivamente la parabola della sinfonia.