• Diario d'ascolto
  • 3 Febbraio 2016

    Dalla Russia con fervore

      Carlo Piccardi

    Non si può affermare che la stagione neoclassica novecentesca, benché rappresentata da alcune fra le figure più rilevanti del secolo, sia stata la meglio servita a livello di critica messa a punto.

    Il pesante giudizio di Adorno, il quale nella sua partigiana visione dialettica si era servito di Stravinsky (puramente e semplicemente ridotto al coefficiente neoclassico) per elevare un contraltare in cui specchiare la grandezza di Schönberg, deve aver lasciato in qualche modo il segno se la pubblicistica deborda sul versante della Scuola di Vienna mentre risulta ancora estremamente esigua per quanto riguarda gli aspetti della questione neoclassica.

    Prokofiev foto

    Nella maggior parte dei manuali storiografici riservati alla prima metà del secolo appaiono ancora vistose lacune, in particolare nella considerazione della musica tedesca del primo dopoguerra chiaramente orientata in direzione neoclassica e generalmente sminuita a favore dei primi seguaci teutonici della dodecafonia, i quali in realtà non costituirono che uno sparuto drappello emerso in pratica solo alla fine degli anni Trenta. La mancata messa a fuoco del fenomeno neoclassico ha altresì permesso di fare di ogni erba un fascio e di catalogare in tale àmbito manifestazioni spesso antitetiche.

    prokofiev sinfonia classica

    È il caso della Sinfonia classica di Sergeij Prokof’ev il cui assunto certamente rimanda a quell’esperienza ma la quale, collocandosi in un contesto marginale rispetto ai problemi centrali della musica europea, risponde ad esigenze assai diverse. Scrive l’autore nella sua autobiografia: «Nell’estate del 1917 rimasi a Pietrogrado tutto solo; leggevo Kant e lavoravo molto... Nacque così l’idea di una sinfonia nello stile di Haydn, poiché la tecnica di Haydn mi era divenuta più familiare in seguito agli studi compiuti nella classe di Aleksandr Čerepnin [...] Credo che se Haydn avesse vissuto fino ad oggi, avrebbe mantenuto la sua scrittura arricchendola però di alcune novità; volevo dunque comporre una sinfonia di questo genere, una sinfonia in stile classico».

    stravinskij

    Già la data (1917) ci mostra il lavoro di Prokof’ev relativamente spiazzato rispetto alla diffusione della moda neoclassica in occidente, esplosa in verità solo nel decennio successivo.
    Il fatto è che la corrente neoclassica centroeuropea si manifestò come una forma di reazione alle tendenze disgregatrici dell’espressionismo, come una fase restaurativa in senso proprio, polemicamente (e a volte ironicamente) orientata verso il ricalco di stilemi e strutture dell’epoca musicale circoscritta da Bach e da Mozart, in forme che in definitiva non facevano altro che rilevare uno stato di incompatibilità, di impotenza nell’operazione di attualizzazione che non a caso (e con epiteto destinato a far scuola) Adorno definì di «musica al quadrato», cioè di modello trasceso,  non già fuso nella continuità.

    Le parole di Prokof’ev rendono invece ragione di un altro punto di partenza, cioè del senso di continuità appunto rispetto a concetti compositivi ancora vitali, nell’ipotesi ad esempio di un Haydn ipoteticamente vissuto al di là del tempo al quale fosse stato semplicemente chiesto di svestire la livrea di corte e di indossare i moderni panni borghesi.

    In verità, e paradossalmente, nella Sinfonia classica c’è forse meno Haydn di quanto Bach ci sia nel Concerto per pianoforte e fiati di Stravinsky o nelle Kammermusiken di Hindemith.

     thm concentric-circles

    Il fatto è che Prokof’ev era lontanissimo dal concetto di parodia e che il suo scopo era semplicemente quello di riportare in evidenza quel filo rosso che, di fronte alle valenze «negative» dell’avanguardia occidentale, ribadisse il primato della forza della tradizione, vitale nella misura in cui essa poteva essere non già replicata nei suoi modelli ma sviluppata armoniosamente. A tale risultato evidentemente concorreva anche l’assetto del nuovo stato sovietico, la cui esigenza di ordine e di funzionalità nel rapporto cultura-società non poteva fare a meno del collaudo fornito dagli esempi tramandati dal passato.

    È vero comunque che quella parte d’Europa vide attuarsi la sola congiuntura che nel nostro secolo riuscì a preservare i compositori dalla prospettiva dell’horror vacui, concedendo spazio d’azione a una prolificità d’altri tempi e la possibilità di allineare nel catalogo delle loro opere sinfonie su sinfonie, rompendo spesso addirittura il fatidico numero 9 che già aveva trattenuto Bruckner e Mahler di fronte a un compito divenuto immane (Prokof’ev ne compose 7, mentre Šostakovič non esitò fino a giungere a 14). 

    CHIUSURA